l'analisi

Cina, la nuova politica industriale digitale: dallo stop alle big tech al focus sul venture capital

La pandemia ha mostrato che startup e venture capital sono decisivi per produrre innovazione e portarla sul mercato e che è possibile accelerare la riconversione dell’economia e centrarla sugli obiettivi interni. Ecco perché, dopo lo stop alle big tech, ora Pechino punta sui settori chiave per smarcarsi dall’egemonia Usa

Pubblicato il 03 Feb 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

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Non solo mano forte contro le big tech. La Cina sta sviluppando una politica industriale precisa sul digitale, perno del suo sviluppo e indipendenza dall’Occidente.

E ora vediamo sempre più chiari i primi frutti di questa politica. Com’è noto, il Partito Comunista cinese, sotto la guida di Xi Jinping ha bloccato la crescita dei giganti del web cinese, da Tencent ad Alibaba a Meituan, con una serie di motivazioni: impropria gestione dei dati personali, abuso di posizione dominante, operazioni non consentite in mercati regolati.

Per il partito e per il governo diventa però essenziale definire una nuova politica industriale e la pandemia ha offerto il terreno di riflessione e di test per i nuovi strumenti da introdurre, dimostrando che le startup e il venture capital sono decisivi per produrre innovazione e portarla sul mercato, ma anche che è possibile accelerare la riconversione dell’economia e centrarla sugli obiettivi interni, considerando gli scambi internazionali non più come motore quantitativo del sistema Cina, ma come stimolo all’efficienza e all’autosufficienza in quanto momento di confronto-conflitto competitivo.

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L’intolleranza di Pechino verso nuovi centri di potere tech

Il regime cinese ha dimostrato, in questo suo nuovo corso, di non tollerare l’insorgere di nuovi centri di potere legati alle posizioni dominanti nelle tecnologie di rete, in particolare quando attraverso l’e-commerce possono entrare nel settore finanziario, tradizionale braccio operativo che lega il Partito alle imprese.

La disintermediazione del credito è stata predicata con toni polemici contro le banche di stato da Jack Ma, il fondatore di Alibaba, che voleva promuovere la più grande quotazione nella storia delle fintech. Ma questa disintermediazione non avrebbe solo messo in discussione il ruolo delle banche, ma anche quello del Partito. Il governo, allora lo ha bloccato e ha deciso che l’IPO di Ant, il braccio finanziario di Alibaba, non si doveva fare.

Anche nel porre questo veto all’iniziativa di Jack Ma, il governo ha voluto contrastare i giganti di web, che rappresentano la versione cinese dei successi recenti dell’imprenditoria americana. La scelta significa, secondo alcuni, la rinuncia della Cina a competere con gli Stati Uniti sul terreno dove gli ultimi hanno avuto maggior successo e dove hanno dettato al mondo il modello da seguire. Che è anche un modello di società aperta, come abbiamo visto, non privo di rischi. Rischi che la Cina non intende correre perché possono indebolire la presa del Partito sulla società e sul suo sviluppo. Basti ricordare il gigantesco firewall con cui il governo impedisce la libera circolazione in rete, l’espulsione di Google, gli accordi liberticidi con Microsoft e Facebook, per limitarci agli aspetti più evidenti.

Alibaba vale oggi poco più di un terzo di quanto valeva il 23 ottobre 2020 prima del blocco dell’IPO di Ant, blocco voluto dallo stesso Xi Jinping.

L’evoluzione della strategia cinese sull’innovazione: dal know-how alla leadership

La Cina ha seguito in passato indirizzi politici sull’innovazione che hanno preso la forma di internazionalizzazione e apertura verso i mercati occidentali. Ne fu un esempio la grande apertura guidata dal ministro dell’Innovazione e della Ricerca Wan Gang, durante la presidenza di Hu Jintao.

È stato il momento di massima apertura verso le università occidentali, in particolare americane, e verso gli investimenti esteri in Cina. Tuttavia, anche in quel periodo (gli anni delle Olimpiadi di Pechino e dell’Expo di Shanghai) la presenza delle aziende estere era sempre collocata in un quadro di vincoli molto stringenti che comportavano il massimo disvelamento tecnologico per i partner cinesi.

Si trattava di una politica fatta per invogliare gli investitori esteri e quelli domestici, che aveva l’esito di accelerare il processo di apprendimento da parte cinese e l’impratichirsi con e impadronirsi di tutte le tecnologie più avanzate.

Implicitamente, lo scambio offerto da Pechino agli investitori esteri è stato: sfruttate le nostre favorevoli condizioni di lavoro (salari e welfare), la nostra embrionale regolazione ambientale, ma cedete il know how. Si noti che la cessione del know how avviene sempre e comunque quando si investe all’estero, ma certamente il modello cinese di globalizzazione era disegnato per conseguire il più rapidamente possibile questo risultato.

Oggi, le riserve di bassi salari disponibili in Cina si sono ridotte alle aree interne occidentali, che hanno problemi logistici e sociali più complessi per gli investitori esteri. L’interesse per la semplice delocalizzazione si è ridotto, mentre è enormemente cresciuta la capacità della Cina di operare nei settori tecnologicamente più avanzati, dove ora il confronto con gli Stati Uniti è diretto e gli attriti sono crescenti.

Da un lato, Xi Jinping ha rinunciato alla competizione con l’America sul web, sacrificando i campioni del web cinese, per rassicurare l’ala conservatrice del Partito, dall’altro ha lanciato la sfida sulle infrastrutture (One Road One Belt) e poi mettendo al centro le tecnologie strategiche: chip, AI, 5G, robotica.

Il governo non intende dare più spazio alla vecchia politica della integrazione dell’economia cinese in quella globale, vuole invece avere la leadership, che vuol dire autonomia, capacità di dettare gli standard, indipendenza finanziaria. Una scelta che comporta effetti assai negativi, in prospettiva: le università si stanno chiudendo, gli accordi di partnership industriale sono sempre più rari, l’orientamento del governo e del Partito sempre più rivolto al rafforzamento della Cina nei settori che si ritiene possano assicurare il posizionamento strategico più forte e più indipendente nel futuro della competizione con gli Stati Uniti.

Figura 1: Quotazioni in dollari delle azioni Moderna Inc. (NASDAQ)

Il grafico riassume l’essenziale insegnamento che deriva dallo sviluppo di una start up di successo: investimenti a lungo termine, stimolati dalla qualità del management e della ricerca, supporto della autorità, non solo nelle autorizzazioni, ma anche nella raccolta fondi, collaudata strumentazione finanziaria per accompagnare la crescita dell’azienda anche in assenza di risultati economici a breve.

La nuova politica industriale cinese: ruolo di venture capital e private equity

Il tradizionale modello di sviluppo industriale della Cina non conosceva una estesa strumentazione di sostegno delle start up, anche se il venture capital era oggetto di attenzione costante. Sono proprio le Big Tech che hanno accelerato la diffusione del venture capital in Cina, paradossalmente per vedere il loro ruolo abbattuto dai colpi inferti dal potere centrale contro di loro.

Oggi, dopo alcuni anni di crescita, si temeva che gli attacchi alle Big Tech cinesi avessero bloccato lo sviluppo del venture capital, ma esso, come si vede dal grafico, è ripartito nel 2021 raggiungendo la cifra record di 131 miliardi di dollari dopo due anni di forte compressione.

Figura 2: Finanziamenti di venture capital in Cina in miliardi di dollari (Bloomberg)

La ripresa del 2021 dimostra che il venture capital cinese ha imparato la lezione: evitare l’area del web commerciale e concentrarsi su quei settori che già il XIV piano quinquennale a fine 2019 dichiarava prioritari.

Ricordiamoli:

  • intelligenza artificiale
  • quantum computing
  • processori
  • ricerca cognitiva e del cervello
  • genetica e biotecnologia
  • medicina e salute
  • esplorazione profonda di spazio, oceani, terra ed aree polari.

Su questi obiettivi, un potenziamento e rinnovamento della strumentazione di intervento prevede esplicitamente il ricorso a modalità di intervento pubblico ispirato alla finanza innovativa: “Promuoveremo il miglioramento dei i sistemi di sostegno finanziario per l’innovazione, incoraggiando le istituzioni finanziarie a sviluppare prodotti finanziari per Science &Technology (S&T) come il finanziamento garantito dalla proprietà intellettuale (IP) e forme di assicurazione per S&T con progetti pilota per la compensazione del rischio di conversione in applicazioni pratiche dei risultati di S&T. Apriremo canali di finanziamento (IPO) per le imprese S&T, e intendiamo migliorare il Mercato STAR “key and core technologies”, vogliamo potenziare la funzione di del Growth Enterprise Market per servire la crescita innovativa e imprenditoriale delle imprese, e vogliamo incoraggiare lo sviluppo degli investimenti degli angel e del venture capital per sfruttare meglio il ruolo dei fondi per l’orientamento del venture capital e del private equity) [1].”

Focus sulle biotecnologie

Non siamo ancora a una soglia capace di minare la primazia americana sul fronte de venture capital, ma la Cina ha raggiunto ordini di grandezza paragonabili e soprattutto appare determinata a concentrare le risorse nei settori in cui vuole emanciparsi dall’egemonia americana. Negli Stati Uniti nel 2021 gli investimenti erano ancora più che doppi rispetto a quelli cinesi, 300 miliardi contro 131, ma nel settore critico dei semiconduttori gli investimenti cinesi sono saliti a quasi 9 miliardi, contro 1,3 miliardi degli Stati Uniti[2].

Le biotecnologie, sull’onda della crisi pandemica, hanno ricevuto finanziamenti ancor più consistenti, come si vede dalla figura seguente confermando l’impatto delle politiche di orientamento degli investimenti portate avanti dal governo con l’ostracismo contro le Big Tech del web.

Conclusioni

Abbiamo visto che la Cina dimostra coerenza e una certa saldezza nel perseguire gli obiettivi strategici dell’autosufficienza tecnologica e dell’accesso rapido alle tecnologie chiave.

Per motivi ideologici e politico-istituzionali, il web dei consumatori non rientra tra le tecnologie privilegiate: esso mette troppo in discussione gli strumenti di un governo autoritario. Ma sulle altre tecnologie innovative chiave, incluse quelle biomedicali, la scelta è di indirizzare nuove ingenti risorse per investimenti innovativi.

Il venture capital non si inventa da un anno all’altro e neppure da un piano quinquennale all’altro, ma il governo cinese ha dedicato anni alla sperimentazione di questi strumenti. Non è chiaro se il contesto istituzionale e il know how finanziario di chi deve fornire assistenza alle start up sia maturo al punto da poter dare risultati concreti. Abbiamo visto che i tempi di maturazione delle startup biomedicali sono assai lunghi e una grande esperienza occorre solo per far operare le istituzioni di concerto con le imprese.

La Cina corre, ma ha anche i suoi pesi morti che la inciampano: il colosso Tsinghua Unigroup Co in 10 anni ha accumulato debiti miliardari (in dollari) sostenuti politicamente e finanziato dal governo, che alla fine ha dovuto riconoscere che i, gruppo non era riuscito a contribuire minimamente allo sviluppo del business dei semiconduttori[3].

Il buon funzionamento del venture capital dipende in modo cruciale dall’indipendenza del finanziatore: se esso deve rispondere, oltre che al mercato, anche al potere politico, la macchina si appesantisce e, prima o poi, si inceppa. Occorre che i ruoli rimangano distinti, tra pubblico e privato, per non correre il rischio di finanziare carrozzoni inefficienti.

Note

  1. ) Outline of the People’s Republic of China 14th Five-Year Plan for National Economic and SocialDevelopment and Long-Range Objectives for 2035, art. 5, fonte: Xinhua News Agency, March 12, 2021.
  2. ) Fonte: Preqin.
  3. ) Coco Liu, China Venture Funbding Hits record $131 Billion Despite Crackdown, Bloomberg, January 9, 2022.

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