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Spid vivrà altri cinque anni, perché la Cie è un flop: e ora?



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Il rinnovo delle convenzioni Spid era inevitabile, e forse è positivo che si sia arrivati a questo punto dopo due anni di incertezza. Ha prevalso il pragmatismo sulle narrazioni politiche. Ma ora resta da costruire tutto il resto, a partire dall’IT Wallet in chiave europea, in modo razionale e strutturato

Pubblicato il 9 ott 2025

Sergio Boccadutri

Consulente antiriciclaggio e pagamenti elettronici



Spid convenzione agid

La proroga delle convenzioni con gli identity provider Spid, per due anni più altri possibili tre, era inevitabile. Mentre la Carta d’Identità Elettronica resta intonsa nel portafoglio degli italiani, SPID continua a essere il motore dell’accesso digitale ai servizi pubblici.

E così il 7 ottobre 2025 ha segnato la fine di una telenovela politica che durava da due anni: le convenzioni tra AgID, Dipartimento per la Trasformazione Digitale e i gestori del Sistema Pubblico di Identità Digitale sono state rinnovate.

Un epilogo tanto atteso quanto scontato, che mette nero su bianco una verità che chiunque operi nel settore della digitalizzazione conosceva già: cancellare SPID nel breve termine sarebbe stato un suicidio amministrativo e tecnologico per il Paese.

Spid, un rinnovo inevitabile, mascherato da scelta strategica

Quando Assocertificatori ha annunciato l’intesa per una convenzione valida “fino ad ulteriori cinque anni”, seguita il giorno dopo dal comunicato del sottosegretario Butti che parlava di “due anni con possibilità di estensione fino a 36 mesi”, la sensazione è stata chiara: il Governo ha dovuto prendere atto della realtà.

I numeri non mentono e non lasciano spazio a narrazioni alternative: oltre 41 milioni di cittadini hanno scelto attivamente SPID, realizzando più di 1,2 miliardi di autenticazioni nel 2024 e oltre 630 milioni solo nel primo semestre 2025.

Ma soprattutto, secondo l’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano, l’89% della popolazione internet italiana utilizza SPID, con l’86% degli utenti che lo fa più volte l’anno. Questi non sono semplici dati statistici: sono la fotografia di un’infrastruttura digitale che è diventata parte integrante della vita quotidiana di milioni di persone.

Il paradosso della CIE: tanta plastica, poca autenticazione online

Il nodo centrale della questione sta in un dato che il comunicato del sottosegretario all’innovazione Alessio Butti (sul rinnovo Spid) cita ma non approfondisce: delle 55 milioni di Carte d’Identità Elettroniche emesse, solo 9 milioni hanno credenziali digitali attivate.

Significa che circa l’84% dei possessori di CIE ha nel portafoglio un documento potenzialmente in grado di funzionare come identità digitale, ma non lo usa come tale.

La CIE è un successo come documento fisico – d’altronde è ormai l’unico documento di identità rilasciato dai comuni, avendo “pensionato” le vecchie carta d’identità a libretto (che rimangono valide fino a scadenza) – ma resta un mezzo flop come strumento di autenticazione digitale.

Le ragioni sono molteplici: dalla complessità della procedura di attivazione con pin e puk rimasti in chissà quale cassetto, fino alla scarsa familiarità degli utenti con le modalità d’uso. SPID, al contrario, ha dimostrato di essere immediato, accessibile da qualsiasi dispositivo e sufficientemente user-friendly per un’adozione di massa.

L’assurdità di creare colli di bottiglia mentre si investe nella PA digitale

Ed è proprio qui che sarebbe emersa tutta l’insensatezza di una eventuale dismissione prematura di SPID. Il Paese sta investendo risorse ingenti – molte provenienti dal PNRR – per digitalizzare la pubblica amministrazione: nuovi portali, servizi online sempre più sofisticati, infrastrutture tecnologiche all’avanguardia. Ministeri, regioni, comuni, ASL, università, agenzie pubbliche hanno sviluppato migliaia di servizi accessibili tramite identità digitale.

Eliminare o ridurre drasticamente SPID avrebbe significato costringere decine di milioni di utenti a passare forzatamente a un sistema – la CIE – che oggi non ha dimostrato la stessa capacità di penetrazione e usabilità. Il risultato? Un gigantesco collo di bottiglia che avrebbe paralizzato l’accesso ai servizi digitali proprio nel momento in cui questi stanno finalmente decollando. Sarebbe stato come costruire un’autostrada a sei corsie e poi obbligare tutti a passare attraverso un solo casello.

Come sottolinea giustamente Andrea Sassetti, presidente di Assocertificatori, SPID offre agli utenti italiani “un valore aggiunto significativo rispetto ad altri paesi europei”, grazie all’integrazione con firma digitale, PEC, servizi finanziari, utenze domestiche e telefonia. Questo ecosistema di servizi, costruito in anni di lavoro congiunto tra pubblico e privato, non può essere smantellato con un colpo di spugna ideologico.

IT Wallet: promettente ma ancora lontano dall’essere risolutivo

Il comunicato del sottosegretario Butti sul rinnovo della convenzione, enfatizza i 6,4 milioni di utenti dell’IT Wallet e gli oltre 10,6 milioni di documenti digitali attivati (patenti, tessere sanitarie, carte europee della disabilità).

Sono numeri interessanti che testimoniano un’adozione rapida di questo nuovo strumento introdotto nell’app IO. Tuttavia, 6,4 milioni sono ancora lontani dai 41 milioni di utenti SPID, e soprattutto IT Wallet non è un sistema di identità digitale autonomo, ma un contenitore di documenti che si appoggia proprio a SPID o CIE per l’autenticazione.

Presentare IT Wallet come alternativa a SPID è fuorviante: è semmai un complemento, un’evoluzione che arricchisce l’ecosistema ma non sostituisce la necessità di un sistema di autenticazione robusto, diffuso e funzionante.

Sostenibilità economica di Spid: un nodo non ancora sciolto

Un aspetto cruciale emerso dal comunicato di Assocertificatori riguarda la sostenibilità economica del servizio. I gestori hanno investito ingenti risorse in dieci anni di erogazione del servizio e continuano a sostenere costi significativi per manutenzione, sicurezza e assistenza. Il fatto che sia stata confermata “l’erogazione dei contributi annunciati dal Governo”, 40 milioni ma solo in tranche bimestrali, e la possibilità di “introdurre una valorizzazione economica della base utenti secondo logiche di mercato” indica che il modello attuale non è economicamente sostenibile senza interventi.

Questa questione solleva interrogativi sul futuro a lungo termine: un sistema di identità digitale nazionale può reggersi su logiche puramente di mercato? A mio parere si, se continuerà ad offrire elementi di robustezza e facilità d’uso.

Guardare avanti sull’identità digitale: interoperabilità europea e wallet pubblico-privati

Al di là delle polemiche, entrambi i comunicati convergono su un punto: il futuro dell’identità digitale italiana deve essere europeo. L’impegno condiviso riguarda lo sviluppo di “strumenti sempre aggiornati e conformi alla regolamentazione europea, tra cui i Wallet pubblici e privati”, con l’obiettivo di un “ecosistema digitale europeo più interoperabile, competitivo e inclusivo”.

Questo è il vero orizzonte strategico: non si tratta di scegliere tra SPID e CIE, ma di costruire un sistema integrato, flessibile e interoperabile che permetta agli italiani di muoversi agevolmente nello spazio digitale europeo e che consenta alle imprese e ai professionisti di utilizzare l’identità digitale come leva di competitività.

Lo sviluppo di SPID per professionisti e persone giuridiche, annunciato nel comunicato, va esattamente in questa direzione: ampliare l’ecosistema oltre i cittadini, coinvolgendo imprese, ordini professionali e associazioni.

Il pragmatismo vince, ma serve una visione chiara

Il rinnovo delle convenzioni SPID era inevitabile, e forse è positivo che si sia arrivati a questo punto dopo due anni di incertezza. Ha prevalso il pragmatismo sulle narrazioni politiche, i numeri sulla retorica. Milioni di italiani possono continuare ad accedere ai servizi digitali con lo strumento che conoscono e utilizzano quotidianamente, mentre pubblica amministrazione e fornitori privati possono pianificare gli investimenti con maggiore serenità.

Tuttavia, resta il rammarico per il tempo perso e le energie sprecate in un dibattito ideologico che non aveva fondamento nella realtà. L’Italia ha bisogno di una visione chiara sull’identità digitale, che riconosca il valore di SPID, lavori al potenziamento della CIE come strumento di autenticazione (non solo come documento fisico), sviluppi IT Wallet e wallet europei, garantisca sostenibilità economica al sistema e assicuri interoperabilità con gli standard europei.

Non servono proclami sulla “fine di SPID” o sulla “razionalizzazione” fine a se stessa. Serve un piano industriale serio per l’identità digitale nazionale, che integri tutti gli strumenti disponibili in un ecosistema coerente. Il rinnovo delle convenzioni è un primo passo necessario. Ora serve costruire il resto del percorso, con competenza e senza ulteriori fughe in avanti o retromarce imbarazzanti.​​​​​​​​​​​​​​​​

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