L’equo compenso torna al centro del confronto tra editori e piattaforme: la delibera Agcom del 17 dicembre 2025 include anche LinkedIn tra i soggetti tenuti a riconoscere il corrispettivo per l’uso online di contenuti giornalistici protetti, seguendo il quadro dell’art. 43-bis e del Regolamento 3/23/CONS.
Indice degli argomenti
Agcom estende l’equo compenso a LinkedIn
La delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha stabilito che anche il soggetto statunitense detentore della piattaforma digitale LinkedIn[1] è tenuto a riconoscere agli editori dei contenuti protetti pubblicati sul sito web dagli utenti, al pari della riproduzione degli articoli a stampa ivi pubblicati, l’equo compenso[2] così come è attualmente disciplinato dall’art. 43-bis della Legge Autore e dalle norme regolamentari che ne danno attuazione[3].
In base ai poteri ad essa conferiti dal comma 11 dell’Art. 43-bis L.A., l’Ag.Com., con la propria Delibera 3/23/CONS, all’art. 4 (“Criteri per la determinazione dell’equo compenso”) ha fissato le regole di calcolo che vanno applicate a tal fine, prendendo in esame, senza limitazione alla generalità: numero delle consultazioni on-line, rilevanza dell’editore sul mercato di riferimento, numero di giornalisti impiegati per la realizzazione delle opere on-line, costi comprovati per investimenti tecnologici e infrastrutturali, costi comprovati del fornitore per riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni giornalistiche on-line, adesione e conformità a codici deontologici e standard di qualità dell’informazione, anni di attività dell’editore.
Equo compenso e caso LinkedIn: la nuova delibera Agcom
Questo dettato normativo, nella sua applicazione, deve tenere altresì in considerazione i principi stabiliti dalla Direttiva DSM in materia di equo compenso che vincolano gli editori nei confronti degli autori.
Tali principi prevedono che, qualora la remunerazione contrattualmente concordata con il cessionario dei diritti risultasse “sproporzionatamente bassa” rispetto ai proventi originati nel tempo dallo sfruttamento delle opere (Art. 110-quinquies L.A.), gli autori e gli interpreti-esecutori hanno diritto a una remunerazione “adeguata ed equa”. Per il calcolo si devono prendere in esame tutte le tipologie di proventi, in qualsiasi forma ottenuti, a partire dal 12 dicembre 2021, valutando anche costi sostenuti dal cessionario e contributo effettivo dell’autore/interprete–esecutore, secondo prassi e specificità del mercato.
Trasparenza e revoca: i due principi ulteriori della Direttiva DSM
Il fascio di disposizioni nazionali applicabili all’equo compenso va correlato agli ulteriori due principi introdotti dalla Direttiva “Digital Single Market”.
Si tratta, da un lato, del diritto alla trasparenza sul contenuto delle informazioni da fornire ad autori e interpreti-esecutori circa gli sfruttamenti delle opere attuati dai cessionari; dall’altro, del diritto di revoca dei diritti acquisiti, qualora l’opera non fosse stata adeguatamente sfruttata.
Tali disposizioni, dirette a ridurre le sperequazioni fra soggetti deboli (autori e interpreti-esecutori) e soggetti forti (editori e produttori), devono riflettersi nel compenso che gli editori percepiscono dai fornitori dei servizi on-line per la riproduzione e pubblicazione dei loro contenuti[4].
Come Agcom determina l’equo compenso: continuità con i precedenti
Il provvedimento emanato dall’Agcom nei confronti della piattaforma social LinkedIn risulta in linea con i criteri già tracciati nelle precedenti delibere in materia di equo compenso per le testate giornalistiche.
Le decisioni hanno riguardato il caso GEDI contro Microsoft / Bing (Delibera n. 278/24/CONS pubblicata il 24 luglio 2024) e il caso GEDI contro Meta / Facebook (Delibera n. 180/25/CONS pubblicata il 22 luglio 2025).
Si tratta di due procedimenti distinti non solo per la loro distanza temporale (il primo avviato sulla base di un’istanza acquisita il 7 agosto 2023; il secondo avviato l’11 settembre 2023), ma anche per la differente natura degli strumenti impiegati per la pubblicazione delle notizie: motore di ricerca (“Bing”) e notiziario (“MSN”) nel primo; piattaforma social (“Facebook”) e servizio (“Facebook News”) nel secondo, oltre che per la complessità della materia trattata.
Il caso GEDI/Meta: istruttoria, ricorso e interventi in giudizio
Nel caso “GEDI / Meta” la lunga e articolata fase istruttoria si è vista interrotta, fino alla decisione di appello, da un’azione giudiziaria svolta da Meta nei confronti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Nel giudizio sono intervenuti la Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), la Società italiana degli autori e editori (SIAE) e la GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., e il processo amministrativo è infine approdato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la decisione sulle questioni pregiudiziali sollevate dal TAR del Lazio.
Dai casi GEDI a Microsoft e Meta: contestazioni e differenze
Sono diverse fra loro le contestazioni mosse dall’editore GEDI alle controparti nei due casi.
Da una parte si lamenta la creazione e visualizzazione abusiva di “snippet” o “anteprime” nei risultati del motore di ricerca “Bing”; dall’altra ci si duole dell’inserimento attivo e strutturato di notizie in seno alla piattaforma digitale “Facebook News”, con l’elaborazione di strumenti editoriali assimilabili a quelli di una testata giornalistica.
Detti comportamenti si tradurrebbero, secondo la parte istante, nel caso “Microsoft – Bing” in una riproduzione dei contenuti che travalica l’eccezione dello “snippet” essenziale; nel caso “Meta – Facebook” nella generazione di un “divario di valore” (c.d. “Value Gap”) mirato ad attrarre gli utenti attraverso la riproduzione dei contenuti informativi di GEDI e trattenerli nell’ecosistema del social network, generando un vantaggio concorrenziale indebito.
Quanto precede si risolverebbe in una violazione dell’art. 43-bis L.A. da parte di entrambi i resistenti convocati di fronte all’Ag.Com.
Per il solo caso Meta / Facebook, si aggiunge l’ulteriore addebito della violazione delle regole di correttezza e trasparenza nelle relazioni commerciali fra piattaforme digitali e editori, previste dall’art. 24 del Regolamento EU/2022/2065, il Digital Service Act[5].
Equo compenso e decisioni Agcom: importi, metodo e “provvisorietà”
Nei due casi la fase decisoria dei relativi procedimenti si è conclusa con una delibera dell’Ag.Com. con cui si è accertata la sussistenza di un obbligo di pagamento dell’equo compenso per le piattaforme digitali coinvolte[6].
L’Autorità ne ha stabilito la misura, rispettivamente dovuta da Microsoft a GEDI e da Meta a GEDI[7], attraverso un sistema di calcolo prestabilito dal Regolamento e dai suoi allegati.
Va osservato che, nel secondo caso, la Delibera Ag.Com. 180/25/CONS rappresenta, più che una decisione definitiva, un primo passo esplorativo e di pressione nei confronti di Meta.
Ciò avviene tramite l’imposizione del pagamento di un equo compenso provvisorio a GEDI e la richiesta di “Discovery” da parte dell’Autorità, relativa ai dati su precise fonti di ricavo di “Facebook”, allo scopo di sviluppare una metodologia di calcolo utile a pervenire alla determinazione dell’equo compenso dovuto agli editori[8].
Il contenzioso Meta sull’equo compenso: TAR, Consiglio di Stato e CGUE
Circa la legittimità dell’esercizio del potere di determinare l’equo compenso conferito dalla legge all’Ag.Com. in base all’Art. 43-bis L.A., va osservato che, in pendenza del procedimento istruttorio, Meta si è rivolta al TAR del Lazio.
Meta ha chiesto l’annullamento di diverse delibere AGCOM in materia (fra cui la 3/23/CONS), ritenendo i criteri di calcolo non sufficientemente chiari, equi o conformi all’Art. 15 della Direttiva DSM, in particolare in riferimento alla libertà contrattuale delle parti.
Le domande miravano inoltre a fare dichiarare l’inefficacia dei criteri di calcolo impiegati dall’Ag.Com., affermando, fra le altre censure, che l’equo compenso debba essere ricondotto a un’utilizzazione effettiva dei contenuti protetti e non a una loro astratta “disponibilità”.
A fronte del ricorso, la quarta sezione del TAR del Lazio, con sentenza n. 18790/23 del 12 dicembre 2023, ha rimesso alla CGUE questioni pregiudiziali sull’asserito non corretto recepimento in Italia dell’art. 15 della direttiva EU/790/2019 tramite il D. Lgs. n. 177/2021, sospendendo l’efficacia della Delibera 3/23/CONS e dei relativi allegati.
A seguito dell’impugnativa dell’Ag.Com., il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 894/24 dell’11 marzo 2024, ha accolto i motivi d’appello dell’Autorità respingendo l’istanza cautelare proposta in prime cure, restituendo piena efficacia alla delibera.
La sentenza del TAR ha peraltro conservato i propri effetti limitatamente al rinvio pregiudiziale, tanto che la CGUE, il 21 dicembre 2023, ha ricevuto la richiesta in tal senso[9].
Le conclusioni dell’Avvocato Generale: condizioni e limiti del sistema
In attesa della decisione della CGUE, le conclusioni depositate dall’Avvocato Generale ritengono non in contrasto con i principi UE le previsioni di legge e i Regolamenti dell’Ag.Com. quando:
- riconoscono agli editori il diritto a un’equa remunerazione quale corrispettivo dell’autorizzazione all’utilizzo delle pubblicazioni da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione;
- impongono obblighi di trattativa, divulgazione di informazioni e buona fede;
- attribuiscono a un ente pubblico poteri regolatori, di vigilanza e sanzionatori, inclusa la possibilità di proporre criteri e determinare l’importo.
Il tutto, a condizione che le disposizioni non privino gli editori della possibilità di rifiutare l’autorizzazione o concederla gratuitamente, non impongano pagamenti senza un collegamento con l’utilizzo effettivo o previsto e non limitino in modo vincolante la libertà contrattuale delle parti.
Qualora il sistema italiano risultasse conforme alle norme UE, l’Italia disporrebbe di uno strumento per stabilire ex-post un compenso per i contenuti giornalistici utilizzati dalle piattaforme digitali, correggendo lo squilibrio economico fra editori e piattaforme dominanti.
Stati Uniti: discovery e fair use nel confronto con l’equo compenso
Questo modello di determinazione del corrispettivo dovuto a titolo di equo compenso risulta distonico rispetto all’approccio statunitense.
Negli Stati Uniti la determinazione dei diritti di autori ed editori è basata sulle prove raccolte nel processo civile attraverso la “Discovery”[10], e, nel caso delle piattaforme più evolute, si è sviluppata una linea interpretativa favorevole, a certe condizioni, all’applicazione della dottrina del Fair-Use.
In tale prospettiva, l’uso dell’intelligenza artificiale applicata ai contenuti offerti da piattaforme addestrate con modelli di IA può essere considerato fortemente trasformativo[11].
La discovery contempla l’obbligo di consegna in corso di causa, autorizzata dal giudice su richiesta degli istanti, dei documenti che provano l’esistenza di un determinato comportamento.
Attraverso lo stesso mezzo può essere chiesto di produrre dati che includano fatturato connesso a una specifica attività o corrispondenza aziendale, talvolta rivelatrice di condotte non corrette o non trasparenti.
In base al Regolamento Ag.Com. 3/23/CONS è invece possibile per l’Authority chiedere e ottenere la produzione ex-ante dei documenti necessari alla procedura amministrativa.
Tali documenti vengono acquisiti agli atti del procedimento e servono a calcolare e stabilire ex-post la misura dell’equo compenso dovuto dalle piattaforme agli editori.
Verso l’IA: limiti dell’equo compenso basato sul traffico
Guardando ai procedimenti con un’ottica orientata al rispetto dei principi del nostro ordinamento, emerge un quadro procedurale strutturato, con tempistiche chiare e delimitazioni dei poteri dell’Authority.
Resta fermo che la norma lascia impregiudicata la facoltà per le parti di ricorrere alla giurisdizione civile, trasferendo ad essa la competenza finale sulle decisioni.
Anche il metodo applicato dall’Ag.Com. per il conteggio del quantum risulta trasparente, poiché l’art. 4 del Regolamento definisce una formula che parte dai ricavi pubblicitari del prestatore dei servizi on-line, applicando un’aliquota massima del 70%, e tiene conto di abbattimenti per costi d’impresa, riducendo in modo significativo l’onere economico dei prestatori.
Il corrispettivo non rappresenta una somma dovuta per la licenza dei diritti sugli articoli, ma corrisponde al valore indiretto creato a favore dei prestatori per effetto dell’uso dei contenuti editoriali, che si trasformano in traffico, dati e engagement degli utenti.
Questo approccio è giustificato anche dal fatto che l’art. 43-bis, inserito nella Legge 633/1941, introduce un nuovo diritto connesso al diritto d’autore, di durata biennale, a favore degli editori.
È un diritto che non esiste nel sistema statunitense, dove il rapporto economico fra editori/produttori e autori è principalmente regolato per contratto (c.d. Work-Made-for-Hire).
Uno sguardo prospettico pone alcuni interrogativi politici, normativi e tecnici sul futuro delle piattaforme digitali, anche di informazione.
Se è vero che la corresponsione di un equo compenso per un servizio che genera traffico è giustificata, non è altrettanto vero che tale corrispettivo sia calcolabile con attendibilità sui contenuti editoriali di piattaforme alimentate da sistemi di IA.
Tali modelli non si limitano a visualizzare snippet: estraggono conoscenza dai contenuti protetti, e il valore generato non è più un “click”, ma la capacità di sintesi, risposta e creazione trasformativa.
Ne deriva l’inefficacia di un sistema basato sul traffico: occorre stabilire il valore di addestramento di un contenuto.
Inoltre, se in futuro i modelli di IA dovessero guidare le piattaforme nel ridurre drasticamente il traffico verso i siti delle testate, un comportamento sistematico potrebbe mettere a repentaglio il modello di business dell’editoria.
A parere di chi scrive, un tema da valutare è l’elaborazione di un nuovo quadro giuridico specifico per piattaforme alimentate da algoritmi di IA, che affronti la condivisione del valore generato da apparati di intelligenza artificiale addestrati anche su contenuti editoriali protetti.
L’ipotesi è quella di calcolare l’equo compenso sotto forma di Revenue Sharing, o attraverso un sistema di licenze centralizzate e gestite dalle CMO (Collective Management Organizations).
Note
[1] LinkedIn, il più grande social network professionale al mondo, di proprietà di Microsoft dall’anno 2016, fa parte degli asset tecnologici dell’azienda fondata da Bill Gates, avendo come mission aziendale la creazione di opportunità economiche per la forza lavoro globale, collegando fra loro professionisti e imprese per aumentarne la produttività e il successo.
[2] Il D. Lgs. 177/2021 che ha dato implementazione in Italia alla Direttiva DSM (Digital Single Market – 2019/790/UE), al suo art. 15 conferisce agli editori un diritto esclusivo sulle pubblicazioni giornalistiche per l’utilizzazione online da parte delle piattaforme digitali.
I principi che informano tale disciplina giuridica sono esplicitati in maniera esaustiva nei “considerando” dal N. 47 al n. 51 della Direttiva DSM.
Il regolamento attuativo di detta norma è contenuto nella Delibera AGCOM 3/23/CONS, la quale stabilisce – nel contesto di un’ampia dialettica svolta con i delegati dei soggetti interessati durante la fase di Consultazione – i criteri che debbono essere adottati per il calcolo dell’equo compenso basato sui ricavi pubblicitari generati dalla pubblicazione dei contenuti, imponendo al contempo alle piattaforme digitali obblighi di negoziazione con le controparti e di trasparenza sui dati di cui sono in possesso. Tali criteri sono ulteriormente sviluppati nella “Nota metodologica per la determinazione dell’equo compenso ex art. 43-bis LDA” che fa parte integrante del regolamento.
Con l’approvazione della normativa in argomento il nostro legislatore ha modificato il precedente assetto che riguarda la c.d. “equa remunerazione” spettante agli autori, così attribuendogli il significato più ampio di remunerazione “adeguata e proporzionata”. Tale accezione del termine si spiega in quanto il compenso deve essere rapportato al valore effettivo dei diritti concessi all’editore/produttore, tenuto conto del contributo conferito all’opera dal singolo autore/interprete-esecutore, anche in relazione all’importanza dello stesso e del mercato di destinazione dell’opera realizzata.
La differenza fra “l’equa remunerazione”, così come era in precedenza definita nel nostro ordinamento, e la “remunerazione adeguata e proporzionata” si spiega alla stregua dei “Recital” 72 e 73 della Direttiva DSM, in cui si precisa come la posizione più debole di autori (e interpreti-esecutori) rispetto agli editori/produttori necessiti di una tutela adeguata e proporzionata al valore effettivo dei diritti concessi, tenuto conto del contributo dell’autore, della consistenza del singolo contributo e del mercato di sbocco dell’opera realizzata.
Volendo tracciare una distinzione netta fra il vecchio e il nuovo istituto giuridico, possiamo affermare che, mentre l’”equa remunerazione” è diretta a compensare il potenziale danno derivante all’autore/interprete-esecutore a causa della perdita economica causata dagli usi delle loro opere consentiti dalla legge per effetto dell’applicazione di eccezioni o limitazioni al diritto esclusivo d’autore, la “remunerazione adeguata e proporzionata” è un diritto che discende dall’attività creativa dell’autore e dell’interprete-esecutore e che consiste nel riconoscimento a loro favore di un compenso proporzionato all’apporto creativo reso.
[3] Per una visione d’insieme dei passaggi parlamentari che hanno preceduto e hanno inciso sull’introduzione dell’art. 43-bis della Legge Autore (qui riprodotto: https://www.brocardi.it/legge-diritto-autore/titolo-i/capo-iv/sezione-ii/art43bis.html) si può leggere questo brano: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/giornali-e-piattaforme-digitali-verso-nuove-tutele-per-leditoria/
[4] Si ricorda che i primi ricorsi volti all’ottenimento dell’equo compenso a favore degli editori sono stati avviati di fronte al Tribunale di Parigi dagli editori d’oltralpe, in quanto la Francia ha dato per prima implementazione alla Direttiva DSM, proprio avuto riguardo alla norma di cui all’art. 15 della sopra citata Direttiva dell’Unione Europea. Sul tema si può leggere questo articolo: https://www.primaonline.it/2020/04/29/305922/le-regole-francesi-dopo-le-sanzioni-a-google-e-lobbligo-a-negoziare-con-gli-editori/
[5] La norma in questione è del seguente letterale tenore: “Obblighi di comunicazione trasparente per i fornitori di piattaforme online”
- Oltre alle informazioni di cui all’articolo 15, i fornitori di piattaforme online includono nelle relazioni di cui a tale articolo informazioni sui seguenti elementi:
a) il numero di controversie sottoposte agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’articolo 21, i risultati della risoluzione delle controversie, il tempo mediano necessario per completare le procedure di risoluzione delle controversie nonché la percentuale di controversie per le quali il fornitore della piattaforma online ha attuato le decisioni dell’organismo;
b) il numero di sospensioni imposte a norma dell’articolo 23, operando una distinzione tra le sospensioni messe in atto in risposta alla fornitura di contenuti manifestamente illegali, alla presentazione di segnalazioni manifestamente infondate e alla presentazione di reclami manifestamente infondati.
- Entro il 17 febbraio 2023 e successivamente almeno una volta ogni sei mesi i fornitori pubblicano per ciascuna piattaforma online e ciascun motore di ricerca online, in una sezione disponibile al pubblico della loro interfaccia online, informazioni sul numero medio mensile di destinatari attivi del servizio nell’Unione, calcolato come media degli ultimi sei mesi e conformemente alla metodologia stabilita negli atti delegati di cui all’articolo 33, paragrafo 3, laddove gli atti delegati siano stati adottati.
- I fornitori di piattaforme online e di motori di ricerca online comunicano al coordinatore dei servizi digitali del luogo di stabilimento e alla Commissione, su loro richiesta e senza indebito ritardo, le informazioni di cui al paragrafo 2, aggiornate al momento di tale richiesta. Tale coordinatore dei servizi digitali oppure la Commissione può chiedere al fornitore della piattaforma online e del motore di ricerca online di fornire informazioni supplementari per quanto riguarda il calcolo di cui a tale paragrafo, comprese spiegazioni e giustificazioni in merito ai dati utilizzati. Tali informazioni non contengono dati personali.
- Il coordinatore dei servizi digitali del luogo di stabilimento, quando, sulla base delle informazioni ricevute a norma dei paragrafi 2 e 3 del presente articolo, ha motivo di ritenere che un fornitore di piattaforme online e di motori di ricerca online raggiunga la soglia del numero medio mensile di destinatari attivi del servizio nell’Unione stabilita all’articolo 33, paragrafo 1, informa la Commissione al riguardo.
- I fornitori di piattaforme online presentano alla Commissione, senza indebito ritardo, le decisioni e le motivazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 1, per l’inserimento in una banca dati leggibile meccanicamente e disponibile al pubblico gestita dalla Commissione. I fornitori di piattaforme online provvedono affinché le informazioni trasmesse non contengano dati personali.
- La Commissione può adottare atti di esecuzione per stabilire modelli relativi alla forma, al contenuto e ad altri dettagli delle relazioni a norma del paragrafo 1 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 88.
[6] Il testo delle due Delibere Consigliari in argomento è pubblicato qui:
[7] Alla pag. 22 della Delibera 278/24/CONS la somma liquidata a carico di Microsoft a favore di GEDI a titolo di “equo compenso” è indicata con un “omissis”. Del pari, nella Delibera 180/25/CONS a pag. 53 la debenza di Meta verso GEDI, in dollari USA, è sostituita da un “omissis”.
[8] Dagli atti del procedimento 180/25/CONS, si evince che i ricavi pubblicitari di Meta sono fra loro indistinguibili e non possono essere quindi attribuiti con certezza al contenuto editoriale sfruttato dalla piattaforma. Quest’ultima opera attraverso la trasformazione passiva dei contenuti caricati dagli utenti così da trasformarli in un’offerta editoriale attiva e di qualità (“Facebook News”). In tal senso, mentre Meta sostiene che il valore delle proprie notizie è intrinseco ed indiretto (formato dall’insieme dei dati degli utenti, dalla retention e dalla profilazione), l’Ag.Com. Afferma che la resistente non si limita a riprodurre i contenuti giornalistici ma li struttura, organizza e promuove per massimizzare il tempo di permanenza degli utenti e per incrementare il loro legame con il servizio on-line. Va peraltro sottolineato che la determinazione dell’equo compenso ex art. 43-bis L.A. in questo caso appare molto complessa in quanto per tale calcolo non sembra possibile applicare pedissequamente le regole sopra tratteggiate avuto riguardo all’Art. 4 della Delibera 3/23/CONS, dovendosi adattare il metodo prestabilito a un ecosistema digitale in cui il valore principale, dato dall’engagement (legame) e dalla “permanenza” assieme ai dati personali acquisiti, non ha un valore di mercato direttamente determinabile. Tale deroga al conteggio matematico dell’equo compenso è prevista dalla Delibera 3/23/CONS più volte citata, nella quale si stabilisce che “laddove la possibilità di abbinare i ricavi pubblicitari ai contenuti oggetto di equo compenso dell’editore controparte presentasse delle difficoltà, il prestatore dovrebbe individuare un diverso metodo di stima che, ad esempio, partendo dalla quantificazione della somma aggregata per la totalità dei contenuti potenzialmente oggetto di equo compenso circolanti sui suoi servizi, ripartisca la stessa tra i diversi editori presenti, mediante opportuni driver di imputazione (ad esempio basati sulle metriche di utilizzo delle pubblicazioni), per giungere ai ricavi attribuibili all’editore controparte nella negoziazione” (pag. 44 della Delibera 180/25/CONS).
[9] Nella ricostruzione dei fatti offerta nelle proprie conclusioni da parte dell’Avvocato Generale Maciej Szpunar da lui presentate il 10 luglio 2025 nella causa C-797/23 fra Meta Platforms Ireland Limited contro l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con l’intervento in giudizio della Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) e Gedi Gruppo Editoriale S.p.A., si legge: “In tale contesto il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 15 [della direttiva 2019/790 (EUCD)] possa essere interpretato come ostativo all’introduzione di disposizioni nazionali – quali quelle previste dall’articolo 43-bis della legge 633/1941 e quelle stabilite nella Delibera AGCom 3/23/CONS – nella parte in cui:
1.a) vengono previsti obblighi di remunerazione (equo compenso), in aggiunta ai diritti esclusivi indicati dallo stesso articolo 15 EUCD, a carico [dei fornitori di servizi della società dell’informazione (ISSP)] ed in favore degli editori;
1.b) vengono stabiliti obblighi, a carico dei medesimi ISSP:
– di avviare trattative con gli editori,
– di fornire agli editori stessi ed alla Autorità regolatoria le informazioni necessarie ai fini della determinazione dell’equo compenso,
– nonché di non limitare la visibilità dei contenuti dell’editore nei risultati di ricerca in attesa del perfezionamento della negoziazione;
1.c) viene conferito all’Autorità regolatoria (Ag.Com.):
– un potere di vigilanza e sanzionatorio,
– il potere di individuare i criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso,
– il potere di determinare, nel caso di mancato accordo fra le parti, l’importo esatto dell’equo compenso;
- se l’articolo 15 EUCD sia ostativo a disposizioni nazionali, quali quelle indicate al precedente punto 1), che impongono ai fornitori di servizi della società dell’informazione (ISSP) un obbligo di divulgazione dei dati, assoggettato a vigilanza da parte della stessa Autorità regolatoria nazionale, la cui inosservanza incontra l’applicabilità di misure sanzionatorie amministrative;
- se i (…) principi di libertà di impresa, di cui agli articoli 16 e 52 della [Carta], di libera concorrenza, di cui all’articolo 109 TFUE e di proporzionalità, di cui all’articolo 52 della [Carta], ostino a disposizioni nazionali, quali quelle precedentemente indicate, che:
3.a) introducono diritti di remunerazione in aggiunta ai diritti esclusivi di cui all’articolo 15 EUCD, la cui attuazione trova corredo nella già richiamata configurazione, a carico dei fornitori di servizi della società dell’informazione (ISSP), di un obbligo di avviare trattative con gli editori, di un obbligo di fornire agli editori e/o all’Autorità regolatoria nazionale le informazioni necessarie per determinare un equo compenso, nonché un obbligo di non limitare la visibilità dei contenuti dell’editore nei risultati di ricerca in attesa di tali trattative;
3.b) conferiscono a quest’ultima:
– un potere di vigilanza e sanzionatorio,
– il potere di individuare i criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso,
– il potere di determinare, nel caso di mancato accordo fra le parti, l’importo esatto dell’equo compenso».
[10] In un caso portato all’esame della C.G.U.E. si è affrontato il tema dell’obbligo o meno della consegna alla parte danneggiata gli elementi atti all’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e nella distribuzione dei servizi che costituiscono violazione dei diritti d’autore. Con l’approvazione della Direttiva 2004/48/CE (Art. 8 – Diritto di informazione) si è introdotto l’istituto della “Discovery” nell’Unione Europea. In Italia tale normativa è stata implementata attraverso gli articoli 156-bis e 156-ter Legge Autore, introdotti con l’Art. 3 del D. Lgs. 140/2006. Di seguito si trova un brano che illustra sommariamente la questione: https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/copyright-la-corte-di-giustizia-fa-chiarezza-sullidentificazione-degli-autori-delle-violazioni-nel-file-sharing/
[11] Si è affrontato questo tema più volte nei seguenti articoli:













