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AI e giustizia amministrativa, ecco il modello del Consiglio di Stato



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L’esperienza del Consiglio di Stato rappresenta uno dei primi tentativi di applicare l’intelligenza artificiale nella giustizia amministrativa. Il progetto si concentra su infrastrutture cloud, gestione dei dati e collaborazione tra giudici e tecnici. Gli strumenti in sperimentazione mirano a migliorare l’efficienza dei processi senza compromettere autonomia e principi giurisdizionali

Pubblicato il 24 ott 2025



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La progressiva introduzione di strumenti di intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione rappresenta uno dei passaggi più delicati della trasformazione digitale del Paese. L’esperienza del Consiglio di Stato mostra come sia possibile sviluppare soluzioni di analisi e supporto decisionale all’interno del contesto della giustizia amministrativa, tenendo conto dei vincoli di indipendenza, sostenibilità e trasparenza.

Ne ha parlato Brunella Bruno, Consigliere di Stato e Responsabile del Servizio per l’Informatica della Giustizia amministrativa, nel corso del convegno Ital_IA: tra dati pubblici e algoritmi, organizzato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con Sogei.

Dal PNRR alla sperimentazione operativa

Bruno ha spiegato che il Consiglio di Stato ha sviluppato una piattaforma di business intelligence e intelligenza artificiale nell’ambito dei progetti del PNRR, già collaudata lo scorso anno e oggi in fase di ampliamento. L’obiettivo è introdurre strumenti capaci di migliorare l’organizzazione dei flussi di lavoro e la gestione dei dati, senza interferire con l’attività giurisdizionale.

La Consigliera ha ricordato che il percorso è iniziato prima della definizione di un quadro normativo europeo e nazionale. «Quando siamo partiti – ha detto – non c’erano ancora linee guida né una legge nazionale in vigore. Il nostro approccio, però, ha anticipato molte delle scelte poi recepite dalla legislazione europea».

Secondo Bruno, questo risultato è stato possibile grazie a tre condizioni di partenza: una base infrastrutturale adeguata, una disponibilità di dati di qualità e la collaborazione tra competenze tecniche e giuridiche.

Cloud e dati pubblici: le basi tecnologiche

Il passaggio al cloud ha rappresentato, secondo Bruno, un passaggio tecnico necessario per ospitare le nuove piattaforme e garantire continuità con i sistemi esistenti. La migrazione ha permesso di aggiornare gli applicativi e di renderli compatibili con le tecnologie di intelligenza artificiale.

Un altro elemento fondamentale riguarda la gestione del dato. Tutte le attività di addestramento e sperimentazione AI sono state condotte utilizzando esclusivamente dati interni all’amministrazione, nel rispetto della riservatezza.

Parallelamente, la Giustizia amministrativa ha aperto la propria piattaforma Open Data, che consente l’accesso pubblico a una selezione di dataset non sensibili. Si tratta di un’iniziativa che, pur limitata, introduce un principio di apertura dei dati nel settore giudiziario, tradizionalmente più riservato rispetto ad altre amministrazioni.

Collaborazione tra ruoli e sviluppo interno

Nel Servizio per l’Informatica della Giustizia amministrativa lavorano insieme giudici e tecnici, con l’obiettivo di far dialogare competenze complementari. Bruno ha sottolineato che questo approccio ha consentito di sviluppare internamente le piattaforme invece di ricorrere a soluzioni commerciali. «Non abbiamo comprato un prodotto sul mercato – ha spiegato – ma lo abbiamo realizzato internamente».

La scelta riflette la volontà di mantenere controllo diretto sulle tecnologie, allineandole al principio di autonomia del giudice e perseguendo scelte infrastrutturali attente all’impatto ambientale dei servizi cloud: due criteri considerati centrali nella progettazione.

Dalla teoria ai casi d’uso

La piattaforma non si limita a una funzione sperimentale. Sono stati avviati cinque casi d’uso, che permettono di testare le applicazioni dell’AI in diversi ambiti dell’attività amministrativa.

Uno di questi riguarda la procedura di anonimizzazione dei dati con l’AI nella PA: il processo prima richiedeva fino a due giorni di lavoro manuale e oggi può essere completata in poco più di un minuto. L’obiettivo è ridurre i tempi di elaborazione e alleggerire il carico delle segreterie, mantenendo il controllo umano sul risultato.

Un’altra sperimentazione è in corso presso il TAR del Lazio, dove un tool di analisi automatica permette di individuare i ricorsi con contenuti simili nella stessa sezione. Lo strumento serve a pianificare meglio il lavoro e a gestire l’arretrato. Bruno ha spiegato che i primi risultati mostrano un miglioramento misurabile dell’efficienza, utile per comprendere come strumenti di questo tipo possano supportare l’organizzazione del lavoro senza incidere sulla valutazione giurisdizionale.

Governance e integrazione con i sistemi esistenti

Bruno ha richiamato l’attenzione anche sulla governance interna, che consente di coordinare le nuove applicazioni con il sistema S.I.G.A., cuore informatico della Giustizia amministrativa. Questa integrazione serve a garantire coerenza tra sperimentazione e gestione ordinaria.

«La governance interna – ha spiegato – ci consente di valorizzare il contributo dei partner esterni, spingendoli a collaborare tra loro e a superare approcci di mercato, nella prospettiva del bene comune».

Più che un modello rigido, la governance agisce come un meccanismo di equilibrio tra innovazione e controllo, che permette di adattare gli strumenti alle esigenze dell’amministrazione e di mantenere una supervisione pubblica sui processi tecnologici.

Un laboratorio istituzionale di trasformazione digitale

L’esperienza del Consiglio di Stato non viene presentata come un modello da replicare, ma come un laboratorio istituzionale in evoluzione, dove la tecnologia viene testata e valutata in base all’impatto sui processi e sulle persone.

Il progetto mostra come l’intelligenza artificiale nella giustizia amministrativa possa assumere una funzione di supporto, utile per ottimizzare i tempi e la gestione dei dati, senza sostituirsi alle competenze giuridiche né alterare l’autonomia del giudice.

Come ha ricordato Bruno, la trasformazione digitale non è fine a sé stessa, ma «cresce mano a mano», evolvendosi insieme ai bisogni reali dell’amministrazione e delle persone che la fanno funzionare.

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