l'iniziativa

La Consob su Binance: un segnale per gli Exchange Providers? Le implicazioni del caso

L’attenzione dei poteri pubblici alle criptovalute e il tentativo di arginarne gli usi illeciti vedrà un’escalation. È questa la sensazione che si ha leggendo tra le righe della comunicazione della Consob su Binance. La portata dell’iniziativa a tutela dei risparmiatori nello scenario internazionale

Pubblicato il 26 Lug 2021

Diego Fulco

Direttore Scientifico Istituto Italiano per la privacy e la valorizzazione dei dati

bitcoin

Il 15 luglio 2021, la Consob ha adottato una comunicazione relativa a Binance, forse l’Exchange Provider (fornitore di servizi di cambio online fra valute e criptovalute) più grande al mondo per volume di scambi.

La Consob esercita la vigilanza informativa, ispettiva e regolamentare sugli intermediari finanziari. In base al Testo Unico delle Leggi Finanziarie [TUF, art. 7-octies.1, a)], essa ha poteri di contrasto all’attività abusiva, cioè svolta senza l’autorizzazione della Banca d’Italia alla prestazione di servizi di investimento.

Fra i suoi poteri, c’è quello di rendere pubblica, anche in via cautelare, la circostanza che un soggetto che offre o svolge servizi o attività di investimento sul web, in realtà non è abilitato a farlo.

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Anche in Italia, Binance gestisce un elevatissimo volume di transazioni. Su binance.com è possibile comprare – con gli euro – una grande varietà di criptovalute, come Bitcoin, Ethereum, Dogecoin, ecc. Nell’esercizio dei suoi poteri, la Consob si è concentrata su una parte di servizi di Binance, vale a dire l’attività di collocamento di “derivatives” e degli “Stock Token”.

Quest’attività era svolta senza autorizzazione, e l’esercizio abusivo di servizi e attività di investimento è un reato punito con la reclusione fino a 8 anni (art. 166 del TUF).

Le attività di Binance nel mirino di Consob

I “derivatives” di Binance sono riconducibili al cosiddetto trading “CFD”, sigla dei “contract for difference”. Pur non vietati, questi vengono classificati dalla Consob come prodotti derivati ad altissimo rischio. Infatti, il loro valore deriva dall’andamento del valore di un’altra attività (il “sottostante”: un’azione, una valuta, un indice finanziario, ecc.) ovvero dal verificarsi nel futuro di un evento osservabile. Chi li compra non possiede la criptovaluta; tuttavia, può speculare al rialzo e al ribasso del valore. Il rischio dipende dal fatto che nel corso dell’investimento, a seconda dell’andamento del sottostante, agli investitori può essere richiesto il versamento di somme ulteriori ad integrazione del capitale inizialmente investito. Il risultato dell’operazione (perdita o guadagno) può essere ben superiore all’importo versato come margine iniziale.

Gli Stock Tokens permettono l’acquisto di frazioni di società quotate in Borsa (mediante un meccanismo di replica del prezzo del titolo) senza però pagare commissioni. Chi compra Stock Tokens ottiene i dividendi e gli altri eventuali diritti e vantaggi economici naturalmente collegati alla detenzione del titolo sottostante, escluso il diritto di voto. Il punto è che se gli asset sottostanti (le azioni di Tesla, di Apple, di Microsoft, ecc.) sono regolamentati, è impensabile che non lo siano anche i Tokens che ne incorporano frazioni.

La reazione di Binance è stata differente per i due prodotti in questione. Per gli Stock Tokens, ha annunciato la sospensione del servizio (come si può vedere da un banner che compare nella relativa sezione del sito) ed ha subito eliminato le informazioni ad esso relative precedentemente pubblicate in lingua italiana. Coloro che avevano investito in Stock Tokens di Binance hanno tempo 90 giorni dal 16 luglio per venderli o per chiudere manualmente le proprie posizioni. Per i “derivatives”, al momento, Binance non ha fatto nulla. Può darsi che Binance voglia proseguire questo servizio previa richiesta di autorizzazione.

La portata dell’iniziativa Consob nello scenario internazionale

Detto ciò, la notizia è rilevante non solo perché conferma la crescente attenzione delle Autorità alle criptovalute come prodotto finanziario, e perché dimostra una certa efficacia dello strumento della comunicazione previsto dal TUF. Per coglierne appieno la portata, vale la pena di contestualizzare l’iniziativa della Consob nello scenario internazionale, nonché di capire cosa caratterizza la piattaforma Binance e quali sono le implicazioni finanziarie di ciò che non è stato toccato dall’iniziativa Consob.

A giugno, nel Regno Unito, la Financial Conduct Authority (FCA) ha bandito Binance dalle attività finanziarie regolamentate, tra cui l’erogazione di servizi di investimento, le ha ingiunto di pubblicare su sito e App un banner che spieghi agli utenti che non è autorizzata a svolgere attività regolamentate nel Regno Unito ed ha ritirato l’autorizzazione per condurre operazioni di crittografia nel Regno Unito. Alla decisione della FCA ha fatto seguito quella delle banche Barclays e Santander, che hanno scelto di non permettere più ai loro clienti trasferimenti dalle rispettive carte di credito e di debito verso Binance. Anche il Dipartimento di Giustizia USA ha recentemente aperto un’indagine su Binance, ipotizzando attività illecite e riciclaggio.

Posto che – fra gli Exchange Provider – Binance è considerato uno dei più seri, la scelta dei regolatori di intervenire a tutela dei risparmiatori su questo mercato era necessaria. Tuttavia, essa non copre l’intero spettro delle preoccupazioni che, per vari motivi, sono sorte relativamente a questo tipo di piattaforme.

Su Binance, oltre all’acquisto di “derivatives” e degli “Stock Token”, era ed è possibile acquistare materialmente le criptovalute. Per “materialmente” s’intende che chi compra la criptovaluta la possiede direttamente, e può usarla come strumento di pagamento (ove accettata) o di trasferimento di valore, oppure rivenderla quando il prezzo aumenta, come potrebbe fare per moneta estera o per l’oro. Dove si può tenere, materialmente, una criptovaluta acquistata? Ci sono apposite applicazioni scaricabili dagli App Store, chiamate “wallet” (portafogli). Secondo la definizione dell’ISO 22739:2020, esse possono essere utilizzate per generare, gestire, archiviare o utilizzare chiavi private e pubbliche. Nell’ecosistema Binance, il wallet disponibile è Trust wallet, un supporto per i pagamenti con le carte di credito per le criptovalute.

Per il momento, l’erogazione di accesso alle criptovalute (cambio online fra valute e criptovalute e fornitura di wallet) non è destinataria dell’iniziativa della Consob, in quanto non rientra fra le attività per le quali occorre l’autorizzazione. Infatti, in base al TUF, è regolamentata l’attività d’intermediazione in cambi (“cambiavalute”), vale a dire “l’attività di negoziazione a pronti di mezzi di pagamento in valuta”, di negoziazione di una valuta contro un’altra, così come ogni forma di mediazione avente ad oggetto valuta. Nonostante il nome, le criptovalute non sono qualificabili come moneta. Secondo la direttiva 2018/843/UE, la valuta virtuale “è una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. Per saperne di più, consiglio l’ottimo libro “Criptoattività, criptovalute e bitcoin” a cura di Stefano Capaccioli, Giuffrè editore.

Le implicazioni finanziarie

Quindi, su Binance l’attività di cambio online fra euro e criptovalute potrà continuare. Ciò non è esente da implicazioni finanziarie. Infatti, un Exchange (come Binance) permette di ottenere un risultato paragonabile a quello di un prodotto finanziario limitandosi ad acquistare criptovalute, nell’ottica di rivenderle al momento buono, come si farebbe con l’oro, o con altri asset finanziari. Questo uso da prodotto finanziario “fai-da-te” dell’acquisto di criptovalute, per ora, non è stato impattato dalla Consob, e rimane possibile.

Le ragioni che possono indurre uno speculatore smaliziato ad acquistare criptovalute sono varie. Anzitutto, ci sono i trend del mercato: apparentemente, negli ultimi anni le criptovalute hanno permesso a chi le comprava e le rivendeva di fare fruttare il proprio denaro meglio che con alternative tradizionali. Inoltre, a differenza dell’oro, le criptovalute sono frazionabili e possono alimentare, grazie ai Wallet, strumenti di pagamento. Poi, possono essere viste come un possibile asset protettivo rispetto a rischi sistemici (come la svalutazione e l’inflazione) assai temuti da quando la pandemia ha scosso l’economia globale. Infatti, si dice, se una moneta reale si svaluta, questo fenomeno non potrebbe riguardare una moneta virtuale. Ancora, a differenza di tutti i classici strumenti di investimento, le criptovalute non sono né pignorabili né sequestrabili, poiché si basano su una tecnologia blockchain pubblica o decentralizzata, dove chiunque può accedere alla catena di blocchi e nessuno può svolgere un ruolo di controllo, né censurare transazioni. Nemmeno un’autorità può intervenire d’imperio nella blockchain. Questo significa che, almeno nell’attuale quadro giuridico e tecnologico, chi compra criptovalute e poi si trova a subire un procedimento esecutivo in sede civile o fallimentare, si sente (o è) al riparo dai provvedimenti più temuti. Infine, c’è l’elemento che genera maggiore attrattiva, nel mercato delle criptovalute nulla viene tracciato, tutto è anonimo, e lo è per la tecnologia blockchain che si usa.

Mariachiara Croce ha scritto benissimo che “le infrastrutture basate sulla tecnologia blockchain, sebbene permettano a chiunque di visionare le transazioni effettuate dagli altri nodi della rete, verificandone l’importo e individuando gli indirizzi dell’ordinante e del beneficiario, non consentono, tuttavia, di risalire all’identità dei singoli users” e dunque “a rendere particolarmente attraente la valuta virtuale agli occhi degli investitori è la perfetta fusione dei vantaggi della moneta reale e di quelli della moneta elettronica in essa riscontrabile. Come la moneta fisica, essa è accessibile a chiunque, ha carattere anonimo ed è agevolmente trasferibile; come la moneta elettronica, consente di effettuare agevolmente pagamenti a distanza e garantisce transazioni rapide e a basso costo” [da “Cyberlaundering e valute virtuali. La lotta al riciclaggio nell’era della distributed economy”, in Sistema Penale 4/2021].

In sintesi, possiamo dire che – in linea coi regolatori di altri Stati e nel rispetto dei suoi compiti e poteri – la Consob si è mossa sul fronte dove maggiore è il rischio per i risparmiatori di esporsi a perdite altissime senza avere potuto studiare i meccanismi che regolavano gli investimenti e scegliere consapevolmente.

Tuttavia, l’acquisto di criptovalute è considerato dai regolatori come fonte di rischi per chi lo pratica. Un’avvertenza della Banca d’Italia del 2015 ne indica una lunga serie: carenza di informazioni, assenza di tutele legali e contrattuali, assenza di forme di controllo e vigilanza, assenza di forme di tutela o garanzia delle somme depositate, rischi di perdita permanente della moneta a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici, smarrimento, accettazione su base volontaria, elevata volatilità del valore, ecc.

Conclusioni

La conversione di euro in criptovalute non è soltanto rischiosa per l’utente secondo le indicazioni della Banca d’Italia; espone lo Stato e la collettività a rischi di evasione fiscale e di riciclaggio di denaro sporco. Questo, però, non pare un tema che riguardi in modo particolare soggetti come Binance. Quest’ultimo, come visto, è sia Exchange Provider che Wallet Provider. In base al D.lgs. 90/2017, entrambe le categorie di soggetti sono già tenute a rispettare le norme antiriciclaggio, tant’è vero che Binance per conformarvisi ha adottato sia un regolamento per gli utenti che soluzioni tecnologiche a supporto. Ciò non significa che il problema non esista; significa, però, che il sistema si è già dotato di strumenti che permettono di monitorare la criptovaluta e di seguirla. Il vero nodo è l’anonimato degli utenti. Il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite mediante conversione in criptovalute è praticato da sconosciuti magari invisibili che sanno come operare nel contesto, movimentando valuta virtuale fra più indirizzi o servendosi di prestanome: una versione “smanettona” del commercialista Titta Di Girolamo de “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino. Bravi a comprare le criptovalute (anche su Exchange), a “lavare” il denaro sporco attraverso passaggi non tracciati e a permetterne un reimpiego “sicuro”, pagati a percentuale.

Anche su questo fronte, però, le cose si muovono. Entro l’11 gennaio 2022, sarà presentata la prima relazione sull’attuazione della direttiva 2018/843/UE, corredata, se necessario, di proposte legislative, eventualmente anche per quanto concerne le valute virtuali, il conferimento dei poteri di istituire e mantenere una banca dati centrale in cui siano registrate le identità degli utenti e gli indirizzi dei portafogli e a cui possano accedere le FIU, e i moduli di autodichiarazione per gli utenti delle valute virtuali e per migliorare la cooperazione tra gli uffici per il recupero dei beni degli Stati membri dell’UE e un’applicazione basata sul rischio delle misure in caso di rapporti d’affari con persone politicamente esposte.

L’impressione, però, è che l’attenzione dei poteri pubblici alle criptovalute e il tentativo di arginarne gli usi illeciti vedrà un’escalation. Magari non accadrà con Binance, ma un giorno la Consob potrebbe decidere di oscurare un sito di Exchange, inibendo di fatto non solo il collocamento di “derivatives” e di “Stock Token”, ma anche il cambio online fra valute e criptovalute. La sfida fra gli Stati e questo nuovo mondo di moneta virtuale, globale e apparentemente impermeabile alla sovranità statale, è appena iniziata.

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