La sentenza del tar Lazio

Tasse su bitcoin e criptovalute, ha ragione l’Agenzia delle Entrate: ecco perché

Il Tar Lazio ha dato ragione all’Agenzia delle entrate secondo cui le valute virtuali come i bitcoin sono strumenti finanziari soggetti a “monitoraggio fiscale” e tassazione. Si applicano i principi che regolano le operazioni riguardanti le valute tradizionali. Devono quindi essere inserite nel quadro RW

Pubblicato il 11 Feb 2020

Daniele Tumietto

Dottore commercialista

bitcoin

L’Italia senza dubbio sposa l’idea che bitcoin e altre criptovalute vanno tassate. Un quadro chiaro emerge con la Sentenza 1077 del 27 gennaio 2020 dove il Tar del Lazio ha confermato il contenuto delle istruzioni dell’Agenzia delle entrate (provvedimento del Direttore del 30 gennaio 2019) che le persone fisiche dovevano presentare nell’anno 2019 con riferimento all’anno d’imposta 2018 per le imposte sui redditi. Istruzioni successivamente modificate (provvedimento del Direttore del 10 aprile 2019) con l’inserimento dei codici riguardanti le valute virtuali all’interno della tabella codici investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria (categoria altre attività estere di natura finanziaria).

La Sentenza emessa dalla seconda sezione ter del Tar del Lazio trae origine dalla previsione fatta dall’Agenzia delle entrate di inserire le valute virtuali negli strumenti finanziari che sono soggetti agli adempimenti del “monitoraggio fiscale”, regolamentati dal D.L. n. 167 del 28 giugno 1990, e dalle istruzioni per la compilazione del modello 2019 per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche, che nel quadro RW relativo agli investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria precisavano l’obbligo di indicare anche “le altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”.

Contro le tasse su bitcoin, le ragioni dei ricorrenti

I soggetti che hanno presentato ricorso contro l’Agenzia delle entrate, sostenevano che:

  • la volontà di chi utilizza valute virtuali è collegata alle regole tecniche che ne permettono la disintermediazione dalle istituzioni centrali,
  • l’utilizzo si concretizza con forma di comunicazione volontaria che condivide le regole del network che viene utilizzato,
  • non esiste una quotazione ufficiale del prezzo delle singole valute virtuali, che sono migliaia,
  • moltissime valute virtuali sono in misura definita, e rappresentano asset digitali scarsi e irreplicabili,
  • il valore delle valute virtuali è definito dalla volontà di acquisto che un altro utente attribuisce alla valuta e che rappresenta la definizione della sua disponibilità all’acquisto,
  • tali caratteristiche determinano una forte volatilità del valore/prezzo che viene attribuito alle valute virtuali,
  • esse sono pertanto uno strumento tecnologico che rappresenta asset digitali e non sono equiparabili ad attività o investimenti di natura finanziaria.

Nel merito, i ricorrenti sostenevano che gli atti, i succitati provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, erano illegittimi perché basati su un concetto (ai fini fiscali) di assimilazione illogica e irragionevole, di assimilazione delle valute virtuali agli investimenti e alle attività finanziarie estere.

Tale assunto trova fondamento su:

  • la mancata indicazione delle valute virtuali nella elencazione tipica dei redditi riportati nell’articolo 6 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 917/72),
  • la caratteristica di conservazione delle valute virtuali contenute nel wallet (portafoglio elettronico) che non consente la loro assimilazione agli investimenti all’estero, ed alle attività estere di natura finanziaria, perchè non sono riconducibili ad un concetto di localizzazione fisica definita.

Agenzia delle entrate su tassazione criptovalute

L’Agenzia delle entrate costituendosi in giudizio, oltre alle contestazioni in merito alla legittimazione, sosteneva che non era il modello di dichiarazione che attribuiva rilevanza fiscale al possesso di valute virtuali, ma la normativa fiscale di riferimento.

In particolare:

– l’articolo 67, comma 1, lettera c-ter) ed il comma 1-ter, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi indica che non sono soggette a tassazione le operazioni a pronti in quanto manca la finalità speculativa, a meno che non sia realizzata una plusvalenza/minusvalenza se la valuta derivi da prelievi dal wallet o da conti digitali per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta;

– dell’articolo 67, comma 1 lettera c-ter) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi statuisce che sono soggetti a tassazione come redditi diversi di natura finanziaria, i redditi derivanti dalle cessioni a termine,

– ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c quater), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi sono soggetti a tassazione come redditi diversi di natura finanziaria quelli derivanti dalle operazioni sul mercato FOREX e Contract for Difference (CFD) aventi ad oggetto valute virtuali.

L’aspetto del monitoraggio fiscale

Passando poi all’aspetto del monitoraggio fiscale, che prevede l’obbligo di compilazione del Quadro RW, l’Agenzia delle entrate nella Circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013, chiarisce che l’obbligo di compilazione del Quadro RW è finalizzato a rafforzare le attività di contrasto

alle frodi internazionali attuate mediante l’illecito trasferimento e/o detenzione all’estero di attività produttive di reddito.

Conseguentemente anche i modelli dichiarativi sono aggiornati annualmente alla vigente normativa proprio per permettere ai contribuenti la corretta esposizione dei dati ai fini della liquidazione dei tributi nel periodo d’imposta di riferimento, nonché per consentire l’assolvimento relativo al “monitoraggio fiscale.

L’Agenzia delle entrate precisa che alle valute virtuali sono applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali, ed esse devono essere oggetto di comunicazione attraverso il quadro RW della dichiarazione, mentre non trova invece applicazione l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (c.d. IVAFE, istituita dall’art. 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura ‘bancaria’.

Perché vanno tassati bitcoin e altre criptovalute, il Tar del Lazio

Nella sua decisione il TAR accoglie le argomentazioni presentate dall’Agenzia delle entrate chiarendo che:

  • le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’art. 5 del TUIR, residenti in Italia, che, nel periodo di imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi, laddove è a questo fine che è stato inserito nel modello Unico il quadro RW (in ordine alle attività detenute all’estero),
  • nell’Interpello nr 956-39 anno 2018 l’Agenzia delle entrate aveva già chiarito le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il predetto quadro RW,
  • la modifica del D.Lgs 90/2017, con l’inserimento nel novero dei soggetti obbligati al monitoraggio degli operatori non finanziari (articolo 3, comma 5, lettera i) del D.Lgs 231/2007), comportava di fatto l’inserimento nel quadro RW delle valute virtuali,
  • il cambiamento del D.L. 167/1990 aveva esplicitamente inserito l’utilizzo delle monete virtuali tra le operazioni relative ai trasferimenti da e per l’estero, rilevanti ai fini del relativo monitoraggio. Nel concetto di investimenti all’estero e di attività estere di natura finanziaria, ai fini del monitoraggio erano inclusi anche gli investimenti e le attività mediante impiego di valute virtuali.

La sentenza del TAR in sostanza conferma che il legislatore riconosce normativamente:

l’utilizzo delle valute virtuali come strumento di pagamento alternativo a quelli tradizionalmente utilizzati nello scambio di beni e servizi;

definisce tale “strumento di pagamento” quale “rappresentazione digitale di valore”, “trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Infine, il contribuente deve indicare in dichiarazione dei redditi il controvalore in euro della valuta virtuale, secondo il cambio al 31 dicembre (ovvero in caso di smobilizzo nel corso dell’anno, il valore di disinvestimento) desumibile dal sito dove ha acquistato la valuta.

I soggetti che utilizzano lo strumento delle valute virtuali per trasferire denaro dal nostro Paese verso l’estero (o viceversa), oltre che con la normativa ai fini del monitoraggio fiscale, devono comunque tenere conto anche della disciplina antiriciclaggio, che impone la tracciabilità di tutte le operazioni superiori ad una certa soglia.

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