la questione

Antitrust 4.0 contro i nuovi monopoli digitali: quali scenari

Di fronte ai nuovi monopoli digitali, la cui ricchezza è costituita dai nostri dati, non si può pensare di utilizzare gli strumenti antitrust del secolo scorso. Oggi occorre tentare una strada nuova, abilitando un libero mercato di algoritmi insieme ad un libero arbitrio sui dati. Vediamo come fare e perché è importante

Pubblicato il 26 Nov 2018

Riccardo Zanardelli

Ingegnere | MBA

data-driven-economy

Esiste un modo per spezzare un’egemonia digitale senza distruggere il potenziale valore collettivo dei dati? Forse sì, e per farlo serve fare leva su uno dei due significati della parola trust: la fiducia. Non in un nuovo CEO e nemmeno in una nuova politica illuminata, ma nel protocollo. Serve, insomma, un antitrust 4.0 che invece di sezionare le grandi piattaforme digitali permetta di riprogettare il controllo dei dati e di riportarlo nelle mani degli utenti utilizzando proprio la tecnologia che sembra essere all’origine del problema.

Di sicuro non si può pensare di smembrare un’azienda come si faceva nei primi anni del ‘900. Nell’era del 4.0 servono strumenti nuovi per dirigere la crescita economica e sociale. I dati sfuggono alle regole classiche dell’antitrust e smembrarli può avere l’effetto paradossale di ridurre il potenziale della società digitale nel suo complesso. È una nuova forma di antitrust, perché la data driven economy funziona in modo diverso e separare gli asset fisici non significa per forza riattivare il libero mercato.

Il Guardian ci mette in guardia: la Gilded Age americana di fine ‘800 sembrerebbe ripetersi, stavolta nel settore tecnologico. Un presagio inquietante. Il trentennio compreso fra il 1870 ed il 1900 ha rappresentato infatti per gli USA un momento di profonda contraddizione: economia in crescita esponenziale, concentrazione della ricchezza e del potere, deriva monopolistica, intrecci pericolosi tra business e politica, apertura della forbice delle possibilità tra ricchi (pochi) e poveri (tanti).

E se a fine ‘800 si andavano formando i colossi industriali ferroviari, minerari e petroliferi, oggi il problema sembra riproporsi con i grandi protagonisti del mondo digitale. E oggi come allora si comincia ad ipotizzare una soluzione drastica quanto potente: l’Antitrust. O almeno questa è la parola che ferma l’occhio sui titoli degli approfondimenti.

Il web è vicino a una svolta

Sembrerebbe anche facile sistemare tutto, basterebbe rifare ciò che ha già funzionato oltre 100 anni fa, ma forse oggi le cose sono diverse. Una cosa è certa: il Web è in crisi, la privacy appesa ad un filo e la società vicina a premere il freno sulla macchina della digital economy per evitare di andare a sbattere contro un muro. È abbastanza chiaro che siamo vicini ad una svolta, c’è qualche interruttore da switchare, sì ma quale?

Tim Cook ha dichiarato che un qualche livello di regolamentazione è inevitabile, aprendo con eleganza una stagione di auto-analisi da parte dei big del settore tecnologico. Jeff Bezos ha addirittura previsto che prima o poi Amazon fallirà. “If we start to focus on ourselves, instead of focusing on our customers, that will be the beginning of the end” dice il CEO di Amazon. E sicuramente ha anche ragione da vendere.

Dalla nascita del Web, oltre 25 anni fa, abbiamo assistito ad una crescita esponenziale di benessere e opportunità tecnologiche. Contemporaneamente si sono cristallizzate anche le preoccupazioni per una ricchezza (ed un potere) sempre più concentrati nelle mani di pochi. Due facce della stessa medaglia, perennemente in bilico, che non cade mai, lasciando un dubbio aperto sul destino della società che accelera a velocita curvatura nell’infosfera.

L’enorme potere di chi controlla i dati

Smembrare? Regolamentare? Davvero dobbiamo descrivere la situazione di oggi con parole che richiamano il fallimento di un’era? C’è una battaglia in corso fra libero mercato e libero arbitrio, che sembrano paradossalmente allontanarsi come due magneti dello stesso polo. Strano, vero?

E al centro di questo campo magnetico che allontana concetti che dovrebbero invece avvicinarsi non ci sono i CEO e tantomeno noi. Al centro ci sono i dati. Chi li controlla ha un potere enorme e non si tratta di un potere positivo o negativo a prescindere, ma dipende da come viene esercitato.

Una nuova forma di antitrust

Forse non è smembrando una corporation ai modi del 1911 che si agisce sui dati. Probabilmente dobbiamo fare una riflessione diversa, quasi assurda e dissacrante. Una domanda: ci serve una nuova forma di antitrust? Forse. Anche perché in inglese “trust” significa due cose molto diverse ed entrambe importanti per la nostra discussione: “potenziale monopolio” e -rullo di tamburi- “fiducia”. E la riflessione parte proprio da qui.

Quando si evoca lo smembramento di un’azienda attraverso gli strumenti antitrust si sta sostanzialmente dicendo una cosa: la società non può fidarsi di un monopolio, non lo può controllare, lo subisce, quindi lo deve rimuovere. E lo fa per molti motivi, ma sostanzialmente perché non si fida. Nessuna fiducia nel trust. Spezzare un trust digitale significa però anche spezzare i dati.

Cosa significa? Uno dei principi di base della data driven economy è che i dati devono circolare in modo fluido, velocemente ed in grande quantità. Spezzare i dati diminuisce il potere di chi ne aveva accesso, questo è vero, ma diminuisce anche il potenziale intrinseco per individuo e società.

Questo significa che spezzare il trust senza progettare un sistema per ri-aggregare i dati può avere effetti imprevisti.

Fiducia nel protocollo

Per spezzare un’egemonia digitale senza distruggere il potenziale valore collettivo dei dati occorre una fiducia nuova, non in un nuovo CEO e nemmeno in una nuova politica illuminata, ma nel protocollo. Se il protocollo può trasferire il “comando e controllo” dei dati agli individui, il grande pericolo del trust si disintegra. La moderna versione dello smembramento antitrust non è un processo di separazione degli asset, ma di trasferimento di data ownership abilitato da protocollo e codice.

Non è una prospettiva ingenua, tutt’altro. È il tentativo paradossale (e forse proprio per questo interessante) di eliminare un trust “con il trust”, non “contro il trust”. È un modo diverso per dire ciò che ha detto Jeff Bezos: se il mercato vuole avere fiducia nei grandi player dell’economia digitale, essi devono renderla possibile, anche se comporta una rinuncia allo strapotere.

Il rischio è soccombere alle armi dell’antitrust classico e scomparire. L’alternativa è trasformarsi, ritornando un po’ start-up e rinunciando ad un potere guadagnato, ma oggi insopportabile per una società che desidera accelerare.

Il profitto non come fine ma come strumento

Utilizzare nel modo corretto i dati delle grandi piattaforme digitali è una prospettiva più interessante per la società invece che disperderli in tante piccole infosfere separate. Questo è possibile solo se l’azienda non vede il profitto come il fine ultimo della propria esistenza, ma come uno strumento per realizzare una missione più importante.

Quando la Standard Oil fu smembrata nel 1911 non esisteva l’infosfera, non esisteva un protocollo di fiducia universale al di sopra di ogni sospetto. Smembrare era l’unica opzione. Oggi invece si può tentate anche un’altra strada, ma solo se corporation e società decidono di intraprendere insieme lo stesso percorso.

Invece che dividere l’infosfera in tante parti ciascuna controllata da un’entità meno potente, forse è meglio mantenere una grande e potente infosfera come insieme di tantissime piccole infosfere gestite individualmente e messe in relazione attraverso il linguaggio delle macchine. Si tratta di abilitare un libero mercato di algoritmi insieme ad un libero arbitrio sui dati.

Chiamiamolo Antitrust 4.0 e così sia.

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