Trainer virtuali in grado di prevedere le competenze del futuro e suggerire corsi da frequentare o di riconoscere le emozioni dei discenti; simulatori per la formazione tecnica capaci di capire quando rallentare il ritmo, spiegare meglio qualche punto del programma o lanciare una nuova sfida d’apprendimento; assistenti digitali che garantiscono supporto anche on the job e real time mentre un’azione viene eseguita: l’Intelligenza Artificiale generativa sta profondamente cambiando il mondo del Learning & Development.
Una rivoluzione silenziosa, profonda e irreversibile. Condotta non da una nuova metodologia didattica ma da un insieme di tecnologie dirompenti e pervasive in grado perfino di creare contenuti originali – testi, immagini, simulazioni – con una qualità e al contempo una velocità impensabili fino a pochissimi anni fa, quando si credeva che la qualità richiedesse inevitabilmente un tempo tecnico e che la velocità comportasse di conseguenza un sacrificio.
Ma cosa comporta l’ingresso della GenAI in aula, e quali saranno le implicazioni per formatori, discenti e aziende, anche in termini di rischi e opportunità?
Indice degli argomenti
GenAi e formazione: un cambio di paradigma: dall’erogazione al co-design dell’esperienza
Tanto per cominciare, l’applicazione della GenAI al mondo del learning non riguarda solo l’efficienza dei processi, ma introduce una vera e propria trasformazione nel modo in cui si apprende. A differenza delle precedenti generazioni di IA, che pure avevano dato il loro contributo al mondo del training, la GenAI ha una potenza di fuoco poiché non si limita a classificare o ordinare dati; piuttosto, è in grado di generare contenuti coerenti, pertinenti e contestualizzati. Ciò la rende uno strumento ideale per supportare tutte le fasi del ciclo formativo, dalla progettazione iniziale dell’intervento alla valutazione finale, passando per la personalizzazione dei percorsi formativi e il potenziamento dell’engagement degli utenti, monitoraggio incluso. E scusate se è poco.
L’ultimo International Barometer “Transformations, skills and Learning” del Gruppo Cegos – realtà attiva a livello internazionale nel Learning & Development con presidio in oltre 50 paesi e, quindi, osservatorio privilegiato – ha evidenziato come il 63% dei Responsabili HR intervistati, avendo colto le innumerevoli opportunità legate alla Gen AI, preveda di integrarla nella formazione.
E poco conta che ad oggi solo l’11% di loro lo stia già facendo attivamente: è un tema di mancanza, al momento, di una vera “cultura del dato” e di un’adozione ancora limitata di strumenti in grado di sfruttare i learning data in modo strategico. Ma si accettano scommesse su quanto poco tempo ci vorrà per colmare questo gap.
GenAI e progettazione formativa: dall’automazione alla creatività aumentata
Una delle aree più promettenti dell’innesto dell’IA nel mondo della formazione riguarda sicuramente la progettazione dei contenuti. Grazie alla GenAI, infatti, oggi è possibile automatizzare la creazione di materiali didattici, quiz, assessment, case study e storyboard ma anche generare esperienze di apprendimento altamente personalizzate, calibrate su bisogni, preferenze e stili cognitivi dei singoli discenti. Ugualmente, con l’IA è possibile analizzare i “dati formativi” in tempo reale – fornendo a tutti gli stakeholder coinvolti importanti insight data-driven su progressi, difficoltà e punti di forza dell’esperienza di apprendimento-, così come produrre contenuti multimediali su larga scala e scalabili attraverso tool come Synthesia (per videoavatar) o DALL·E (per immagini originali). Tutto ciò con l’importante e positivo effetto di liberare ai Learning & Development Manager di oggi tempo e energie preziosissimi, da dedicare ad attività a maggior valore aggiunto come la visione e la progettazione strategica, l’adattamento dei percorsi formativi e l’interazione umana… questa sì, inalienabile all’IA.
Formatori: verso una nuova identità professionale
Contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, l’avvento della GenAI non comporta la sostituzione del formatore. Piuttosto, ne cambia radicalmente il ruolo. La figura del docente “trasmissivo”, che trasferisce contenuti, lascia infatti spazio a quella del facilitatore, che guida, orienta e valorizza l’apprendimento in chiave esperienziale dei discenti. Una sorta di architetto dell’esperienza formativa che, conseguentemente, assume nuove responsabilità: dalla revisione critica dei contenuti generati dall’IA, alla supervisione etica del processo formativo; dalla capacità di comunicare efficacemente con l’IA tramite prompt ben strutturati, alla promozione di un apprendimento collaborativo e riflessivo. E che a sua volta, per fronteggiare la sfida di ricoprire con efficacia il nuovo ruolo cui è chiamato, deve auto-formarsi per sviluppare skill tecniche che gli consentano anche di interfacciarsi con team IT e Data Specialist per una collaborazione cross-funzionale, ma anche competenze più “soft” come l’Intelligenza emotiva, la creatività, la consapevolezza dei bias cognitivi, l’etica applicata all’uso dei dati. Sicuramene una necessità, ma anche un’opportunità di crescita da cogliere.
Discenti più autonomi con la GenAI, ma non sempre più consapevoli
La GenAI potenzia anche il discente, che in maniera sempre più diretta e disintermediata può accedere a contenuti – spesso microcontenuti – on demand, ricevere feedback in tempo reale, costruire percorsi di apprendimento flessibili e altamente personalizzati ritagliati sulle proprie specifiche esigenze.
Di fatto, ha una concreta possibilità di imparare ciò che vuole, come vuole e quando e dove vuole. Come si dice in gergo: just-in time. Ma, si sa, l’autonomia va anche gestita.
Il rischio di perdere l’orientamento in un ecosistema così variegato e ricco di offerta come quello dalla formazione ai tempi dell’Intelligenza Artificiale è piuttosto concreto. Così come quello di guardare all’IA come a una sorta di oracolo, infallibile per definizione, e di scadere inevitabilmente in un eccesso di delega perdendo lucidità e spirito critico, al punto da non essere più in grado di intercettare ingenuità o vere e proprie allucinazioni. Adattarsi a questo nuovo modello “autagogico” che lo vede protagonista assoluto del proprio percorso formativo, scegliendo obiettivi, tempi e modalità, richiede insomma al discente una buona dose di consapevolezza, per lo più ancora da costruire.
Governance, etica e regolamentazione della GenAI: una condizione necessaria
Anche rispetto alla formazione, l’IA generativa pone interrogativi cruciali su non pochi temi: dalla privacy e la protezione dei dati (le informazioni che si danno in pasto ai tool di IA sono davvero al sicuro?) alla proprietà intellettuale dei contenuti generati (chi può vantare l’ownership di un output prodotto a quattro mani dall’uomo e dall’AI?); dalla trasparenza e accountability dei sistemi di decisione automatica ai rischi di bias negli algoritmi e di discriminazioni involontarie, inevitabilmente immesse nella fase di addestramento del sistema dall’uomo, che ora se le vede tornare indietro come un boomerang, a meno che, in un eccesso di fiducia, non rischi addirittura di non accorgersene.
Per prevenire e contenere questa serie di rischi, esistono già strumenti regolamentari. L’AI Act europeo – che classifica l’uso dell’Intelligenza Artificiale nella formazione come “ad alto rischio” -, le linee guida dell’OCSE, le raccomandazioni UNESCO, la Carta Usa dei diritti sull’IA offrono sicuramente dei quadri di riferimento importanti sul tema. È tuttavia necessario che anche le aziende implementino propri codici di condotta interni e policy dedicate per guidare l’adozione della GenAI nel proprio contesto in modo responsabile, inclusivo e orientato alla qualità formativa, contribuendo a “fare cultura” e generare quella consapevolezza di cui c’è grande bisogno.
Le competenze chiave per l’era della GenAI
Se è vero che l’IA dà un contributo fondamentale al processo formativo e, quindi, all’acquisizione e allo sviluppo delle competenze, è altrettanto e specularmente vero che per affrontare – anziché subire- l’impatto dell’IA nella propria vita professionale e non solo, occorre dotarsi di una serie di skill chiave. Competenze digitali e informatiche specifiche per chi è del mestiere, ma anche competenze operative e aziendali che consentano di integrare l’IA nei numerosi task quotidiani (es. presentazioni, report, e-mail, etc), così come quelle che il Gruppo Cegos, che ha approfonditamente analizzato il tema, ha evocativamente definito come le otto “power skill”:
- Pensieri critico
- Intelligenza emotiva
- Creatività
- Consapevolezza etica
- Capacità di imparare a imparare
- Interdisciplinarità
- Resilienza tecnologica
- Gestione della complessità
Si tratta di skill che consentono da un lato di maneggiare le nuove tecnologie, dall’altro di valorizzare quanto di tipicamente “human” non potrà essere rimpiazzato dall’Intelligenza Artificiale e che torna anzi utile per saper “leggere” gli output di quest’ultima con l’opportuno sano distacco.
A queste si aggiungono poi le competenze digitali di base – queste sconosciute, almeno in Italia -, la familiarità con gli strumenti di IA e la capacità di lavorare in quegli ambienti ibridi uomo-macchina che sono ormai diventati la regola per la maggior parte del popolo aziendale. Per i professionisti della formazione tutto ciò significa, a maggior ragione, formarsi continuamente, aggiornarsi su nuovi tool e nuovi linguaggi e sviluppare un mindset sempre piùprogettuale e adattivo.
GenAi: il futuro è già qui (e dobbiamo essere pronti)
Ricapitolando e sintetizzando: l’Intelligenza Artificiale generativa non è una moda passeggera, ma una tecnologia abilitante, destinata a cambiare in profondità il modo in cui impariamo, lavoriamo e ci relazioniamo con la conoscenza. Più che una minaccia, è una preziosa leva di trasformazione.
Le organizzazioni che sapranno integrarla efficacemente – valorizzando le persone, proteggendo i dati e costruendo esperienze autentiche – avranno un vantaggio competitivo significativo da sfruttare.
Per farlo, però, non potranno accontentarsi di piattaforme e tool. Avranno bisogno di competenze, cultura, governance e coraggio. Occorrerà che investano nelle persone prima ancora che nelle tecnologie, per garantire che la GenAI sia realmente al servizio della formazione e non viceversa.
E forse, soprattutto, serve una nuova consapevolezza: che l’apprendimento non è più un processo da subire, ma da co-progettare insieme, esseri umani e intelligenze artificiali.