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Flessibilità, nuovi modelli: come cambia il lavoro in Italia



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Il mondo del lavoro in Italia è segnato da disoccupazione giovanile, produttività stagnante e salari bassi. La fuga di talenti e la richiesta di flessibilità spingono verso nuove soluzioni come lo smart working e la settimana corta. Tuttavia, è essenziale un cambiamento culturale e un nuovo stile di leadership per affrontare efficacemente queste sfide

Pubblicato il 9 mag 2024

Chiara Frigerio

Segretario Generale di Cetif e Docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Camilla Spinella

Research Analyst, Cetif



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Il mondo del lavoro italiano si trova ormai da decenni in una situazione complessa, a causa di un’elevata disoccupazione giovanile, di una curva della produttività per ore lavorate rimasta piatta dal ‘90 ad oggi, unitamente agli stipendi, cresciuti solo dello 0,36% (dato OCSE, 2023).

Il panorama del mercato del lavoro italiano: tra produttività e fuga dei talenti

Ad esempio, oggi il valore del Pil per ora lavorata è intorno ai 42 euro, contro i 58 euro della Germania, nonostante il monte ore lavorate per occupato sia tra i più alti in Europa (nel 2021 in Italia 1.668 monte ore/annue, contro 1.349 della Germania o 1.490 della Francia). A conseguenza di ciò, il nostro Paese sta diventando sempre meno attrattivo per i giovani lavoratori: l’8% dei laureati ha deciso di emigrare all’estero nell’ultimo anno, dove la RAL media è superiore del 41.8%, un fenomeno che costa al Paese l’1% del PIL ogni anno, circa 600 miliardi di Euro in 10 anni (ilsole24ore, 2023).

Unitamente alle difficoltà sul lato dell’offerta di lavoro, anche la domanda è influenzata da esigenze e necessità dei lavoratori italiani profondamente cambiate e in continua evoluzione. Inoltre, la crisi pandemica ha posto le basi per riflettere su nuove modalità di lavoro, mettendo in luce nuovi paradigmi, tra cui la condivisione di principi valoriali, e priorità.

Flessibilità e work-life balance: nuove necessità dei lavoratori

In questo contesto, il concetto di flessibilità diviene oggi imprescindibile nei luoghi di lavoro: i lavoratori tendono a ricercare un ambiente lavorativo flessibile che riesca a porre al centro l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Proprio la carenza di un corretto work-life balance èoggi motivo valido per cambiare lavoro e ricercare nuove opportunità.

Sempre più frequenti sono i fenomeni di Great Resignantion, Quite Quitting e Job Hopping.

Con Great Resignation viene identificato il fenomeno delle dimissioni volontarie che a seguito della pandemia ha interessato una percentuale sempre più elevata di collaboratori. In Italia solo nel 2021 le dimissioni volontarie sono cresciute del 43%, con circa 484.000 lavoratori che hanno lasciato il proprio lavoro autonomamente. Il motivo principale, secondo i dati del Ministero del Lavoro è proprio l’esigenza di una maggiore flessibilità.

Al contrario, il Quite Quitting descrive la tendenza dei dipendenti ad eseguire il minimo indispensabile, ponendo dei limiti all’orario lavorativo per ricavare abbastanza tempo per tutto ciò che riguarda la loro vita privata, senza tuttavia ricorrere alle dimissioni. L’obiettivo di assicurarsi un corretto work-life balance è poi estremizzato nel concetto di Job Hopping, pratica che consiste nel cambiare frequentemente lavoro per assicurassi proprio tale scopo oltre ad una più alta remunerazione ed esperienze professionali diversificate.

Tali principi e priorità, tipiche dell’attuale contesto lavorativo, sono condivisi anche da chi è prossimo ad entrare nel mondo del lavoro. Le nuove generazioni di laureati e, in particolare, i giovani della Gen Z riconoscono a loro volta un importante valore in un coretto work-life balance e nel concetto di flessibilità.

Infatti, il 64% della Gen Z preferirebbe iniziare la propria carriera lavorativa in un ambiente flessibile (dove per flessibilità si intende mettere l’individuo e le sue esigenze al centro, con particolare attenzione al benessere, con elevato rispetto della vita privata e un buon equilibrio tra lavoro e tempo libero) e poco gerarchico, dato confermato sia per studenti di lauree STEM che non STEM (dati Cetif, 2023). Questo fenomeno non è tuttavia nuovo: anche i Millennials, soprattutto STEM ritengono il lavoro flessibile come imprescindibile (70% tra i Millennials STEM, contro il 54% dei Millennials laureati non STEM) (Dati Cetif, 2023).

La trasformazione nel settore finanziario: tra sfide e opportunità

Il settore finanziario non è escluso da questo cambiamento. Le banche e le Compagnie di assicurazione si trovano attualmente di fronte ad un grande interrogativo: come si risponde alla crescente richiesta di flessibilità in un ambiente normativamente gerarchico? Come si può far leva sulla flessibilità per migliorare la produttività? La flessibilità nel settore finanziario potrebbe essere una leva di attrazione e quindi di vantaggio competitivo rispetto ad altri settori?

Il settore ha incominciato a rispondere a questi quesiti introducendo in modo strutturale la pratica dello smart working, apprezzata sia dai collaboratori sia dalle aziende per una ottimizzazione dei costi operativi.

Tuttavia, quando si parla di smart working è bene chiarire alcuni punti. In primis, esso non è sempre sinonimo di flessibilità, se non accompagnato da un adeguato cambiamento di cultura, modelli organizzativi e leadership. Quindi, il rischio è che lo smart working possa risultare un fenomeno di remotizzazione delle attività dove l’unica innovazione nell’ambito della flessibilità è relativa al luogo di lavoro. Se da un lato le nuove generazioni ritengono che le aziende flessibili siano quelle più attrattive, sono tuttavia consapevoli che il solo smart working non è l’unico elemento che consente un maggiore work-life balance. Il 56% dei Millenials e il 64% della Gen Z dichiara infatti che non è essenziale.

Smart working e settimana corta: soluzioni sufficienti?

Unitamente allo smart working, la settimana lavorativa corta sta divenendo una delle soluzioni che sembra possa indirizzare alcune caratteristiche strutturali del mercato del lavoro italiano, dalla bassa produttività, alla flessibilità ricercata dalle nuove generazioni. In Europa diverse sono le sperimentazioni a riguardo. L’Islanda per prima ha diminuito le ore lavorative nel settore pubblico da 40 a 35 settimanali, mentre in Italia nell’ultimo periodo grandi istituzioni hanno deciso di attivare una sperimentazione, comprimendo le ore settimanali, divenute 36 totali (9 ore al giorno), su 4 giorni lavorativi, in alcuni casi abbinandolo ad alcuni mesi di full smart working. I risultati dei primi esperimenti sono interessanti. In termini di produttività non vengono segnalate alterazioni (dati della ricerca di 4 Day Week Global, 2023) e la soddisfazione dei lavoratori è elevata (90% dei lavoratori che hanno sperimentato la settimana corta continuerebbe a lavorare 4 giorni su 7).

Visti i dati del mercato del lavoro italiano, la settimana corta potrebbe essere una risposta alle nuove esigenze lavorative in termini di flessibilità, ma non sembra ad oggi poter essere l’unica soluzione. Ad esempio, è possibile che una riduzione dei giorni lavorativi possa produrre un aumento della produttività per ore lavorate, come una quasi esclusiva conseguenza della diminuzione delle stesse ore lavorate totali, non risolvendo problemi di produttività strutturali.

Dunque, se smart working (come svolto fino ad oggi) e settimana corta sembrano non risolvere pienamente le necessità dei lavoratori e quelle del settore finanziario in termini di produttività e flessibilità, sarebbe utile ipotizzare ulteriori nuove soluzioni.

Cambiare modello organizzativo: da meccanico a organico

Dal punto di vista organizzativo e culturale bisognerebbe abbandonare la più tradizionale visione piramidale con flussi top-down delle decisioni e delle informazioni (modello meccanico), per un modello che privilegia la connessione, la fiducia, la reciprocità e l’autonomia dei partecipanti (modello organico).

Nel primo modello, quello meccanico, la struttura è piramidale, le decisioni sono accentrate e la responsabilità è prevalentemente affidata ai ruoli gerarchici. È un modello che si rifà alle teorie dello scientific management, ormai molti anni fa, e che prevedono compiti routinari, divisi in attività cicliche e strutturate. Il sistema è alquanto formale, gerarchico e i manager sono ancorati a lunghi processi burocratici, mentre il meccanismo di carriera è basato sulle competenze specialistiche e sull’anzianità di ruolo abbinata alla performance.

Nel modello organico, al contrario, l’organizzazione è vista come una cellula che si adatta all’ambiente circostante, con una struttura orizzontale e pochi gradi di controllo. Le mansioni sono ampie, non routinarie e l’informazione è condivisa, mentre la cultura è di tipo adattivo e sono premiate l’adattabilità e la flessibilità. Il migliore non è necessariamente chi è in azienda da più anni e ha skill molto specifiche, ma chi ha competenze orizzontali, chi si adatta più velocemente al cambiamento, chi innova. Le istituzioni finanziarie hanno da tempo adottato alcuni dei principi del modello organico per ricercare flessibilità, tuttavia, il forte ambiente normativo e la complessità organizzativa non sempre permettono di abbandonare principi di efficienza e controllo del modello meccanico.

Un nuovo stile di leadership: dal capo al coach

È per questo motivo che un grande cambiamento deve essere adottato sullo stile di leadership. Si dovrebbe promuovere un cambiamento della classe manageriale da “capo” a “coach”. Se il “capo” è abituato a processi lenti, strutturati e unilaterali, il “coach” preferisce esercitare il controllo sui risultati e sulla crescita delle persone, creando un clima di reciproca fiducia e offrendo maggiore libertà nello sviluppo delle competenze e delle autonomie decisionali.

Il manager “coach” indica la direzione e promuove il cambiamento, preferisce correre rischi e cercare nuove soluzioni; piuttosto che amministrare, innova focalizzandosi sulle opportunità della digitalizzazione e delle nuove tecnologie. Questa è una figura visionaria, che guarda al futuro piuttosto che concentrarsi sul breve periodo, incoraggiando e spronando i propri collaboratori.

Flessibilità come leva competitiva: il futuro del lavoro

Le direzioni che dà alle proprie persone sono concrete e precise così che, nel momento in cui queste avranno chiare le proprie responsabilità, saranno in grado di muoversi e prendere decisioni autonomamente. In questo contesto, il focus principale ricade sulle persone con le quali interagisce con un atteggiamento empatico e inclusivo, con l’obiettivo di far nascere una leadership che possa diventare una guida, più che una figura di controllo e di pianificazione.

Dunque, modello organizzativo e stile di leadership diventano elementi imprescindibili per una cultura delle flessibilità che vada oltre la flessibilità di spazio e tempo. Se questo sia sufficiente per migliorare la produttività e fungere da leva per la retention dei talenti è ancora presto per dirlo. Ma il settore finanziario ha una grande opportunità anche in termini reputazionali: essere tra gli early adopter di modelli innovativi in organizzazioni complesse e collocarsi tra i settori più sostenibili e inclusivi.

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