la riflessione

Guerra in Ucraina: tutti i diritti negati e i risvolti sulle politiche digitali Ue

Quella in Ucraina è la prima guerra onlife. Da ogni parte del mondo si possono seguire in diretta i concreti sviluppi del conflitto. Per la prima volta le tecnologie dell’informazione sono diventate vere e proprie armi. Ma una cosa non cambia: com’è sempre stato e sempre sarà, la guerra è assoluta negazione dei diritti

Pubblicato il 12 Apr 2022

Rocco Panetta

Partner Panetta Studio Legale e IAPP Country Leader per l’Italia

guerra vetro rotto

Cosa sta succedendo in Europa e nel mondo? Fino al 23 febbraio scorso, vigilia della invasione russa in Ucraina, pochi avrebbero immaginato uno scenario come quello a cui stiamo assistendo, increduli ed inermi di fronte ad una guerra tremenda, odiosa ed intollerabile.

L’attacco sferrato dalla Russia alla vicina Ucraina ha avuto un effetto paralizzante delle coscienze ancor prima che dell’economia. Io in prima persona ne ho subito il contraccolpo emotivo. È infatti difficile trovare le parole giuste quando ad essere attaccata è l’essenza ed il valore comune a noi tutti: l’umanità.

La guerra nell’era social: caccia al consenso a suon di propaganda, fake news e odio online

Dopo diversi giorni di riflessioni e letture, e di rifiuto di commentare quanto sta accadendo, è arrivato il momento di offrire il mio personale contributo ad un dibattito complesso, ma imprescindibile. Proprio in simili circostanze infatti la dimensione dei diritti, e con essa quella dell’etica sociale, si trova maggiormente in bilico sul baratro dell’oblio.

Perché, com’è sempre stato e come sarà sempre, la guerra è vera ed assoluta negazione dei diritti. E, forse per la prima volta, anche dei diritti digitali. Del resto, siamo di fronte alla prima guerra del mondo iperconnesso e basato sull’economia dei dati, e anche su questo occorre riflettere.

La guerra come negazione dei diritti

Ogni conflitto bellico, qualunque ne sia la portata, conduce per definizione ad una negazione dei diritti fondamentali. Ce lo insegna assai tristemente la storia. E ce lo insegnano anche quei maestri del pensiero e della coscienza morale di cui, oggi più che mai, sentiamo la mancanza. Penso, in particolare, a Stefano Rodotà, che ormai ci ha lasciato cinque anni fa e che proprio alla tutela di tali diritti e libertà ha dedicato la propria vita accademica e professionale, lasciandoci un’eredità che dovrebbe essere colta ogni giorno, in tempo di pace e, ancor di più, in tempo di ostilità.

La guerra è dunque qualcosa di ontologicamente antitetico al pieno, libero ed effettivo godimento di libertà e diritti che oggi troviamo scolpiti nelle costituzioni nazionali così come nelle carte internazionali che ne sintetizzano lo spirito comune, come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) o la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza). Le terribili immagini ed i racconti che ci giungono dalle terre ucraine sotto assedio sono la diretta testimonianza della compressione e della negazione di questi valori. Il diritto alla vita ed all’integrità e la dignità della persona, la libertà di movimento e di circolazione, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto di associazione e quello alla vita familiare, il diritto all’istruzione ed al lavoro, il diritto di proprietà: tutti diritti e libertà che, in questo momento, sono soffocati dallo stivale militare dell’invasione.

La guerra però fa solo vinti e mai veri vincitori. E così lo stesso popolo russo si trova limitato nell’esercizio dei propri diritti fondamentali. Vuoi come conseguenza diretta delle decisioni assunte dal Cremlino (pensiamo alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero di chi anche in Russia questa guerra non l’ha mai voluta), vuoi come effetto indiretto delle sanzioni di Europa e Stati Uniti e delle restrizioni adottate dalle società private di tutto il mondo (pensiamo alla libertà di circolazione o di iniziativa economica).

Le possibili limitazioni ai cosiddetti nuovi diritti digitali

Ed è su questo versante che possiamo trovare anche le possibili limitazioni ai cosiddetti nuovi diritti digitali. Basti solo citare il diritto di accesso alla Rete alla luce della possibilità paventata dalla Russia di disconnettersi dall’internet globale. C’è poi un ulteriore profilo, del tutto inedito, dato dal fatto che oggi molti dei diritti e delle libertà appena elencati sono esercitati anche per il tramite della Rete e, più in generale, dei prodotti e delle infrastrutture del mondo digitale. E di conseguenza la limitazione o la messa al bando di servizi o strumenti tecnologici, ancorché privati, comporta di necessità una costrizione delle modalità di esplicazione di diritti e libertà fondamentali.

Un esempio plastico di tale situazione lo si trova nella frustrazione della libertà di espressione e di informazione per il venir meno dell’accesso a social network o social media in Russia o nella contrazione alla libertà di impresa quale conseguenza dei blocchi all’accesso a piattaforme su cui compiere affari, pagamenti o investimenti.

Non è però questo l’unico elemento di novità sul piano dell’incidenza sui diritti fondamentali che il conflitto in corso sta rendendo evidente. Difatti, pur non trattandosi di una guerra su scala globale, anche l’esercizio di diritti e libertà di cittadini molto lontani dal fronte inizia a subire un timido turbamento. È questa una chiara conseguenza del nuovo equilibrio del mondo moderno, ormai stabilmente fondato sull’interconnessione digitale e sugli scambi di materie prime, servizi, informazioni e dati. Di tali ripercussioni stiamo facendo tutti esperienza diretta a seguito dei recenti rincari ai prodotti e servizi di prima necessità. Su una scala di grandezza maggiormente apprezzabile, sono sempre di più gli imprenditori che cominciano ad accusare il contraccolpo della crisi bellica, paventandosi così un principio di pericolo di aggressione alla libertà di impresa. Nulla in confronto a quanto avviene nelle terre martoriate dal confitto, e tuttavia si tratta comunque di considerazioni utili a dimostrare che quanto più la guerra si espande, territorialmente e temporalmente, quanto più i diritti fondamentali sono destinati ad essere compressi e, nella peggiore delle ipotesi, compromessi.

La tecnologia come strumento di resistenza e di attacco

La dimensione del digitale è stata interessata dalle dinamiche belliche per la sua stretta relazione con certi diritti fondamentali. Lo scontro tra Russia ed Ucraina, tuttavia, rappresenta anche la prima vera guerra nel mondo occidentale digitalizzato. Si tratta di un aspetto da osservare da due diverse angolazioni.

La prima riguarda l’impiego della tecnologia e dei servizi digitali come strumenti di informazione e di resistenza. Questo, a dire il vero, non è un elemento di assoluta novità. Già nel recente passato internet e i social media hanno generato ripercussioni e sviluppi inediti per le sorti dei conflitti, agendo quali strumenti di informazione, narrazione, testimonianza, aggregazione e persino rivolta. Forse però non era mai accaduto che la guerra arrivasse in un contesto territoriale altamente digitalizzato e iperconnesso come il Vecchio Continente. Stiamo dunque assistendo alla prima guerra onlife. Da ogni parte del mondo è possibile seguire in presa diretta e secondo logiche multicanale i concreti sviluppi del conflitto. E a quegli stessi canali e gruppi online sono affidati gli inviti alla resistenza e le condanne delle atrocità di guerra. È evidente come l’emersione della dimensione online costituisce un’importante fonte di conoscenza, una risorsa assente in passato che, nondimeno, porta comunque con sé nuovi rischi e problematiche, come la circolazione di fake news e lo sciacallaggio del clickbaiting.

La seconda prospettiva ha una portata, se possibile, ancora più innovativa e dirompente. È questa forse la prima guerra cybernetica della storia. Per la prima volta, infatti, le tecnologie dell’informazione sono diventate vere e proprie armi da spendere in un conflitto. Ed è evidente poi come il carattere delocalizzato dello strumento sia in grado di incidere anche sulla portata territoriale dello scontro (non a caso nelle ultime settimane anche la nostra Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale si è attivata). Ancora una volta siamo dinnanzi all’ennesimo naturale sviluppo della società cibernetica in cui siamo pienamente immersi.

Sono dunque questi aspetti che occorre tenere in considerazione nel riflettere sulla reale portata di tale drammatico conflitto, destinato, anche per dette peculiari caratteristiche, ad incidere fortemente sul corso della nostra storia futura.

I risvolti del conflitto sulle politiche digitali europee

È evidente che lo scontro in corso, per le sue dirompenti implicazioni sui diritti del popolo ucraino, stia dettando le agende di tutti i principali Paesi globalizzati. Al tempo stesso, l’inedito ed eterogeneo coinvolgimento nel conflitto delle nuove tecnologie ha portato l’Unione europea – attualmente in prima linea per creare la propria governance sul digital ed in preda alle politiche di recovery dopo due anni di pandemia da Covid19 – ad alcune importanti prese di posizione. In tal senso, la guerra ha riacceso un faro su un problema con cui l’Unione Europea sta combattendo da tempo, la disinformazione online.

Cinque anni fa, in occasione delle elezioni francesi che portarono alla vittoria di Macron, l’Europa registrò interferenze straniere, per la precisione russe, volte a inquinare il dibattito pubblico attraverso post sui social network che diffondevano notizie false. Le cose non sono andate diversamente per altre elezioni visto che queste interferenze si erano già registrate con le elezioni americane del 2016 e durante il referendum Brexit. Ora, se la disinformazione è un problema complesso da gestire, come dicevo, non è però nuovo. Ciò che è nuovo è la potenza di fuoco che governi e piattaforme hanno messo in piedi in brevissimo tempo in questo contesto inedito per fermare la follia russa. In modo inedito l’Unione ha optato per l’oscuramento dei canali di RT e Sputnik, notoriamente considerati la longa manu di Putin nel mondo dei media. Questa scelta inedita, giustificata da buone intenzioni ma forse non adeguatamente soppesata, ha però creato un precedente pericoloso e ha avuto l’effetto di dover subire le analoghe ritorsioni russe che hanno portato tutti i media, occidentali e indipendenti russi, a interrompere le trasmissioni e a lasciare la Russia. Sarà interessante vedere se e come situazioni eccezionali come queste saranno tenute in considerazione nel testo del Digital Services Act in discussione a Bruxelles nel valutare le scelte delle piattaforme quando rimuovono dei contenuti online, come hanno fatto in questi giorni.

Con il conflitto si è scoperto un altro tallone d’Achille, che riguarda non solo l’Unione, quello della cybersicurezza. I governi europei, con una guerra alle porte, si sono resi conto più che mai che la corsa agli investimenti in cybersicurezza necessita di una forte accelerazione. Si è parlato dunque di un Emergency Response Fund per la cybersicurezza, in attesa del Cyber Resilience Act programmato per il 2023. A quanto pare il tempo stringe e non si può rimandare oltre.

Conclusioni

Ma l’elemento forse più dirompente e terribilmente disarmante è che questa follia bellica che riporta nazioni, popoli, esseri viventi – umani ed animali – indietro di almeno 70 anni e ancor di più, arriva in un momento storico in cui l’idea stessa di guerra non è giustificabile sotto nessun profilo. Fino a qualche decennio fa si parlava senza remore di guerre tattiche, di deterrenza, di conflitti giustificati. Ma non c’era ancora stato l’orrore della Grande Guerra e della Seconda Guerra mondiale e dell’Olocausto. Solo dopo aver toccato l’orrore ed il baratro del male assoluto, il genere umano è rinato e con esso sono rifioriti i diritti e le libertà fondamentali che hanno condotto alla scrittura e approvazione di Carte dei diritti come la Costituzione italiana e quella dell’Unione europea.

Mai prima d’ora all’uomo era stata data la chance di 70 anni consecutivi di pace e prosperità che hanno insegnato, tra tante difficoltà, quali siano i tanti benefici della pace anche in termini di sviluppo economico, sociale e sanitario. Credevamo che almeno questi punti fossero assodati e metabolizzati. In tanti ritenevamo che mai più l’uomo potesse rinunciare a tali benefici della pace e del progresso, ed invece l’ottusità, la manipolazione, la prevaricazione e l’egoismo hanno prevalso ancora annichilendo in un sol colpo la civiltà giuridica, il progresso economico sociale ed la dignità umana.

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