Il cambiamento portato dall’Industria 4.0 richiede una visione di medio-lungo periodo e coinvolge l’azienda in modo sistemico, dall’imprenditore, al manager, ai dipendenti.
Alcuni studi indicano che nel prossimo decennio il modo di lavorare sarà profondamente mutato, generando rischi di obsolescenza di alcune professioni, ma al tempo stesso opportunità occupazionali legate a nuove figure professionali. Le imprese italiane avranno, quindi, bisogno di allineare le competenze delle persone che ne fanno parte per incrementare la propria competitività.
La formazione è per questo motivo una leva fondamentale per la riqualificazione e lo sviluppo delle competenze strategiche di addetti e manager, e non a caso è uno dei pilastri del Piano nazionale Impresa 4.0 promosso dal Governo.
Le statistiche dell’Eurostat ci dicono che l’Italia presenta una percentuale di lavoratori che partecipano a corsi di formazione inferiore di circa 2,5 punti percentuali rispetto alla media dell’Unione Europea.
Secondo l’Istat, nel 2015 soltanto il 60% delle imprese attive in Italia ha svolto attività di formazione professionale, con una propensione all’attività formativa maggiore da parte delle imprese del Nord-est (67%) che hanno un vantaggio su quelle delle Isole di addirittura 16 punti percentuali.
Il confronto tra le classi dimensionali delle imprese formatrici mette in risalto la tendenza ad una organizzazione più rilevante della formazione nelle imprese di maggiori dimensioni. Tale impostazione riguarda la presenza di un responsabile o di un ufficio che si occupa di formazione, la redazione di un piano, la predisposizione di un budget, il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori e di conseguenza la sottoscrizione di accordi integrativi aziendali per la formazione.
La serie storica degli indicatori di fonte INAPP degli investimenti delle imprese italiane in capitale umano mostra una progressiva, per quanto discontinua, ascesa del fenomeno, che a causa della crisi ha subito una drastica battuta di arresto, che ha riportato in pochi anni la situazione ai livelli dei primi anni Duemila.
L’impatto negativo della congiuntura economica, e delle misure di austerity adottate per farvi fronte, hanno ridimensionato, negli ultimi anni, la diffusione delle pratiche formative nelle aziende italiane, soprattutto di quelle necessarie ad aggiornare la cultura aziendale in materia di tecniche e tecnologie di produzione.
Le nuove tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 hanno cambiato radicalmente la gestione del sistema produttivo, l’integrazione nella supply chain, la gestione del flusso dei materiali lungo la catena acquisti-produzione-distribuzione. Per questo motivo è necessario che un maggior numero di addetti (e manager) delle nostre imprese industriali, soprattutto PMI, affronti le problematiche legate alle nuove metodologie di gestione della produzione e approfondisca le logiche alla base delle soluzioni informatizzate per la programmazione della produzione, al fine di acquisire le competenze per eccellere nel percorso di miglioramento delle prestazioni produttive e logistiche.
Una recente analisi econometrica dell’INAPP[1] ha mostrato che nelle nostre imprese l’ammontare degli investimenti in capitale fisico è positivamente correlato alla spesa in formazione professionale e questo vale soprattutto per le imprese con una elevata propensione innovativa. Gli investimenti in capitale umano e in capitale fisico sono pertanto complementari.
Questo lavoro, in definitiva, ribadisce l’efficacia della strategia di politica economica del Governo (il Piano Impresa 4.0) volta alla crescita delle imprese e, in particolar modo, degli investimenti, che tiene conto della complementarietà di questi ultimi con la qualità delle competenze della forza lavoro. Nel Piano, infatti, un set di incentivi orientato a favorire l’accumulazione di capitale fisico è stato disegnato in coordinamento con analoghi strumenti tesi a stimolare le attività formative.
Al fine di stimolare le imprese ad accrescere le competenze professionali dei propri dipendenti, Il Governo ha inserito nella nuova Manovra una specifica norma che introduce per il 2018 un credito d’imposta del 40% delle spese relative al costo aziendale del personale dipendente delle imprese per le ore impegnate in corsi di formazione specifici su tecnologie Impresa 4.0 applicate in selezionati ambiti di formazione: vendita e marketing; informatica e tecniche e tecnologie di produzione.
Si tratta di un’agevolazione che è stimata valere complessivamente 250 milioni di euro.
Il credito d’imposta massimo concedibile per impresa beneficiaria è pari a 300.000 euro. Il beneficio fiscale è subordinato alla condizione che le attività di formazione siano pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali. L’accordo tra le parti presuppone l’impegno reciproco affinché la formazione sia efficace e abbia come punto di partenza un serio bilancio delle competenze presenti in azienda, nonché un’analisi dei fabbisogni per definire gli investimenti e i corsi di formazione da organizzare.
Le attività di formazione ammissibili al credito d’imposta sono quelle svolte per acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano Nazionale Impresa 4.0. In particolare, vengono ammesse le spese per attività di formazione svolte per acquisire o consolidare conoscenze per l’applicazione di big data e analisi dei dati, cloud e fog computing, cyber security, sistemi cyber-fisici, prototipazione rapida, sistemi di visualizzazione e realtà aumentata, robotica avanzata e collaborativa, interfaccia uomo macchina, manifattura additiva, internet delle cose e delle macchine e integrazione digitale dei processi aziendali, applicate a specifici ambiti.
Con questa misura si apre un capitolo del Piano dove sono protagonisti le competenze e il lavoro e dove spetta alla politica creare un contesto istituzionale più favorevole alla valorizzazione del capitale umano.
Ma quello che deve essere chiaro è che il contributo delle imprese è imprescindibile per accrescere l’efficienza produttiva dell’intero sistema economico.
Gli imprenditori italiani devono cogliere le sfide del cambiamento, puntando sull’innovazione, sulla capacità di partecipare attivamente alle filiere produttive globali. Alcune lo hanno già fatto, altre, soprattutto fra le PMI, ancora stentano perché sembrano continuare a prediligere tecnologie e settori che non richiedono competenze elevate.
I trend tecnologici accadranno indipendentemente da ciò che le imprese italiane faranno e i vincitori saranno coloro in grado di partecipare pienamente in un ecosistema innovation-driven, ai danni di coloro in grado di offrire soltanto beni e servizi generati da lavoro scarsamente qualificato.