Pochi giorni fa la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha aperto un fascicolo sulle minacce apparse online contro la senatrice a vita Liliana Segre, 90enne scampata ai campi di sterminio.
Insulti apparsi in seguito alla pubblicizzazione della sua vaccinazione contro il Covid-19.
L’episodio, purtroppo, non stupisce, data la frequenza con cui il fenomeno dell’odio online si manifesta.
Si tratta, quindi, di capire, in primo luogo, quali siano le fattispecie di reato ipotizzabili e di fare qualche valutazione sul fenomeno, sulle tutele e sulle prospettive.
Diffamazione, minaccia, sostituzione di persona, aggravante di discriminazione o di odio razziale
La diffamazione online è una tipologia di reato ormai più che nota a chi frequenta social network: l’articolo 595 del Codice penale punisce chi lede l’onorabilità di una persona e l’utilizzo di un mezzo di pubblicità quale può essere un social network è un’aggravante specifica (prevista al comma 3 dell’articolo 595).
Il reato previsto e punito dall’articolo 612 del Codice penale, inoltre, sanziona chiunque minaccia l’incolumità fisica altrui: molto spesso frasi dette con leggerezza in un momento di rabbia o frustrazione possono integrare questa fattispecie.
L’utilizzo di un profilo social falso integra, ormai pacificamente, il reato di cui all’articolo 494 del Codice penale, reato plurioffensivo perché lede più beni giuridici tutelati dall’ordinamento, ossia la fede pubblica (cioè di tutti i consociati) e la fiducia del singolo indotto in errore.
Va detto che per quanto “pesanti” possano essere i reati sin qui elencati per chi li subisce, non si tratterebbe di ipotesi particolarmente gravi dal punto di vista del diritto penale: sono tutte punibili a querela della persona offesa che, spesso, non ipotizza neanche di sporgere denuncia per “qualche” insulto ricevuto online (solo la sostituzione di persona è procedibile d’ufficio).
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Discriminazione razziale
L’aggravante di discriminazione di odio etnico o razziale, però, cambia radicalmente la prospettiva; l’articolo 604 ter del Codice penale stabilisce, infatti, che “Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà.
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante”.
Oltre a stabilire un sostanziale aumento di pena ed un bilanciamento di circostanze molto più sfavorevole per chi commette il reato, l’aggravante determina la procedibilità d’ufficio – da qui l’apertura del fascicolo in autonomia della Procura di Milano – e sposta la competenza al Tribunale in composizione collegiale.
In altre parole, da uno “sfogo” razzista sui social possono derivare conseguenze penalmente rilevanti e molto serie.
La propaganda ed istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa
Anche l’istigazione all’odio ha conseguenze penali molto gravi; l’articolo 604 bis del Codice penale, infatti, stabilisce che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.
Anche in questo caso si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale in composizione collegiale.
Odio online: lesione dell’altrui onorabilità, minaccia e istigazione a delinquere
I reati elencati nei paragrafi precedenti colpiscono direttamente le vittime del comportamento: un insulto pubblico può ferire moltissimo una persona, così come una minaccia può intimidire moltissimo.
In entrambi queste ipotesi è necessario specificare che non si tratta di esprimere una propria opinione, ma di aggredire verbalmente un’altra persona, ledendone la sfera personale e pubblica.
Va quindi detto con forza che anche un’aggressione verbale, per quanto “spersonalizzata” dall’intermediazione dei social network, è violenza a tutti gli effetti. La condotta di istigazione o propaganda di idee suprematiste, anch’essa punita molto pesantemente, è diversa dalla mera espressione di un’opinione politica.
La condotta di istigazione o propaganda, infatti, mira a creare proseliti con lo scopo di indurli a porre in essere condotte sostanzialmente violente, anche solo sul piano verbale.
Per questa ragione è essenziale essere chiari ed espliciti e dire apertamente che diffamazione, minaccia, propaganda e istigazione all’odio razziale non sono reati d’opinione.
Sono delitti che mettono la violenza verbale (in vario modo declinata) al centro della condotta e sono solo un passo prima della violenza fisica vera e propria.
Per altro verso, in uno Stato democratico va radicalmente escluso che qualcuno possa essere sanzionato penalmente per il solo fatto di esternare un’opinione – per quanto non condivisibile, per quanto “orrenda”.
Il rischio è altissimo: si pensi alle ragioni della detenzione dello studente Patrik Zaki in Egitto, incolpato – per ora, pare, senza prove – di aver scritto dei post “sovversivi”.
La tutela penale, quindi, è importantissima, ma è ancor più importante che sia ben indirizzata; la conseguenza di un eccesso di zelo, in materia penale, è il “regime”.
Conclusioni e prospettive
A parere di chi scrive le minacce apparse online contro la senatrice a vita Liliana Segre sono un episodio molto triste, segno di un’esasperazione che sfocia in odio e che necessita di intervento.
La repressione penale, tuttavia, non è la soluzione a tutti i mali.
In primo luogo, i social dovrebbero essere intesi, anche sul piano normativo, come luoghi di vita concreata e non solo virtuale.
La spersonalizzazione consentita dalle piattaforme può portare più di qualcuno a tenere comportamenti che non ripeterebbe mai in presenza fisica: sarebbe opportuno ripensare seriamente in confini tra illecito amministrativo ed illecito penale, almeno per i casi più blandi di diffamazione e minaccia.
Anche le conseguenze di aprire un profilo social falso sarebbero da ripensare: rimozione e sanzione amministrativa nelle ipotesi più lievi ed intermedie sarebbero sufficienti, lasciando la tutela penale solo per le situazioni più gravi.