sfide e prospettive

Industria 4.0, Firpo (Mise): “Ecco cosa ci aspetta nel 2018”

Positivo il quadro incentivi, ma bisognerà vedere se si tradurrà nella crescita qualitativa della produzione, ossia un miglioramento della competitività Paese. Il vero obiettivo. Per questo, nel 2018 si completerà il network dei centri tecnologici e il focus si sposterà dalle macchine alle persone. Il nodo delle competenze

Pubblicato il 12 Dic 2017

Stefano Firpo

Direttore Generale per la politica industriale e la competitività - MiSE

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Il Piano Industria 4.0 ha certamente creato l’auspicato impulso all’ammodernamento del parco macchine nell’industria italiana. L’evidenza empirica a supporto di questa tesi si sta facendo sempre più chiara e cospicua, con una domanda interna di beni strumentali che nei primi nove mesi dell’anno ha abbondantemente superato il tasso di crescita del 10% e che continua progressivamente ad accelerare.

Non meno confortante appare la dinamica delle spese in R&S: le prime stime sembrerebbero prospettare un significativo incremento dopo tanti anni di sostanziale stagnazione. Tuttavia non sarà possibile effettuare una valutazione precisa del Piano prima del 2019, quando saranno disponibili i dati delle dichiarazioni dei redditi e si potrà analizzare con dettaglio l’effetto delle misure di agevolazione fiscale introdotte e potenziate dal Piano.

Non vi sono dubbi che, almeno in termini quantitativi, tutti i dati convergono nel definire un quadro positivo, sia in termini più generali di rinnovamento di un ormai assai obsoleto parco macchine e impianti (oltre 13,5 anni di età media, la più alta in Europa e la più elevata negli ultimi 40 anni in Italia), sia in termini una più profonda modernizzazione dei processi produttivi e di avvio di una riconversione della nostra manifattura verso il paradigma del 4.0 sfruttando la crescente convergenza e facilità di integrazione fra le tecnologie  tipiche della manifattura avanzata e dell’automazione industriale con le prime implementazioni addittive, combinandole alla digitalizzazione simultaneo di prodotto e layout di fabbrica per simulare e virtualizzare ogni passaggio e processo riducendo sprechi e inefficienze, migliorando la qualità del prodotto e sfruttando la possibilità di utilizzare enormi quantità di dati e informazioni per ottimizzare le produzioni, velocizzare il time to market e espandere i servizi associati al prodotto in una dinamica di sempre più forte connessione con la domanda di mercato.

Appare invece difficile, con i dati a nostra disposizione, comprendere appieno il discrimine tra sostituzione dei macchinari, innovazione dei processi produttivi e rivisitazione dei modelli di business. In altre parole se è chiaro come il Piano abbia prodotto un incremento nella quantità degli investimenti (con effetti positivi sulla crescita del PIL), ancora poco sappiamo se e quanto sia migliorata la loro qualità e quanto sia in grado di incidere sul recupero di produttività e competitività del nostro sistema produttivo (con particolare riguardo alla piccola impresa) che, in ultima istanza, costituisce l’obiettivo più sfidante del Piano stesso.

Col Piano ci siamo posti un obiettivo ambizioso: sostenere una migliore allocazione del capitale privato, modificando le convenienze relative tra tipologie di investimenti e rendendo più convenienti quelli più complessi e rischiosi che sono spesso anche quelli più produttivi e qualificanti per la crescita. Pur nel loro essere neutrali in termini di settore e di tecnologie, le misure del Piano hanno infatti una valenza fortemente selettiva, laddove la selettività non va intesa nel senso tradizionale di selezione settoriale ma va interpretata come una forte premialità fiscale per le scelte imprenditoriali orientate a strategie di investimento che puntano all’innovazione, alla ricerca e sviluppo, alla valorizzazione dei beni intangibili e del know-how, all’internazionalizzazione e al potenziamento delle competenze in qualunque settore.

Un ulteriore aspetto positivo del Piano è connesso alla capacità di tenere insieme l’obiettivo diretto – incrementare gli investimenti in un vastissimo insieme di settori industriali e non industriali (il piano si estende anche all’agricoltura o al mondo della logistica) – con quello indiretto – sostenere al contempo un settore trasversale come quello dell’automazione italiana che costituisce uno dei pilastri della nostra forza competitiva sui mercati internazionali. Non si è creato un effetto “pannelli solari”: la domanda di nuovi beni strumentali si è in larghissima misura rivolta ai produttori italiani, con un modesto incremento delle importazioni (diversamente da quanto avvenuto con le incentivazioni alle energie rinnovabili o sugli incentivi all’acquisto di automobili).

Confortato da queste prime evidenze, il Governo si è fortemente impegnato nel dare continuità al Piano rafforzandolo ulteriormente per il prossimo anno. Con il rinnovo di tutte le misure del Piano, la legge di bilancio 2018 che entra in questi giorni nella fase più accesa della discussione in Parlamento, dà forte continuità all’azione del Governo, portando a oltre 20 miliardi di euro l’impegno di risorse pubbliche.

A differenza di altri Paesi europei, dove sono presenti iniziative più e meno ampie a sostegno dei processi di digitalizzazione del manifatturiero, il Piano Industria 4.0 ha restituito nuova centralità alla politica industriale nel nostro Paese declinandola in una moderna accezione di intervento pro innovazione e facendone il pilastro della politica economica a favore di investimenti e crescita.

Con il rinnovo di misure quali il super e l’iper ammortamento e la nuova Sabatini, l’orizzonte del Piano si estende ulteriormente: dopo le inevitabili difficoltà nella fruizione di misure agevolative discontinue rispetto al passato, la stabilità del quadro normativo consentirà alle imprese di programmare al meglio tanto la quantità quanto la qualità degli investimenti futuri. L’apprezzabile azione di diffusione culturale avviata nel 2017 dovrebbe ormai aver chiarito la natura di un intervento pubblico non dirigistico e distante da troppo noti e infausti interventi a pioggia che troppo spesso hanno caratterizzato le politiche industriali del nostro Paese: le agevolazioni fiscali del Piano sono efficaci e vengono attivate condizionatamente alla capacità delle imprese di metterci risorse proprie, evitando così effetti di spiazzamento e crowding out facendo leva su strumenti automatici, di prevalente natura fiscale, di facile lettura e fruizione.

Nel corso del 2018, sia pure con qualche ritardo rispetto a quanto preventivato, si completerà anche il network dei centri dedicati al trasferimento tecnologico previsto dal Piano, con il consolidamento delle strutture delle Camere di Commercio (i cosiddetti Punto Impresa Digitale) e quelle promosse delle principali Associazioni di categorie (Digital Innovation Hub) e con la nascita dei Competence Center individuati attraverso una procedura a evidenza pubblica, di prossima emanazione. Una articolata infrastruttura di centri in grado di offrire in modo ben organizzato e sufficientemente distribuito sul territorio una moltitudine di servizi di formazione e trasferimento tecnologico alle imprese, sul modello dei Centri Catapult inglesi o dei poli di innovazione francesi, costituisce infatti una condizione necessaria per rendere le piccole e medie imprese il più possibile partecipi dei benefici della rivoluzione industriale in atto.

Nel 2018 si apre anche un nuovo e decisivo capitolo. Dalle macchine l’attenzione del Piano si sposta sulle persone. La piena comprensione delle potenzialità della quarta rivoluzione industriale richiede un cambio di paradigma e non può che passare per prima cosa dalla testa delle persone. È necessario che la trasformazione 4.0 non sia perseguita con il solo intento di “inseguire” condizioni fiscali di eccezionale favore, ma abbia come fondamento la volontà e la consapevolezza dei vantaggi che tale rivoluzione può comportare in termini di competitività partendo proprio da un rafforzamento delle competenze a tutti i livelli: tecnici e manageriali. La domanda di competenze da parte delle imprese è ancora estremamente immatura e poco sviluppata, troppo spesso il nostro capitalismo familiare si declina anche in un familismo manageriale poco attento e sensibile alle sollecitazioni di un tumultuoso progresso tecnologico.

La legge di bilancio 2018 dà finalmente concretezza all’azione di consolidamento del secondo pilastro del Piano – il fattore umano e il rafforzamento delle competenze – prevedendo, da una parte, l’introduzione di un credito di imposta sperimentale alla formazione sulle tecnologie 4.0 volto proprio a stimolare la domanda di competenze in azienda e il training on the job e, dall’altra parte, il forte rifinanziamento (con risorse quadruplicate nel triennio) degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), teso finalmente ad avviare il necessario potenziamento della nostra formazione terziaria professionalizzante.

È proprio sulle competenze che ci giochiamo il successo del Piano. Uno dei vincoli agli investimenti a maggior contenuto tecnologico risiede proprio nell’insufficiente set di competenze tecniche e manageriali all’interno di buona parte delle nostre imprese e soprattutto delle piccole, quelle che hanno una ancor maggiore necessità di fare un salto competitivo.

Anche sul fronte dell’offerta di tali competenze siamo indietro. Emblematico appare in tal senso un dato: Francia e Germania formano rispettivamente fra i 500 e gli 800 mila studenti attraverso il canale della formazione terziaria professionalizzate con i loro Instituts Universitaire de Tecnologie, le Sections de Techniciens Superieurs o le loro Fachhochschule; in Italia i nostri ITS non riescono a formare più 9 mila studenti e la formazione professionalizzante nelle università è ancora un esperimento  di assai incerto successo e comunque tutto da costruire.

L’inesistenza in Italia di una infrastruttura volta alla formazione professionalizzante di livello universitario  è  una se non la principale ragione dell’insufficiente numero di laureati in Italia, soprattutto nelle discipline tecniche e scientifiche. E dovrebbe far riflettere la scelta di rifinanziare ancora una volta prioritariamente il fondo per l’università a fronte della fatica da Sisifo per trovare poche decine di milioni di euro per potenziare il pilastro degli ITS.

La forza del Piano Industria 4.0 è quella di intervenire con decisione sui principali fattori di ritardo della nostra industria e più in generale del nostro sistema di imprese. Se sul fronte degli investimenti e della politica pro innovazione si sono fatti passi in avanti davvero decisivi (oggi il nostro Paese grazie al combinato disposto di credito di imposta alla R&S, patent box e super/iper ammortamento è fra i più attrattivi al mondo per fisco pro innovazione come testimonia il posizionamento dell’Italia nel Digital Tax Index 2017), sul potenziamento delle competenze abbiamo ancora molto terreno da recuperare. Potenziamento degli ITS, stimolo alla domanda di competenze e al training on the job nelle imprese sono solo prime iniziative che devono trovare nelle politiche attive sul lavoro e nel disegno di un vero e proprio “welfare della formazione continua” il terreno su cui dare risposte concrete al bisogno di protezione di tanti giovani e meno giovani in un mercato in cui il progresso tecnologico renderà il lavoro meno pesante e ripetitivo ma ancora più competitivo, flessibile e intermittente.

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