diseguaglianze sociali

L’intelligenza artificiale penalizza i Paesi poveri: gli studi

L’uso di sistemi di intelligenza artificiale secondo nuovi studi può essere un preoccupante fattore di esclusione sociale. Favorisce una distribuzione iniqua della ricchezza e condannando i Paesi in via di sviluppo a un ritardo digitale irreversibile. Servono nuove regole a tutela della popolazione più vulnerabile

Pubblicato il 08 Mar 2021

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

Photo by Markus Winkler on Unsplash

Al netto degli indiscutibili benefici prodotti dall’innovazione, tra gli effetti collaterali riconducibili al “lato oscuro” della tecnologia sembra esserci anche il rischio di un incremento della diseguaglianza sociale causata a livello globale dall’implementazione sempre più sofisticata dei sistemi di intelligenza artificiale, come rilevato da un recente studio dal titolo “The Limits of Global Inclusion in AI Development”, ove si prospettano una serie di preoccupanti rischi derivanti dagli usi applicativi dell’IA.

In un contesto globale di crescente divario digitale destinato ad alimentare il gap tra Paesi in ritardo tecnologico e Paesi evoluti all’avanguardia, con la conseguente proliferazione di nuove forme di insidiose povertà, la diffusione irregolare e non uniforme delle tecnologie potrebbe provocare una concentrazione di ricchezza limitata a determinate aree del mondo, a discapito di ampi strati della popolazione esposti al pericolo di una massiva esclusione sociale in grado di precludere la fruibilità dei vantaggi offerti dalle ICT.

L’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro

Nonostante la previsione di stime generali particolarmente proficue sulla crescita economica indotta dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, al punto tale da produrre ricavi pari a 15,7 trilioni di dollari entro il 2030, con un aumento del PIL globale sino al 26%, in realtà, a causa di una distribuzione iniqua dei benefici, l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul mercato del lavoro potrebbe determinare possibili implicazioni negative in una prospettiva futura imminente, alla luce di quanto descritto da uno studio del World Economic Forum secondo cui «nei prossimi 10 anni l’automazione cambierà il 50% dei posti di lavoro, 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali […] 1,2 miliardi di dipendenti in tutto il mondo saranno interessati dall’adattamento delle tecnologie di automazione e dell’intelligenza artificiale», in perfetta linea con le indicazioni del Report “The Future of Jobs 2018” che ipotizza entro il 2022 la scomparsa di 75 milioni posti di lavoro, con conseguente incremento della disoccupazione a causa di una significata contrazione occupazionale aggravata dalla diminuzione del livello salariale riguardante in modo particolare i soggetti privi di competenze specialistiche indispensabili per fruire delle nuove prospettive professionali collegate al settore ICT senza la necessaria riqualificazione della forza lavoro.

Il fronte della formazione

Sul versante della formazione, secondo la ricerca “Artificial Intelligence, Education, and Entrepreneurship”, “la scarsità del capitale umano necessario per la ricerca e lo sviluppo nell’intelligenza artificiale ha provocato una fuga di cervelli senza precedenti di professori di intelligenza artificiale dalle università nel 2004-2018”, con effetti diretti sulla qualità dei percorsi di apprendimento destinati a incrementare il ritardo delle nazioni sottosviluppate ed economicamente svantaggiate, ove i sistemi di riconoscimento che processano i dataset disponibili non riescono a classificare correttamente gli oggetti provenienti dai Paesi del “Terzo Mondo” e classificano con minore accuratezza le immagini riferibili a tali aree geografiche rispetto a una selezione di maggiore qualità secondo un’impostazione di matrice statunitense ed eurocentrica.

Disuguaglianze anche nei laboratori di ricerca

Oltre al contesto accademico istituzionale, si riscontrano diffuse disuguaglianze anche nei laboratori di ricerca sull’intelligenza artificiale istituiti dai “Colossi del Web” (come Google, Microsoft, Facebook) localizzati anche in Paesi in via di sviluppo, ove però risultano impiegati dipendenti provenienti dagli Stati Uniti d’America per coprire posizioni professionali che richiedono competenze tecniche di cui risulta priva la popolazione locale, come rilevato dallo studio “Mapping U.S. Multinationals’ Global AI R&D Activity” il 68% del personale impiegato in laboratori di ricerca istituti nel mondo proviene dagli USA.

Secondo i ricercatori di ImageNet, inoltre, nel sistema di crowdsourcing Amazon Mechanical Turk si stima che meno del 2% dei lavoratori impiegati provenga dal Sud del mondo con bassi salari legati all’assenza di abilità tecniche significative.

Il gap (irreversibile?) dei Paesi in via di sviluppo

Nonostante gli sforzi compiuti da organizzazioni sociali attive per promuovere l’inclusione tecnologica, come “Black in AI” e “Khipu”, costituite con la mission di aumentare la presenza di studiosi latinoamericano e persone di colore nel settore dell’Intelligenza Artificiale, insieme ad altre realtà operanti nel continente africano, come “Data Science Africa”, “Masakhane” e “Deep Learning Indaba”, impegnate a valorizzare le attività di ricerca della comunità di esperti africani, resta attualmente rilevante il gap dei Paesi in via di sviluppo rispetto ai Paesi tecnologicamente evoluti, anche a causa della mancanza di investimenti ingenti sui percorsi di formazione che impediscono di incrementare il livello di competenze della popolazione locale in condizioni di dipendenza esterna con conseguente rafforzamento della leadership straniera sempre più concentrata in posizioni monopolistiche che frenano lo sviluppo economico generale nel mondo, con effetti discriminatori destinati a incrementare i fattori di diseguaglianza.

In tale prospettiva, quindi, l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale sembra costituire un preoccupante fattore di esclusione sociale che potrebbe provocare una distribuzione iniqua della ricchezza condannando i Paesi in via di sviluppo a un ritardo digitale irreversibile non più colmabile rispetto alle performance riscontrabili nei Paesi tecnologicamente evoluti, ove l’adozione di strategie efficienti a lungo termine consentirà di mantenere riservato lo sfruttamento esclusivo dei benefici offerti dalle ICT.

Conclusioni

Per tale ragione, prendendo atto dei vantaggi che potrebbero derivare dalla fruibilità diffusa e generale dell’Intelligenza Artificiale, in termini di benessere generale della collettività, anche in attuazione dell’obiettivo 3 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, con ricadute positive di equità sociale realizzabili soprattutto nei Paesi del “Terzo mondo”, ove i sistemi di IA possono rappresentare strumenti indispensabili ad esempio per prevenire la diffusione di malattie e assicurare l’accesso alle cure mediche come si evince dal report “Artificial Intelligence for Healthcare in Africa”, occorre l’elaborazione di una nuova governance di regole a tutela della popolazione più vulnerabile in grado di garantire sicurezza, affidabilità e sostenibilità negli usi applicativi di tale tecnologia.

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