tecnologie e relazioni

Internet 3.0, così i social stanno cambiando la nostra cultura e mentalità

Quale trasformazione culturale c’è dietro il fenomeno internet 3.0, dei social. La modificazione delle mentalità e dei comportamenti sociali in un’epoca basata sulla “connessione sociale” piuttosto che sui “rapporti sociali”. E in cui misuriamo le persone (solo) in base a ciò che dicono di essere o fare

Pubblicato il 08 Giu 2018

Giovanni Dursi

docente di Filosofia e Scienze umane - Formatore

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L’esigenza d’interrogarsi sull’entità dell’impatto dell’Information and Communication Technologies e della “cultura digitale” sulla condizione umana scaturisce dalla vivacità delle trasformazioni tecniche e sociali in atto. Pur con i suoi momenti di stasi e di dinamismo, le sue simmetrie e le sue tensioni interne, oggi la relativa velocità del processo di “mutazione culturale” non può essere revocato in dubbio. Le domande sull’iter ed esiti dell’implementazione di segmenti di pratiche e conoscenze originali alludono all’affermazione di nuove idee, allo sviluppo scientifico o all’applicazione tecnica realizzata materialmente, nonché alla realizzazione di inediti prodotti o di processi produttivi, comprendendo in essa gli aspetti di design e di manufacturing.

Tecnologie, performance e relazioni

Tale quaestio nasce dalla consapevolezza di chi produce, organizza, promuove cultura avvalendosi di sistemi integrati di telecomunicazione, strumenti di gestione audio-video e correlati software, circa le capacità di raggiungere gli interessi di individui e comunità e di generare un immanente cambiamento comportamentale. Il prodotto, il servizio, l’azione culturale non esistono se non entrano in relazione con uno o più aggregati sociali unitamente alle loro peculiari forme di vita. Per questa ragione ogni formazione economico-sociale deve dotarsi permanentemente di innovativi strumenti per ampliare e diversificare le proprie attività, nonché per migliorarne la performance, oltre che per intensificare il potenziale inclusivo relazionale.

Definito, pertanto, il perimetro della dimensione extragenetica, artificiale, culturale della condizione umana, è fondamentale avere una visione chiara e strumenti adeguati per affrontare un compito che storicamente è stato lasciato – nel migliore dei casi – ad estemporanei servizi formativi e di socializzazione e attività di marketing e comunicazione, ma che raramente ha dato vita ad ambiti organizzati in grado d’essere nello stesso momento content-led e audience-focused.

La cultura come dispositivo di adattamento

Mutazione, selezione naturale, deriva genetica o drift e migrazione sono caratterizzanti l’evoluzione biologica; con altrettanta attenzione vanno apprezzati sul piano storico e dell’evoluzione culturale perché la cultura si “comporta” come un dispositivo di adattamento. La struttura biologica che lo rende possibile è encefalica. L’audience development cerca di dare una risposta alla necessità di un processo strutturato di ampliamento, diversificazione, intensificazione delle relazioni competenti in un’organizzazione sociale tra i soggetti che ne fanno parte, interpretandone al meglio l’orientamento culturale.

È il genetista Luigi L. Cavalli Sforza (2008)  [1] a porre l’accento sull’aspetto della “relazione” e della “comunicazione” sociali quando afferma: “la cultura è l’accumulo globale di conoscenza e di innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita. Questo sviluppo è stato reso possibile dalla capacità di comunicazione tra individui dovuta alla maturazione del linguaggio”.

Su di un altro versante disciplinare, Jurij M. Lotman [2], definendo il concetto di “semiosfera” ritiene che nessuna parte di un insieme, presa separatamente, è in grado di funzionare realmente: “lo fa soltanto se è immersa in un continuum semiotico pieno di formazioni di tipo diverso collocato a vari livelli di organizzazione”; è questo continuum – chiamato da Lotman semiosferache rende possibile la vita sociale, di relazione e comunicazione,  in analogia con il concetto di biosfera (Vernadskij), l’ambito necessario all’essere vivente per la sua sopravvivenza biologica. Si tratta di un continuum che è organizzato in modo peculiare.

L’autocostruzione della cultura

Analogamente all’idea dell’intero spazio della significazione rappresentato dalla semiosfera, nell’ambito dei differenti modi di trasmissione culturale, la trasmissione orizzontale che riguarda i legami sociali tra individui non congiunti necessariamente in un rapporto familiare diretto, è concepita dalla Psicologia interculturale come condivisione di significati. I sistemi culturali rappresentano una porzione di realtà prodotta da gruppi di persone in interazione (Moghaddam, Taylor, Wright, 1993); la cultura si autocostruisce come sistema organizzato di significati condivisi attraverso un processo interattivo (Greenfield, 1997; Smith & Bond 1998). Appartenere alla stessa cultura significa condividere il modo di relazionarsi con la realtà, ossia avere “lo stesso sguardo sul mondo e sul suo funzionamento” ed averne la consapevolezza (Chryssochoou 2004).

ICT, linguaggio e cultura digitale

La costruzione d’identità culturali che avviene condividendo socialmente le conoscenze, prevede la socializzazione di ogni persona nella cultura del proprio gruppo di appartenenza e da questa “inglobata”. Il processo di inculturazione coinvolge figure genitoriali, adulti significativi, coetanei, agenzie educative e mass-media. S’organizzano apprendimenti delle persone fino a renderle “culturalmente competenti” disseminando una sostanziale coerenza all’interno di un singolo gruppo culturale. Il linguaggio – oggi mediato dall’Information and Communication Technologies e della “cultura digitale” – rappresenta la caratteristica specie specifica umana ed è sempre l’abilità che agisce come volano antropologicoI sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere, come processo, è un processo di cognizione” (Maturana e Varela, 1985). Per questa ragione la relazіone tra fenomenologia ICT e retі neuralі genera nuove modalità di cognizione le quali, a loro volta, determinano un sistema.

Web 2.0 e nuova forma mentis

La realtà socio-culturale s’invera all’interno di un simile modello di acculturazione [3]. Certo, la trasmissione culturale non conduce alla riproduzione esatta di modelli culturali invariabili, omogenei e statici; va intesa come contaminazione e modifica nel tempo e nello spazio pubblico, come stratificazione di plurimi contatti di una persona o di un gruppo socio-culturale con una persona o un gruppo appartenente ad un sistema culturale differente. Tuttavia, oggi l’acculturazione può considerarsi fenomeno che si verifica quando individui e gruppi di culture differenti si trovano in una condizione continuativa di contatto ravvicinato, con conseguenti cambiamenti negli schemi culturali originali di uno o di entrambi i gruppi. Questo avviene all’interno di relazioni sociali date che, tendenzialmente, ridimensionano le peculiarità per “riconoscersi” nei codici della interattività, multimedialità comunicativa ed ontologia digitale. Si è in presenza, in altri termini, d’una acculturazione che è – contestualmente – cambiamento culturale, assimilazione, percorsi individuali di inclusione (“saggezza digitale” [4]), ma anche di una tipica ibridazione intergruppo. Tale fenomenologia sociale trova la sua eziologia nella cultura WEB 2.0. La forma mentis [5] è indotta dalla rete telematica policentrica. L’idea è che l’azione efficace sia spiegabile in termini di procedure algoritmiche per la manipolazione di “dati” astratti rispetto a delle “strutture di conoscenza”. Questo approccio è ben conosciuto dalla Scuola di Psicologia dello “Human Information Processing” (HIP), dall’intelligenza artificiale e dalle “Scienze cognitive” che si collocano nell’intersezione delle prime due. In altri termini, va detto che l’appartenenza ad una comunità virtuale attiene alla complessità della natura umana. La digitalizzazione non rende l’uomo altro da sé: di conseguenza, le relazioni fra individuo materiale e cibernauta non sono declinabili in termini di alterità soggettiva.

I social network e il concetto di 3.0

Pur non essendoci su Web 2.0 una definizione univoca (quando i termini diventano di “successo”, se ne perde l’eziologia), si vuole altresì “definire” il “concetto” di 3.0. Il termine “Web 2.0”, coniato appositamente nel 2005 da Tim O’Reilly per designare molteplici tecniche e applicazioni interattive in Internet, tuttavia, dal momento che la gran parte delle tecnologie non è qualcosa di nuovo, descrive innanzitutto una rinnovata Weltanschauung in relazione a Internet.

I social network possono essere considerati “luoghi virtuali” ai quali gli utenti possono accedere dopo essersi registrati e aver creato un profilo personale. Dopo essere diventati membri della community possono quindi interagire con altri utenti, comunicare, condividere opinioni, idee, file, foto, video e restare perennemente in contatto. Si può ben dire, insomma, che sui social network è l’utente stesso che produce il contenuto. Aggiungiamo poi che i social network possono essere distinti in  base al focus della loro attività: creare nuove relazioni, rafforzare le relazioni esistenti, condividere contenuti di tipo personale o di tipo professionale (pensiamo alla differenza tra Facebook e LinkedIn).

Ora, sinteticamente chiarita la “dinamica” e constatata la costante evoluzione verso la “convergenza” tecnologica, per la navigazione consapevole in rete, va compreso il “concetto” di 3.0, concetto che non allude ad aspetti tecnici né di mera “fruibilità” della rete o mero “protagonismo” in rete. Riguarda:

  • il condizionamento sociale e la capacità di critica ad esso stante la pervasività dei mezzi di comunicazione (con allusione ad un’analisi micro-bio-sociologica dell’interazione sociale);
  • la possibilità di individuare le radici della crisi di identità, attraversata dai sistemi sociali “avanzati”, nella “crisi di legittimazione” [6] e nella comunicazione sociale, quel meccanismo, discorsivo, di soddisfazione (o critica; qui va anche “accettata” la verità dell’alienazione) delle pretese normative del sistema;
  • il “sostenere” culturalmente e politicamente la transizione epocale, prevalentemente basata sulla “connessione sociale” piuttosto che sui “rapporti sociali” [7], ristabilendo una visione “strutturale” laddove il sistema sociale, per garantirsi stabilità e sopravvivenza, opera come “riduttore selettivo” (il potere sceglie alternative per altri soggetti, riducendo subdolamente la comunicazione potestativa ad alternative di costume)
  • l’orientamento a generare “cosignificazioni” quale caratteristica della nuova forma di comunicazione-connessione-relazione sociale in grado di superare dialetticamente le distorsioni indotte dal mutamento di paradigma dalla “coscienza” alla “comunicazione” [8] che ha reso vulnerabili (A. Giddens), nella “globalizzazione” egemonizzata dall’Occidente a struttura economica “mercantile”, ed evanescenti i contenuti dell’“immaginario” [9] proprio delle autodefinite contro-culture.

In conclusione, possiamo definire il “concetto” di 3.0 come generazione di un’esistenza priva di “ideologie” in grado di coprire con immagini e giustificazioni illusorie la realtà dei fatti e delle cose. Con esso si intende ricostituire un orizzonte entro il quale non misurare le persone sulla base di ciò che sono o fanno, da ciò che dicono o pensano di essere e di fare, così come non si giudica un’epoca, o una classe sociale, dalle rappresentazioni che essa fa di sé stessa [10].

E, ancora, il “concetto” di 3.0 si scontra con le alterazioni messe in atto della comunicazione intesa come dimensione cognitiva subdolamente falsificata che perde il contatto con una comunità la quale risponde, viceversa, a bisogni identitari culturalmente e socialmente universali di rilevanza socio-bio-politica [11]. In quanto nozione prima, il “concetto” di 3.0 non è delimitabile in un continuum teorico che sottintende alla ricerca economico-sociale, al connesso sviluppo tecnico, al mutamento delle mentalità e delle condotte sociali, poiché individui, moltitudini e sistema sociale sono prodotti da relazioni sociali non esistenti in actu se attraverso e nei soggetti che le attualizzano. Solo pensare ed operare in termini relazionali materialisticamente concreti permette di riprodurre la società cosiddetta post-moderna [12] e di raffigurare il connubio informatico-telematico nelle sue potenzialità genuinamente emancipatrici e liberatorie [13].

.

__________________________________________________________

[1] Cavalli Sforza L.L., L’evoluzione della cultura, Codice Edizioni, 2008.

[2] La semiosfera: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Jurij M. Lotman (1984); a cura di Simonetta Salvestroni, Marsilio, 1985.

[3] Nel lessico antropologico il termine/concetto “acculturazione” descrive il processo di cambiamento bidirezionale che si ha quando due gruppi etnici entrano in contatto. Tale contatto, infatti, influenza sia il gruppo immigrante sia il gruppo ospitante. Il termine “acculturazione psicologica” indica, quindi, i cambiamenti che avvengono in un individuo il cui gruppo culturale sta sperimentando un processo di acculturazione.

[4] Rif. “La mente aumentata. Dai nativi digitali alla saggezza digitale, Marc Prensky, 2013.

[5] Struttura mentale, soprattutto con riguardo al modo di considerare e intendere la realtà, quale si determina nell’individuo, per indole e per educazione.

[6] J. Habermas, “La crisi della razionalità nel capitalismo maturo”, Laterza, Bari, 1975 (ed. or. Id., Legitimationsprobleme im SpätKapitalismus, Suhrkamp Verlag, Francoforte, 1973).

[7] È N. Luhmann – “Potere e complessità sociale”, 1975 – che raccoglie i risultati degli studi dell’interazionismo simbolico di E. Goffman – “Modelli di interazione”, 1969.

[8]  J. Habermas, “Teoria dell’agire comunicativo”, 1981.

[9] Trasfigurati ed avulsi da ogni concreto avvenimento quotidiano; E. Morin, “L’industria culturale – Saggio sulla cultura di massa”, 1963.

[10] Rif. “Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, a cura di E. Balibar e V. Morfino, 2014.

[11] U. Bernardi, “Comunità come bisogno”, 1981.

[12] P. P. Donati, “Teoria relazionale della società”, 1991.

[13] Rif. R. Braidotti, “Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte”, 2014.

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