Sburocratizzare ed efficientare i processi per velocizzare e coordinare le decisioni e soprattutto la loro attuazione concreta: questa l’azione numero uno che il governo Letta dovrà mettere a segno se vorrà portare a compimento o quantomeno dare la stura ai progetti del “piano” Agenda digitale. Ne è convinto Giorgio Rapari, presidente Assintel il quale invita il nuovo esecutivo a passare all’azione: “L’emergenza è tale – sottolinea – che abbiamo il dovere di valutare solo i fatti, e non più i buoni propositi né le parole. Per noi, che rappresentiamo le imprese e gli imprenditori innovativi, è tempo di cose concrete. Avevamo plaudito al cosiddetto Decreto Crescita 2.0, per noi una delle novità più interessanti del Governo tecnico. Avevamo plaudito all’Agenda digitale, che si delineava come il primo abbozzo di piano strategico che creasse una regia in favore dell’evoluzione digitale di tutto il Paese. “Avevamo”: trapassato prossimo”.
Sulle 19 novità introdotte dal decreto quelle in vigore sono ancora troppo poche per un bilancio positivo e per molte delle azioni i tempi potrebbero dilatarsi oltre le aspettative “fra decreti attuativi e infinite concertazioni fra le strutture e i ministeri fra i quali si parcellizza la titolarità di decisione”. Ed è proprio questo uno dei nodi più intricati da sciogliere: “La distribuzione dei nuovi ministeri non lascia ben sperare – commenta il presidente di Assintel -. Non c’è un ministro ad hoc per l’Innovazione, dunque al momento le sorti dell’Agenda digitale dipendono dai singoli ministeri di competenza. Con una forte componente in seno all’Economia, dove Catricalà ha un ruolo sì di “hub” relativo all’Agenda, ma come primus inter pares rispetto agli almeno altri quattro ministeri che vi afferiscono. La mia sollecitazione è di principio, sui criteri che dovrebbero essere adottati: efficienza, efficacia e velocità”.
Secondo Rapari l’Italia sta mancando tutti gli appuntamenti “strategici” per uscire dalla crisi e il ritardo con i Paesi “competitor” continua a farsi sentire: “In Europa – ricorda – siamo al 15esimo posto nel gruppo dei ‘moderate innovators’; il World Economic Forum ci classifica al 51esimo posto per la nostra capacità di usare le tecnologie per sviluppare competitività e benessere per i cittadini. Se adottassimo tutte le indicazioni dell’Agenda digitale, e quella europea ne indica 101, Bruxelles stima che il nostro Pil potrebbe crescere fino al 5% e potrebbero nascere addirittura fino a 4 milioni di posti di lavoro”.
Altra nota dolente il rapporto fra ricerca e innovazione e Pil, fra i più bassi tra i Paesi avanzati, puntualizza Rapari: “Ciò è sì causato da un lato dalla struttura troppo piccola delle imprese, ma dall’altro va evidenziata la mancanza di un vero sistema di finanziamento dell’innovazione che metta a sistema strumenti pubblici e privati”.
L’efficientamento dei processi e la governance dell’Agenda devono dunque essere accompagnati dai finanziamenti all’innovazione. E Rapari indica una roadmap chiara: “Il piano va splittato in tre punti. Dobbiamo innanzitutto uscire da politiche cieche di austerity, per permettere alla PA di riacquisire un sano ruolo anticiclico di spinta all’economia sana. Dobbiamo imparare a creare reti di imprese e progetti per agganciarci ai finanziamenti europei, ormai proiettati sempre più verso l’impresa creativa e digitale. E dobbiamo incanalare in modo stretto il sistema bancario privato a finanziare le imprese innovative e chi introduce innovazioni di prodotto e di processo”. Il ricorso a venture e seed capital può essere certamente una via. Ma non l’unica: “Servono consistenti sgravi fiscali per chi innova e reinveste in innovazione”.
Last but non least è necessaria – secondo il numero uno dell’Associazione – una completa revisione del sistema di tassazione del lavoro, “divenuto insostenibile”. “Per noi imprese digitali e Ict il lavoro è il principale costo fisso, non avendo grandi costi legati a macchinari. Ed è anche il nostro primario patrimonio, tanto che parliamo sempre più insistentemente di talenti e non di addetti”. Rapari ci tiene a evidenziare anche la faccia positiva della medaglia e a riconoscere al sistema imprenditoriale nazionale una tenuta alla crisi. “Nonostante la politica, il nostro sistema imprenditoriale è vivo e vegeto con la sua forza d’animo e la sua creatività”.
Con AssintelDigitale è in uscita una ricerca – prima nel suo genere – che mappa l’intero ecosistema digitale, fatto di 230.000 aziende e 900.000 occupati regolari. “I primi dati ci mostrano come la nuova impresa digitale è forse l’unica che cresce, nonostante la crisi. È il made in Italy digitale, un settore nuovo ancora in cerca di identità comune, che svolge per il Paese una fondamentale funzione di stimolo all’innovazione. E verso l’estero esempio di eccellenza. Ma per valorizzarlo serve che la politica si renda conto della sua strategicità ed impari a considerarlo con approcci e linguaggi nuovi”.