Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
“Sei senza memorie connesse, vero?”
“Sì senza… si sono sconnesse tutte insieme… in tutta la galassia, vero?”
Le tre sedie antiche. Attorniate. La vetrata assetata. Di cieli diversi. La strada in salita. Oltre il piccolo prato. Affannato. Ascoltato. Deriso. Spiato.
“Sì, memorie tutte staccate, distrutte, mia cara!… È stato il dottor Mabiis… responsabile del Grand Ictus Mnemonico…” sillabava Sama Hargo, analista del linguaggio e delle memorie della Memory Squad 11. Rintanata al primo piano del bus rosso. Il bus assopiva due stradine più in alto. La villetta laggiù. Lui e lei in conversazione. Ed io. “Nessuna memoria connessa… strano comunque, la umanide sembrerebbe strapiena… È ingaggiata in sentimenti complessi.” Lapidava Sam Hargo.
“Da quanto l’assisti?” silenziai.
“Non l’assisto…stiamo insieme…”
“Non volevo offenderti…”
“Capisco.”
Occhi incisi. Assolati. Resistenti. Trascorsi. Irrorati. Pestati. Strisciati. Di silenzi. Il silenzio attratto. La testa piegata.
“Come sta?” ripresi.
“Guarda oltre la vetrata… ma sta ancora male… di testa… ma non è la noia. Quella no… Roba passata. È il rimpianto… i rimpianti… di non aver deviato, non esser stato libero…”
“Da quanto tempo”?”
“Da quando era bambino… saranno centoventi, centotrent’anni… non è stata colpa sua… tutti hanno evitato i colpi di testa. Nessuno è uscito dai binari… tutti conoscevano alla perfezione il proprio futuro. Non vedevamo alternative…”
“Oddio quasi tutti…”
“Va bene, quasi tutti… Lui non ha osato neppure un solo piccolo gesto di autonomia, d’indipendenza dal futuro segnato, prestabilito dalle memorie connesse… e adesso sprofonda nei rimpianti… ha capito…”
“Forse non ha capito, forse ha solo sentito come sarebbe stato bene senza futuro… mentre allora… un gesto, anche uno solo, anche microscopico, ma comunque difficilissimo, impensabile… chi mai poteva deviare dalla comoda, perfetta, visione del proprio futuro? Se non vedi altro… è esattamente come si faceva una volta, come facevano i nostri avi quando ubbidivano ciecamente… sai, il dittatorello di turno… il capo carismatico… il leader totale… indicava la via e nessuno sgarrava. Era così comodo… era così giusto essere un tutt’uno, nessuno che rompe le righe… nessuno che disobbedisce… l’onta della disubbidienza! I genocidi dell’obbedienza cieca… ”
“Non ti seguo…”
“Capisco.”
“Se riuscissi almeno a fargli attraversare…”
Silenzio. Il sole seduce la vetrata.
“Sei una umanide?…”
“Si capisce?”
“Non lo so… certo non ci sono più memorie connesse…”
“Non ci sono mai state fra me e lui… forse è per questo che sta così male…”
“O forse è per questo che il dolore gli fa così bene…”
Lei pianse a dirotto.
Le strinse la mano.
(119 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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