gestire persone e team

Musk e la cultura tossica del lavoro: così le neuroscienze ci aiutano nel worklife balance

Elon Musk: innovatore carismatico o simbolo di una cultura spaccona del lavoro? Di sicuro è l’emblema di una leadership “bulla” che i dipendenti non accettano più e ci dà lo spunto per capire come neuroscienze, possono aiutare le organizzazioni a gestire le situazioni di crisi e cosa ci insegnano sul worklife balance

Pubblicato il 25 Nov 2022

Laura Cavallaro

Partner P4I

Marco Planzi

Partner, P4I

musk twitter

Elon Musk, genio innovatore o esponente di una vecchia cultura tossica del lavoro? Musk, com’è noto, non si è limitato a più che dimezzare la forza lavoro in un colpo solo (a circa 3000 dipendenti) ma ha anche posto un aut aut ai superstiti: chi rimane dovrà lavorare moltissimo e senza guardare l’orologio e addio allo smart working; l’alternativa è il licenziamento, appunto. 

La ribellione dei dipendenti di Twitter al modello di lavoro di Elon Musk

I dipendenti avrebbero dovuto affrontare un periodo di lavoro “hardcore” (tante ore ad alta intensità), durante il quale soltanto le persone con performance eccezionali avrebbero avuto una promozione. I collaboratori che non avessero accettato queste condizioni avrebbero avuto la possibilità di dimettersi entro una settimana con il beneficio di tre mesi di stipendio come liquidazione.

Quest’ultima comunicazione ha scatenato una vera e propria ribellione, culminata in un’ulteriore ondata di 900 dimissioni volontarie (quasi un quarto dei dipendenti rimanenti), così imponente che Twitter è stata costretta a chiudere i suoi uffici.

Focalizzandoci però non tanto sulle conseguenze economiche di queste decisioni (tra cui anche il fatto che alcune aziende come General Motors, Pfizer, L’Oreal hanno ritirato o sospeso gli investimenti pubblicitari su Twitter), emergono due considerazioni:

  • Oggi, anche un leader carismatico come Elon Musk, che ha dimostrato in passato di saper suscitare un’incredibile attrazione motivazionale verso i suoi progetti, nel caso di Twitter fa fatica e mostra il fianco quando cerca di mobilitare le energie nascoste dei team. Se da un lato Musk esprime una visione ambiziosa di cambiamento di Twitter, dall’altro mette in pratica azioni attraverso le quali dimostra apertamente di considerare i collaboratori come un mero fattore della produzione e non come persone. La cultura spaccona (in gergo chiamata hustle culture), su cui si basano una parte dei successi della prima ora di colossi digitali molto ammirati, non è priva di conseguenze e mostra molti limiti.
  • La seconda osservazione è che effettivamente le priorità delle persone stanno cambiando e il work-life balance sta diventando sempre più importante, anche in quelle organizzazioni come le Big Tech che, quasi per definizione, non lo hanno mai considerato un valore distintivo.

Come sta evolvendo il concetto di lavoro e di work-life balance

Eppure, ci sono segnali, nemmeno così deboli, che le priorità delle persone sono oramai diverse dal passato. Privilegiare unicamente le “performance eccezionali”, per usare le parole di Musk, senza considerare le energie che servono per ottenerle è una pessima applicazione pratica delle teorie organizzative del lavoro per obiettivi. Se davvero intendiamo lavorare per obiettivi, al binomio prestazione elevata ed esaurimento va sostituito il binomio produttività ed equilibrio.

Musk, ma quale visionario: a Twitter ha mostrato il peggio del capitalismo

L’idea del lavoro h24, della sveglia alle 5 del mattino per lavorare, del saltare i pasti per non perdere tempo utile al lavoro, sta gradualmente evolvendo verso un modello di lavoro che viene considerato innovativo, ma è semplicemente più umano. Nel 2019, Forbes pubblicava una ricerca secondo cui i Millennials erano affetti dal cosiddetto “workaholism”, tant’è che il 32% dichiarava di lavorare anche seduto al bagno, il 63% affermava di lavorare anche in malattia, il 70% rimaneva attivo anche durante il weekend.

Ebbene, emerge ora come le organizzazioni siano chiamate a riallinearsi con ciò che muove davvero la motivazione delle persone, perché rischiano in primis di rimetterci loro. Infatti, secondo uno studio compiuto da MIT Sloan a gennaio 2022, la cultura tossica del lavoro è la ragione numero uno per cui le persone lasciano il proprio lavoro e che sta quindi trainando fenomeni come la Great Resignation e il Quiet Quitting: tra le abitudini tossiche troviamo proprio la violazione della fiducia e il continuo sconfinamento nella vita privata delle persone.

E le alternative sono a portata di mano! Le organizzazioni possono continuare a premiare l’intraprendenza, la capacità e l’etica del lavoro, purché riconoscano che le persone devono essere in grado di prendersi cura di sé stesse oltreché del proprio lavoro. Se vogliamo crescere verso una vita più equilibrata, dobbiamo rendere la cura di noi stessi una parte intenzionale della nostra giornata lavorativa, abituandoci a pensare che sia un vero e proprio vantaggio sia individuale che per l’impresa, visto che questo equilibrio determina la qualità del lavoro e, in fin dei conti, fa ottenere proprio quelle “performance eccezionali” che stanno a cuore a Musk senza esaurire le risorse delle persone e dell’organizzazione. Tradotta in termini banali, senza arrivare a scomodare il poeta Giovenale e il suo “Mens sana in corpore sano”, quando le persone si riposano a sufficienza, si idratano, si alimentano e si sentono serene, sono maggiormente pronte ad affrontare attività complesse e difficili, sono più sensibili nei rapporti interpersonali, prendono migliori decisioni e sono colleghi più apprezzabili.

Di conseguenza, l’equilibrio non deve più essere considerato un capriccio, bensì uno dei valori aggiunti all’esperienza lavorativa dei collaboratori. Per comprendere però le ragioni più scientifiche che stanno alle spalle di una presa di posizione di questo tipo, ci vengono in aiuto le neuroscienze.

Cosa ci insegnano le neuroscienze sul work-life balance e perché è utile conoscerle all’interno delle organizzazioni

Le Neuroscienze, ovvero l’insieme degli studi scientificamente condotti sul sistema nervoso e combinati con psicologia e linguistica, stanno prendendo sempre più piede nel contesto lavorativo e offrono diversi spunti che possono venire utili per comprendere al meglio l’importanza del work-life balance con una base scientifica e non solo come componente “soft” della cultura aziendale e lavorativa.

Uno dei concetti cardine delle neuroscienze è, infatti, la connessione corpo-cervello: per anni nel business si è creduto che ciò che pensavamo e sentivamo non avesse alcun impatto sul corpo e che viceversa le condizioni fisiche non impattassero in alcun modo sulla nostra capacità di prendere decisioni o sulla nostra propensione al rischio. Gli studi neuroscientifici hanno invece dimostrato che non è così e che cervello, comportamenti e attitudini organizzative sono strettamente collegati.

Percepire questa connessione però non è semplice, soprattutto perché non siamo più allenati a cogliere i segnali del corpo. Vi è un senso, oltre ai 5 che ben conosciamo, chiamato interocezione – percezione della fisiologia del corpo comprendente le emozioni e le sensazioni date dalle viscere[1]che è fondamentale sviluppare per essere un buon leader.
E proprio in questo le Neuroscienze risultano efficaci: rappresentano un supporto nella gestione delle persone attraverso la scoperta di come funziona il cervello umano e di come le sostanze neurochimiche e gli ormoni guidano e influenzano il comportamento umano anche in un contesto lavorativo.

Primo tra tutti, il cortisolo: conosciuto anche come ormone dello stress, rappresenta una di quelle sostanze che devono essere gestite correttamente all’interno dei team per evitare sovra-stress e un peggioramento delle performance e della capacità di concentrazione.
In questo senso, è il leader (o manager) che “sets the tone”, ovvero che definisce l’umore del suo team: un basso livello di stress e di cortisolo del leader corrisponde ad un livello contenuto di stress nelle persone che lavorano con lui.
Quindi, essendo consapevoli degli effetti del nostro ambiente lavorativo e dei colleghi con cui lavoriamo sul cervello e sul nostro modo di agire e pensare, possiamo moderare e gestire meglio emozioni, reazioni, pensieri e relazioni interpersonali.

Le Neuroscienze però ci suggeriscono anche altre attitudini di comportamento problematiche che devono essere modificate e che impattano negativamente sulla cultura organizzativa, rendendola tossica:

  • La mancanza di sonno: secondo le Neuroscienze, infatti, il riposo è fondamentale per il corretto funzionamento del cervello, perché attraverso il riposo si eliminano le tossine che si accumulano durante il giorno e che sono le stesse riscontrabili in malattie degenerative come il Parkinson o l’Alzheimer.
  • La scarsa idratazione: l’idratazione è fondamentale per la memoria e l’apprendimento. Arrivare ad un livello di disidratazione superiore che va dall’1% al 3% può essere deleterio per il continuo apprendimento e per un buon rendimento.
  • Saltare i pasti: il cervello è un organo metabolicamente molto attivo, ma non è in grado di immagazzinare glucosio (il suo principale nutrimento). Di conseguenza, saltare i pasti appositamente per lavorare è scorretto perché non si fornisce energia al cervello e si rischia di avere effetti negativi sulla memoria, sulle performance e sulla concentrazione.
  • La sedentarietà: senza una corretta ossigenazione, nel senso di ossigenazione nel sangue, che arriva poi direttamente al cervello, viene meno l’efficacia di alcuni elementi come il fattore neurotrofico cerebrale che favorisce lo sviluppo del cervello e il suo buon funzionamento. Per questo è importante prendere pause, allenare la respirazione e anche ricavare alcuni momenti della propria settimana all’esercizio fisico.

Conclusioni

In conclusione, gli studi neuroscientifici forniscono strumenti utili e concreti per la gestione innovativa di team e persone: ciò va proprio incontro alle nuove esigenze e alle nuove priorità dei lavoratori, che desiderano un ambiente lavorativo sano, equilibrato e non “spaccone” come quello che è stato proposto da Elon Musk. E forse uno studio attento del sistema nervoso, applicandolo al contesto lavorativo odierno, ci permetterà di uscire dalla narrativa tossica oltreché ormai “antica” del capo geniale e bullo.

Note

  1. Per approfondire: Frontiers | Interoception and Empathy Impact Perspective Taking (frontiersin.org)

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