comunicazione scientifica

Salviamo la scienza dai talk show: la lezione da imparare dal Covid

La scienza, quando si muove alle frontiere della conoscenza, come nel caso covid, va avanti per ipotesi, per tentativi ed errori. Il dibattito scientifico deve rimanere confinato all’interno dei laboratori o comunicato con rigore e professionalità. Servono spazi appositi, lontani dai pollai TV o ne pagheremo le conseguenze

Pubblicato il 06 Ott 2021

Domenico Marino

Università Degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

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È passato più di un anno e mezzo da quando è scoppiata la pandemia da Covid 19 che ha proiettato l’umanità in una dimensione nuova e fino ad allora inesplorata da questa generazione.

La risposta da parte del mondo scientifico è stata straordinaria, tutti si sono rimboccati le maniche e hanno affrontato questo virus sconosciuto e letale divenendo capaci in breve tempo di ottenere armi in grado di batterlo. Essere riusciti in circa 18-20 mesi non solo a ottenere un vaccino, ma a immunizzare, almeno nel caso dei paesi più avanzati, più del 70% della popolazione over 12 è un risultato prodigioso.

Il ruolo dei valori nella Scienza: il caso dell’intelligenza artificiale

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Anche la ricerca scientifica ha fatto passi avanti enormi con l’avvento dei farmaci a mRNA, con l’utilizzo sempre più diffuso degli algoritmi di intelligenza artificiale tanto che si può dire che grazie al Covid la medicina ha fatto un balzo avanti di dieci anni, anche a causa degli investimenti generosi che sono stati elargiti alla ricerca in campo medico sotto la spinta della paura collettiva generata dalla pandemia.

Tuttavia, non si può non riconoscere a consuntivo, che tutti questi enormi successi sono stati comunicati poco e male. Negli ultimi giorni diversi autorevoli articoli del New York Times hanno richiamato l’attenzione sul fatto che “18 mesi di messaggi pandemici in continua evoluzione hanno lasciato gli americani arrabbiati, esausti e scettici sui consigli sulla salute pubblica”.

L’immagine e l’idea completamente sbagliata che i mass media e i social hanno trasmesso in relazione al dibattito scientifico è stata, e purtroppo lo è ancora, quello di una scienza che non ha le idee chiare su molti punti. Questo drammatico fallimento comunicativo ha dato fiato e forza a tante frange estremiste che, per motivi diversi e anche per fini eterogeni, hanno proposto teorie fantasiose e prive di ogni fondamento scientifico, affermando, ad esempio, che il covid non esiste, che le morti sono un‘invenzione cinematografica, che i vaccini altro non sono che dei chip che vengono impiantati nella popolazione per meglio controllarli.

L’ignoranza elevata a sistema

Dai no-vax al complotto delle Big Pharma è tutto un florilegio di tesi complottistiche e pseudoscientifiche che hanno un unico comune denominatore costituito dall’ignoranza elevata a sistema. Il tutto è stato amplificato dai social che hanno dato una tribuna e un diritto di parola agli scemi del villaggio di turno che in ambiente social si sono scoperti numerosi e solidali e hanno fatto comunella fra di loro amplificando le loro fake news.

Facendo un esame coscienza serio non possiamo non riconoscere che una delle cause di questa situazione sta nel cattivo uso della comunicazione scientifica durante la pandemia e su questo sarebbe utile che tutti i media cominciassero fare una seria autocritica.

Oroscopi e algoritmi predittivi: così abbiamo trasformato il calcolo in “feticcio”

La divulgazione di informazioni su teorie scientifiche consolidate da un lato e la descrizione del processo di ricerca per fare nuove scoperte dall’altro sono due aspetti diversi che non possono avere lo stesso codice comunicativo. La scienza, quando si muove alle frontiere della conoscenza, come nel caso del covid, va avanti per ipotesi, per tentativi ed errori, cercando di imparare ogni giorno dagli errori di ieri. Questo dibattito scientifico deve rimanere confinato all’interno dei laboratori o, se deve essere comunicato al grande pubblico, lo si deve fare con grande rigore e molta professionalità.

Gli spazi della divulgazione scientifica non sono i talk show

Non si può, come purtroppo si è stato fatto, e come, ahimè, si continua a fare, portare il dibattito scientifico dentro i talk show per fare audience. È già difficile discutere all’interno dei talk show di teorie scientifiche consolidate, perché in quel guazzabuglio di nani, ballerine, politici e personaggi in cerca di autore lo scienziato vero si sente fuori posto e, soprattutto, la sua opinione autorevole viene contrapposta a quella dell’ultimo opinionista che ha studiato il canovaccio cinque minuti prima di entrare in scena per fare semplicemente spettacolo. La divulgazione scientifica ha bisogno di spazi e di momenti appropriati. L’utilizzo del talk show come agorà nella quale contrapporre le diverse opinioni degli scienziati in quella fase delicata in cui la ricerca scientifica si scontra con un fatto nuovo e sconosciuto e comincia faticosamente a fare uno sforzo costruttivista di ipotesi, verifiche, errori e nuove ipotesi, è profondamente sbagliato e deleterio.

Vedremo, quindi, i cosiddetti esperti accapigliarsi fra di loro, sostenendo ognuno le proprie tesi e spesso contraddicendosi fra di loro. Questo fa parte della normale “dialettica di laboratorio”, ma è una dialettica che non può essere portata all’esterno, perché genera la convinzione in chi ascolta che gli esperti siano in contrasto fra di loro e che, quindi, la scienza non abbia certezze. Se la disputa fra gli esperti nei talk show viene, poi, “condita” con la presenza di politici di diversi orientamenti, pronti a sposare una tesi non per la sua fondatezza, ma per avere vantaggi nel mercato elettorale e nei sondaggi, la confusione diventa totale e il pubblico si convince che non esiste una verità scientifica, ma esistono solo opinioni non vincolanti rispetto alle quali ognuno si può sentire più o meno libero di aderire.

Per una corretta comunicazione scientifica

Se, facendo i debiti scongiuri, si dovrà affrontare una nuova pandemia nei prossimi anni, una delle prime politiche di contrasto da introdurre dovrà essere quella della corretta comunicazione, affidata non a programmi di intrattenimento, ma a veri programmi di divulgazione scientifica, seri e rigorosi, che siano in grado di presentare il dibattito scientifico in corso nei termini corretti. La cattiva informazione sul Covid ha creato gravi danni ed è stata una grande alleata, forse anche la migliore alleata, del Sars Cov 2!

Conclusioni

La scienza non è democratica nel senso che la verità scientifica non la decide il parere della maggioranza, la scienza è un processo rigoroso e controllato che porta risultati perché segue un metodo. La scienza non può essere messa alla mercè dell’audience e non può essere dibattuta all’interno dei contenitori televisivi e dei social dove contemporaneamente può essere vero tutto e il contrario di tutto, perché se è vero che lo scienziato ha da tempo scelto di abbandonare la sua turris eburnea, non per questo il sapere scientifico deve essere svilito e squalificato in dibattiti senza costrutto aperti a tutti.

Neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis”!

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