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Saremo lavoratori schiavi dei robot? Il problema sul tavolo della politica

I robot (intesi come sistemi semi autonomi guidati da umani) si sono già aggiudicati il mondo della produzione e stanno per fare lo stesso coi sistemi di trasporto. Il risultato, al momento, è quindi a favore delle macchine ma un gol a favore dei lavoratori può segnarlo la politica, come successo in California. Vediamo come

Pubblicato il 25 Set 2019

Enrico Verga

Senior strategist (consultant) & Member of Artificial Intelligence Task Force in AgID

robot partita

I robot ci schiavizzeranno tutti? Magari, spero io. Perché l’alternativa sarà essere disoccupati.

Lo so, ci sono un sacco di analisi e articoli (oltre a una pletora di lobbysti e Pr aziendali) che si spellano le dita a scrivere, urlano dai social, fanno interviste in tv (ma esiste ancora la tv? Pensavo fosse uno spinoff di YouTube). Tutti spiegano che il futuro sarà luminoso e automatizzato, e saremo tutti artisti, creativi, filosofi… ci mancano latte, miele e angeli e siamo già in paradiso.

Ora al netto delle posizioni, neutrali si intende, di chi vorrebbe una Intelligenza artificiale, un Big data o un automa (chiamatelo Robot, Droide, Bot tanto cambia poco) in ogni anfratto della vita umana (e perché no pure animale), esiste una chiara contrapposizione che emerge sempre più netta e violenta nel suo scontro: robot (intesi come sistemi semi autonomi guidati direttamente o indirettamente da umani) contro schiavi.

Schiavi “sporchi” e schiavi “puliti”

Se il termine robot è più o meno comprensibile il termine schiavi richiede, prima di iniziare l’analisi, una piccola descrizione.

Gli schiavi, a cui di solito facciamo riferimento, sono quelli dell’Impero Romano: sfruttati, abusati, un po’ di frustate quando serve e via.

Quei tempi sono finiti, o meglio si sono evoluti. Ora abbiamo schiavi non schiavi. Formalmente ricevono un qualche tipo di contributo economico (cosa non nuova anche nell’Impero Romano), dimentichiamoci ovviamente i diritti sul lavoro, sicurezza sul lavoro, pensione etc. Abbiamo i nuovi schiavi “sporchi” quelli di cui fa brutto parlare (salvo quando non resta nulla da buttare in prima pagina nel tg dell’ora di pranzo) e quelli “puliti” (formalmente imprenditori “volontari”, più vendibili nei Tg, con l’aiuto di un buon Pr aziendale).

Una buona dose di schiavi sporchi li abbiamo nei lavori umili, dove il costo della manodopera è basso: estrazione di minerali strategici (cobalto, tantalio etc..), lavori di dis-assemblaggio di scarti del primo mondo (rifiuti hitech, navi etc..), abbigliamento (concia delle pelli? Oppure Rana Plaza qualcuno ricorda?).

Con loro ci si possono fare dei bellissimi servizi fotografici (sapete quelli con i bimbi sporchi che emergono dalla miniera con gli occhioni gonfi e il bel titolo click bait “loro fanno funzionare il tuo cellulare”), quando ci scappano i morti (ma devono essere tanti) ci si fa un bel servizio (tanto succede sempre in un paese del terzo mondo). L’ultima applicazione utile (ma si badi… questa è molto utile, come spiegherò tra un po’), sono i voti. Se sono minorenni servono a poco, pur se hanno delle madri, ma, se sono maggiorenni la cosa cambia. Durante le elezioni è tutto uno sgrufolare di politici di paesi del terzo mondo che si percuotono il petto con occhi lacrimosi, mentre sbraitano da qualche palco improvvisato che loro (il futuro politico che vuole essere votato) faranno di tutto per aiutare i poveri schiavi. Post elezioni ovviamente tutto cambia.

Poi abbiamo gli schiavi puliti. Non mi riferisco all’igiene personale ovvio, ma al fatto che possono essere macinati, riciclati e, una volta plasmati per bene, rivenduti agevolmente da Pr, lobbysti e giornalisti: i guidatori di Uber e Lyft, i pony express (ma rider fa più figo) di Foodora, Ubera eats, gente dei magazzini di e-commerce assunti dalle cooperative che li rinoleggiano ai grandi gruppi e tutte le altre categorie di “felici e indipendenti imprenditori” che hanno deciso di lavorare ed essere liberi, senza capi che li pressino.

Di questi schiavi puliti ovviamente si devono chiarire alcuni punti: nessuno li obbliga a fare questo lavoro (certo la mancanza di soldi potrebbe essere una ragione), non hanno copertura assicurativa dal datore di lavoro (sono felici imprenditori dopo tutto), non hanno ferie, malattia, e nessuno degli altri traguardi raggiunti in decenni di lotte per i diritti dei lavoratori.

La versione ufficiale, come vedremo tra poco, è che sono imprenditori. Dopo tutto un imprenditore ha diritto e dovere di pensare a sé stesso. Ma quando si parla di imprenditori (o nella recente semantica sole-preneur) comunque si parla di qualcuno che porta a casa qualche centinaio di migliaio di euro. Se sbarchi il lunario con 10-20 mila dollari/euro lordi (a cui togliamo le tasse che paghi e le altre spese per lavorare) non so quanto si possa parlare di imprenditori, quanto di sommerso o finte partite iva (se parliamo dell’Italia).

Con questo chiarimento vediamo come sta andando la partita tra Robot e schiavi.

Il primo gol dei robot (il mondo della produzione)

I robot segnano il primo gol. O meglio coloro che adorano i robot. Una percezione classica è che i robot (sistemi fisici con effettori abili a svolgere varie mansioni oppure programmi informatici) si sono aggiudicati il mondo della produzione. In particolare, parliamo di tutta quella fetta di produzione e attività che, appunto, riguarda gli schiavi (specialmente quelli sporchi).

I risultati finali del primo gol sono ancora complessi da calcolare correttamente ma vediamo alcuni esempi.

Rio Tinto si scava in giacca e cravatta: i bei vecchi tempi dei minatori sporchi di polvere ahimè son passati. Ora i minatori van nella loro bella torre di controllo e pilotano in remoto i sistemi di scavo. Rio tinto è la prima compagnia a testare questa soluzione. Bene inteso non è una sconfitta clamorosa. Al momento questo tipo di attività mineraria è capital intensive. In soldoni costa un occhio della testa. Ci vorranno ancora alcuni anni prima che i minatori siano rimossi del tutto. In vero i minatori su scavi di piccolo cabotaggio esisteranno ancora ma Rio tinto apre sicuramente la via a un mondo dove i lavori pericolosi li faranno i robot.

Ma non ci limitiamo a questo.

Nel mondo della moda (un settore altamente inquinante aggiungiamo) la Levis ha introdotto sistemi automatici al laser per “conciare” i propri jeans. Già ora il Pakistan (uno dei maggiori hub per la produzione di denim) ha dei seri problemi. Figuriamoci quando la produzione di una amplia fetta di jeans non sarà solo spostata oltre confine (come già sta succedendo) in altri paesi poveri. Ma addirittura potrebbe essere del tutto automatizzata. Ovviamente questo lavoro di fare i jeans è costoso e pericoloso per gli schiavi quindi tutti saranno contenti (soprattutto chi fa i conti a fine mese e risparmia).

E non dimentichiamoci il fantastico mondo dei magazzini e della logistica. Amazon non fa segreto di avere progetti per automatizzare il più possibile la sua forza lavoro nei magazzini. La no frill company rischia di diventare no human company (almeno se parliamo del lavoro di magazzini e consegne). Dopo tutto Amazon (ma come lei anche Walmart, anche se a un livello più contenuto) cosa se ne fa di scaffalisti e magazzinieri: protestano, si lamentano, è una vergogna.

Il secondo gol dei robot (auto e trasporti automatizzati)

È più recente ma andrà a dare un bel calcio alla partita.

Uber ha tracciato la via e Lyft gli è andata dietro subito. E zac. Tra poco avremo le auto automatiche. Certo i tempi non saranno domani ma è solo questione di sbatter dentro un po’ di soldi in ricerca e soprattutto in lobbysti che possono cambiare le leggi (prima di tutto in America). E cosi con questa uscita brillante Uber ha avuto la faccia di presentarsi in borsa con uno slogan che, semplificando un poco, può essere tipo “Ehy ragazzi adesso non facciamo un euro di guadagno, ma dateci il tempo di spazzar via i nostri autisti umani e metterci dei bei bot e vedrete che ci divertiamo”.

E non dimentichiamoci del fantastico mondo delle consegne. I pony express (nel mondo delle Pr “venduti” come felici imprenditori che si divertono a pedalare part-time mentre si tengono in forma) sono i prossimi a cadere. I casi di bot delivery company si stanno moltiplicando. Dopo tutto un robot non sciopera, non fa liste nere dei clienti taccagni, e sul lungo periodo costa meno. E uno dei grandi capisaldi della GIG economy crolla. Dall’essere stata venduta come l’economia dei lavoretti “cosi’”, un po’ buffi un po’ divertenti, si è semplicemente trasformata nella più grande presa in giro della storia recente: sfruttamento, mancanza di diritti etc..

Il primo gol degli schiavi

Anche gli schiavi hanno i loro protettori. Potrebbe suonare inusitato ma i politici, a volte, fan le cose giuste. Nello specifico sembrerebbe che i politici, per motivi civili (ed elettorali) stiano cominciando a comprendere che se togli lavoro alla gente, quelli – la gente – magari sono un poco turbati e diventano come cani pazzi, difficili da trascinare alle urne e, ancora peggio, difficili da predire chi voteranno.

In California è successa una cosa brutta: i politici han deciso di dare una zampata alla GIG economy, che in California ha visto la sua prima fioritura.

In pratica si sta cercando di trasformare i felici imprenditori (o schiavi) in dipendenti. La situazione è cosi grave che i due colossi del trasporto privato Uber e Lyft han preso carta e penna e terrorizzati ha scritto al legislatore una lettera aperta (finita sui giornali). Il contenuto totale lo si può leggere nel link ma i tratti più spassosi sono che il loro guidatori “prefer freedom and flexibility to the forced scheduled and rigid hourly shifts of traditional employment” (tradotto preferiscono essere liberi invece che fare noiosi turni al lavoro).

Al netto delle posizioni e della pesante ironia dei due Ceo, si va a creare un grave rischio: che la California faccia da scuola e le sue posizioni arrivino in Senato. Dopo tutto siamo sotto elezioni in Usa e i democratici o i Repubblicani potrebbero provare a cavalcare questa onda.

La partita potrebbe ancora riservare delle sorprese ma, dopo tutto, è meglio non farsi speranze. La resistenza è inutile.

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