Il PUNTO

Più smart working nella PA: effetti delle nuove leggi

Il DPCM del 3 novembre apre al lavoro sempre più smart anche nel pubblico, ma restano ancora nodi da sciogliere in particolare riguardo quei dipendenti adibiti ad attività che, da un lato non sono qualificabili indifferibili (quindi da svolgere in presenza) dall’altro non sono realizzabili da remoto. Facciamo il punto

Pubblicato il 17 Nov 2020

Chiara Ponti

Avvocato, Privacy Specialist & Legal Compliance e nuove tecnologie – Baccalaureata

smart working green pass

L’ultimo DPCM del 3 novembre ed in vigore dal 6 novembre contiene una forte “raccomandazione” dell’utilizzo della modalità di lavoro agile.

Tuttavia, all’art. 3 comma IV lett. i) prevede che, specie nelle zone qualificate come “rosse” i datori di lavoro pubblici limitino “la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente, anche in ragione della gestione dell’emergenza; il personale non in presenza presta la propria attività lavorativa in modalità agile”.

In pratica, riemerge il problema già palesatosi nella prima ondata di marzo: tanti dipendenti pubblici (come custodi dei musei, personale ATA, ecc.) adibiti ad attività che, da un lato non sono qualificabili indifferibili – quindi da svolgere in presenza – dall’altro non sono oggettivamente realizzabili da remoto.

Il problema

Che fare, dunque?

Una soluzione potrebbe essere quella di adibire questo personale a mansioni effettuabili o in lavoro agile oppure a mansioni connesse ad attività indifferibili da svolgere necessariamente in presenza.

Tuttavia, tale soluzione non è percorribile in quanto l’esercizio dello ius variandi sulle mansioni può essere espletato solo in presenza di “mansioni equivalenti”.

Con la conseguenza che i predetti lavoratori pubblici non si possano gestire.

Rammentiamo che il D.L. Cura Italia poi convertito in Legge 27/2020 all’art. 87, comma III, proponeva come soluzione, per questi dipendenti, il ricorso a ferie pregresse, congedi, banca delle ore, ecc. analogamente a quella contenuta all’art. 3 comma IV lett. i) dell’ultimo citato DPCM. Tuttavia, l’art 87 è stato disapplicato dall’art. 263 del D.L. 34/2020 con il quale veniva superato l’istituto dell’esenzione dal servizio nei confronti di dipendenti non organizzabili in smart working.

A questo punto, resta un problema aperto di come e dove collocare questa fascia di dipendenti pubblici.

Smart working per un dipendente pubblico su due

L’articolo 5, commi 3 e 4, del D.P.C.M. 3.11.2020 non aggiunge molto di più e di diverso rispetto all’impianto già delineato dai DPCM di ottobre e dal decreto della Funzione Pubblica del 19 ottobre 2020.

La citata disposizione prevede che «le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, assicurano le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato con le modalità stabilite da uno o più decreti del Ministro della pubblica amministrazione, garantendo almeno la percentuale di cui all’articolo 263, comma 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77».

In pratica, sono rimarcate pressoché letteralmente le indicazioni già fissate nell’art. 3, comma 3, del DM 19.10.2020. Ora, la introduzione nel DPCM risolve ogni eventuale dubbio sull’estensione territoriale delle misure relative allo smart working.

Il decreto ministeriale in dettaglio su smart working e PA

L’altra fonte normativa da considerare in questa fase è il decreto firmato lo scorso 19 ottobre dalla ministra alla PA Fabiana Dadone, attuativo del lavoro agile nella PA.

  • L’art. 1, dopo aver definito il lavoro agile, al comma II precisa la possibilità di accedere a tale modalità senza dover stipulare alcun accordo almeno fino al 31 dicembre 2020.

Al comma III, precisa che il lavoro agile può concernere tanto «le attività ordinariamente svolte in presenza del dipendente» quanto quelle progettuali siano esse aggiuntive o alternative, purchè non aggravino la mole di lavoro. Con alternanza di giornate in presenza e da remoto.

Al comma IV, infine, garantisce che i lavoratori agili non subiscano penalizzazioni né in termini di professionalità, né in progressione di carriera.

  • L’art. 2 fornisce le definizioni; in particolare per “lavoratore fragile” si deve intendere quel lavoratore definito tale con esclusivo riferimento alla situazione epidemiologica da individuare il quel soggetto «… in possesso di certificazioni rilasciate dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio»
  • L’art. 3 tratta delle modalità organizzative ad opera del dirigente chiamato a:
  1. Organizzare il proprio ufficio garantendo almeno al cinquanta per cento del personale preposto alle attività in smart working.
  2. Adottare ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile.
  3. Adottare le soluzioni organizzative necessarie.
  4. Favorire la rotazione del personale.
  5. Tenere conto delle disponibilità dei dipendenti resisi disponibili a svolgere lo smart working laddove i profili organizzativi lo consentano.

Al II comma, è stabilito che le amministrazioni si adoperino per fornire la dotazione informatica necessaria per svolgere lo smart working.

Al III comma, si tiene a precisare che le PA assicurino, in ogni caso, le percentuali più elevate possibile di lavoro agile.

Al IV comma, è incentivato la modalità da remoto anche in ordine alle riunioni.

  • L’art. 4 prevede poi la flessibilità del lavoro, la PA deve individuare fasce temporali di flessibilità oraria in entrata ed in uscita, nel rispetto dei protocolli di sicurezza (distanziamento, divieto di assembramenti, ingressi scaglionati, ecc.)
  • L’art. 5 stabilisce lo svolgimento dell’attività di lavoro agile nella misura in cui si svolga in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, senza sacrificare per ciò le esigenze organizzative individuate dal dirigente; garantendo invece tempi di riposo e di disconessione, diritti importanti.
  • L’art. 6 regola la valutazione ed il monitoraggio delle performance alle specificità del lavoro agile sulla base dei risultati ed il raggiungimento degli obiettivi.
  • L’art. 7 riguarda le relazioni sindacali.
  • L’art. 8 infine stabilisce l’ambito di applicazione, rammentando la sua validità/accessibilità semplificata, fino al 31 dicembre 2020.

I punti salienti del decreto della Funzione Pubblica

In sintesi, i punti salienti nella tabella che segue.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONELAVORATORE
Ciascuna amministrazione con immediatezza assicura lo svolgimento del lavoro agile almeno al 50% del personale impegnato in attività che possono essere svolte secondo questa modalità applicando il sistema della rotazione;

in modalità semplificata e quindi senza necessità ancora di stipulare un accordo, e così fino al 31 dicembre 2020;

Al lavoratore sono garantiti i tempi di riposo e la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro
Gli enti assicurano in ogni caso le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le loro potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato;I dipendenti in modalità agile non devono subire penalizzazioni professionali e di carriera
Senza vincoli di orario e luogo di lavoro, ben potendo essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità, senza maggiori carichi di lavoro.Le amministrazioni mettono a disposizione i dispositivi informatici e digitali necessari.
Pur rimanendo consentito l’utilizzo di strumentazione di proprietà del dipendente.

Le criticità

I rischi che preoccupano alcune associazioni di categoria riguardano una probabile paralisi dei servizi. Fipe Confcommercio e Ance (edilizia) si sono già espressi in tal senso denunciando ritardi nelle pratiche.

La mancanza di un processo formativo ad hoc, continuo – ciclico – mirato, non agevola di certo l’attenuazione di tale rischio (di paralisi).

Non solo, ma anche una mancata gestione in modo coordinato potrebbe determinare anziché l’efficientamento dello smart working un contrario e devastante “no working” dovuto alla mancanza di accesso ai documenti.

In pratica, i rischi di “blocco” tanto in esterno, quanto in interno: situazione decisamente preoccupante.

Le agitazioni da parte dei sindacati

Non mancano, poi, i sindacati in rivolta poiché si è agito senza ricorrere allo strumento della contrattazione assegnando così ampi poteri ai dirigenti.

Ma è lo stato emergenziale che ha fatto da sovrano scavalcando ogni tavolo di trattativa.

Lo smart working nella PA, come sarà in futuro

A seguito dell’operatività dell’anzidetto protocollo verranno messi a punto specifici strumenti per la gestione dello stress da lavoro.

In ogni caso, da fonti ministeriali trapela che il ministro avrebbe dichiarato che “lo smart working consente di conciliare meglio i tempi di vita e i tempi di lavoro, ma non va visto come uno degli strumenti a disposizione delle politiche familiari, perché il suo scopo principale è quello di far crescere la produttività e la qualità delle mansioni svolte”.

Lo smart working a regime, se e quando sarà, dovrà garantire il diritto alla disconnessione, e prevedere naturalmente l’alternanza tra l’ufficio e il lavoro da remoto.

In conclusione, dunque, il futuro dello smart working nella PA dovrà apportare benefici in termini di welfare organizzativo per giungere a risultati migliori, in favore dei cittadini e nella qualità dei servizi erogati.

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