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Social e AI stanno uccidendo il giornalismo? Ecco i rischi che corriamo



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I social network e l’intelligenza artificiale stanno cambiando il panorama dell’editoria giornalistica globale. Ma qual è l’impatto diretto e indiretto di queste trasformazioni? Si può parlare di censura?Vediamo come le notizie professionali vengono gestite dalle big tech e come ciò influisce sul destino dell’editoria

Pubblicato il 24 nov 2023

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu



robot-journalism

La censura attuata da parte delle piattaforme dei social network può anche essere quella indiretta, non esercitata direttamente sui contenuti. Ne fanno le spese soprattutto gli organi d’informazione. Capita quando le notizie provenienti dai mass media professionali, italiani e non solo, vengono da un lato fagocitate dal sistema dei social, dall’altro lato sono messe in secondo piano, nascoste o bloccate, a seconda degli interessi commerciali della piattaforma.

L’informazione mediata dalle big tech: influenza diretta e indiretta

L’influenza delle grandi piattaforme online – social, motori di ricerca – sul sistema dell’informazione negli ultimi vent’anni è sempre cresciuto, verso orizzonti che non sembrano ancora avere fine. La prossima frontiera, che può segnare ulteriori vette di questo impatto, è l’intelligenza artificiale; ma già le evoluzioni degli ultimi anni sono state tali da influenzare profondamente il destino dell’editoria giornalistica, in tutto il mondo.

Questa influenza è rappresentabile in due modi: diretto e indiretto.

La dipendenza sempre più stretta tra giornalismo e piattaforme

Nel primo caso, i dati dicono che nel mondo sempre più persone accedono alle notizie con l’intermediazione delle big tech (social, motori di ricerca o altro) invece che dalla property della testata (sito, giornale cartaceo, canale tv). È quindi l’algoritmo che le big tech utilizzano (e di volta in volta modificano per i loro interessi economici) a determinare direttamente quanto certe news (e le news in generale) saranno viste (e da quale pubblico lo saranno); con ovvi impatti anche sui ricavi pubblicitari dei giornali.

C’è insomma una dipendenza sempre più stretta (e per i giornali soffocante) tra giornalismo e piattaforme. I giornali perdono sempre più il contatto diretto (disintermediato) con il lettore, la possibilità di stabilire una gerarchia delle news nella fruizione e altri elementi che appartengono al modo classico di fare informazione.

L’erosione del valore economico dell’editoria

L’impatto indiretto si vede per la costante, progressiva erosione di valore ai danni dell’editoria e a favore delle big tech. Valore in termini economici (pubblicità) ma anche in termini di pubblico.

I dati (Censis, 2021) dicono che 4 milioni di italiani si informano solo via social. Sono 14 milioni e mezzo gli italiani (il 30,1% dei 14-80enni) che in generale vedono notizie via Facebook. I teenager si spostano invece su Instagram e Tiktok anche per le news (Ofcom, 2022).

Tra l’altro il Censis (come altri studi) correla la fruizione di news via social con un aumento rischio disinformazione (su temi della salute e politici soprattutto).

La strategia di Facebook alimenta la disinformazione a scapito dei giornali

Facebook nel 2018 ha scelto di de-prioritizzare i contenuti giornalistici professionali, nel proprio algoritmo, a favore di quelli generati da utenti e in particolare di quelli che suscitano sentimenti più forti. Obiettivo, aumentare engagement e quindi profitti. Il risultato però – come nota (tra gli altri) il noto economista del Mit Dan Agemoglu (Power and Progress, 2023) – è doppiamente negativo: aumento della disinformazione e riduzione del peso (e dell’importanza) della visibilità dei giornali sui social.

Negli anni precedenti i social hanno portato molto traffico ai giornali, tanto da decretare il successo di nuove realtà come Buzzfeed (noto per titoli acchiappa clic, pensati per Facebook). Buzzfeed è entrata in crisi dopo questo cambio di algoritmo, a conferma di come i social possono determinare sorti (e disfatte) delle imprese editoriali. E di singoli giornalisti, che i sistemi di moderazione possono bloccare a loro piacimento anche per errore, come nota il rapporto 2023 della Columbia Journalism Review, con casi in Palestina e Ucraina (la normativa Digital services act dal 2024 fissa nuovi obblighi alle big tech per limitare il problema).

Google e la SEO: come influenbza il giornalismo

Adesso è Google fonte importante di traffico per i giornali (tramite motore di ricerca e, più di recente, con la funzione Discover nel browser), tanto che sulla SEO (sulle tecniche per comparire ai primi posti del motore di ricerca) sono nate intere professionalità. Google però fa periodici cambi di algoritmo, che costringono i giornali a adattarsi; al tempo stesso sta riducendo lo spazio dedicato ai risultati organici (ossia degli articoli non sponsorizzati), a favore della pubblicità e anche di box dove Google risponde direttamente alle ricerche dell’utente. Jonah Peretti, il ceo di Buzzfeed, in varie interviste del 2023 ha previsto che Google seguirà un percorso simile a quello di Facebook: darà sempre meno traffico ai giornali. Non è detto che andrà così, perché Google a differenza di Facebook vive di pubblicità collegata ai risultati della ricerca, che devono essere utili e rispondenti alle necessità dell’utente. I contenuti professionali sono favoriti in questo senso.

L’irruzione dell’intelligenza artificiale: il giornalismo servirà ancora?

L’arrivo (a fine 2022) dei primi chatbot evoluti con intelligenza artificiale ha fatto tremare però molti editori: il rischio è che, integrati nei motori di ricerca o in altri prodotti (come ha fatto Microsoft e si preparano a fare Google e Meta), possano dare risposte dirette a quello che l’utente vuole o cerca. Il timore: l’utente non avrebbe più bisogno di cliccare su siti giornalistici se un chatbot dà risposte immediate. Per riuscirci, però, il chatbot si deve “nutrire” di contenuti creati da terze parti, inclusi quelli giornalistici. Un corto circuito che ha già spinto alcuni editori (come News Corp) a chiedere un compenso ai creatori di questi chatbot, per violazione di copyright.

Nello stesso tempo, si stanno moltiplicando i siti di notizie false create con l’intelligenza artificiale, che pubblicano poi sui social, il cui algoritmo favorisce i loro titoli tesi a stupire il pubblico e contraddire le fonti ufficiali (fonte: Newsguard, 2023).

Il fronte dell’intelligenza artificiale è ancora confuso; non è chiaro come gli equilibri si definiranno.

La storia passata però non lascia ben sperare. Finora il rapporto tra editori e piattaforme è stato svantaggioso dal punto di vista economico, come si legge nel rapporto della Columbia Journalism Review. “Sebbene non esista un’unica causa per il declino dei media tradizionali, gran parte della colpa si è concentrata sulle piattaforme online, i cui profitti sono tradizionalmente cresciuti anche quando i finanziamenti per il giornalismo si sono esauriti”, si legge. “Esiste un legame tra queste due tendenze, poiché il controllo delle piattaforme sul modo in cui accediamo alle informazioni implica che le organizzazioni di informazione dipendono da loro per distribuire i loro prodotti. Facebook e Google ne hanno approfittato per sfruttare una posizione dominante sul mercato della pubblicità online, tenendo per sé la parte del leone dei profitti e interrompendo una fonte di reddito fondamentale per il sostegno al giornalismo”.

Internet e pluralismo: una promessa mancata

Il rapporto nota che molti pionieri del digitale avevano profetizzato che internet – togliendo la barriera all’ingresso nella pubblicazione e favorendo anche ricavi da crowdsourcing – avrebbe aumentato il pluralismo; avrebbe supportato l’informazione dal basso e di nicchia. Non è andata proprio così. La crisi economica indotta ha distrutto il giornalismo locale in molti Paesi (dagli Usa all’Europa fino all’Australia) con la chiusura della maggior parte delle testate.

Un fenomeno solo in parte compensato dalla nascita di giornali tutti digitali, alcuni dei quali basati sui social, mail su Whatsapp; indipendenti e in grado di soddisfare le esigenze di informazione di community di nicchia. Il rapporto cita esempi in Brasile, Nigeria, Ungheria (tra gli altri). Google, l’azienda che più guadagna dalla pubblicità online al mondo, è consapevole del proprio impatto; con la Google News Iniziative ha infatti dato 300 milioni al supporto del giornalismo indipendente e di qualità (questa la sua missione).

Il rapporto della Columbia liquida queste iniziative come “mancette” poco utili; idem per le varie leggi (in Europa, Australia e altrove) che vogliono costringere le big tech a pagare una “tassa” ai giornali per l’utilizzo dei loro contenuti.

Non solo poco utili: secondo il rapporto, sono iniziative dannose perché radicano ancora di più la dipendenza degli editori e del giornalismo nelle piattaforme.

Quali interventi per salvare la libertà di stampa

In ballo c’è non solo la sopravvivenza di editori e giornali ma anche della libertà di stampa. Sono auspicabili interventi normativi che favoriscano l’indipendenza (economica e strutturale) dei media. Tra i suggerimenti proposti in letteratura c’è il sussidio statale ai giornali, pagati con una tassazione più equa alle big tech; nuovi modelli di copyright e licensing dei contenuti e l’obbligo a una maggiore trasparenza degli algoritmi.

“Alcuni di questi approcci – si legge in conclusione del rapporto – potrebbero aiutare a contrastare il calo dei ricavi o a rivitalizzare alcuni mercati, e vale la pena provarli in un momento in cui c’è un disperato bisogno di modelli alternativi di sostenibilità”. “Ma molti di questi sono interventi a breve termine che fanno poco per affrontare gli squilibri strutturali fondamentali del giornalismo contemporaneo – riconosce il rapporto – e non affrontano la sfida centrale di impedire al settore tecnologico di ‘catturare’ (capture) il giornalismo e di radicare ulteriormente le logiche delle piattaforme nell’industria dell’informazione”.

La soluzione richiederà probabilmente un intervento di tutti i soggetti coinvolti, legislatori, piattaforme e la stessa stampa (che è chiamata a innovarsi).

*Il testo fa parte di un’inchiesta uscita su Treccani.it

Bibliografia

NewsGuard To Track AI-Generated Misinformation 06/09/2023

Disrupting Journalism: How platforms have upended the news

Addressing the decline of local news, rise of platforms, and spread of mis- and disinformation online – The Center for Information, Technology, and Public Life (CITAP)

How publishers have been squeezed on Google top stories and what they can do about it

Ghosting the News: Local Journalism and the Crisis of American Democracy on JSTOR

Publishers Worry AI Chatbots Will Slash Readership – The New York Times

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