Telegram è una mosca bianca dei social nell’era della post-verità: nel contesto dell’invasione russa all’Ucraina, ad esempio, il social è usato come strumento di informazione/propaganda da agenzie stampe molto vicine al Cremlino, ma anche da gruppi indipendenti che offrono informazioni non filtrate dall’occhio lungo della propaganda russa.
Questo perché mentre i social del blocco atlantico – Twitter, Facebook e Instagram – fanno un uso più massiccio di algoritmi e censura, pur in un contesto che è chiaramente più pluralista e libero dal punto di vista dell’informazione, Telegram ha sviluppato un approccio completamente differente basato su policy, censura e algoritmi ridotti al minimo per consentire alle differenti rappresentazioni dei fatti di arrivare ai lettori e al pubblico, permettendo la costruzione di un’informazione consapevole.
La morte della verità: i danni della guerra su informazione e democrazia
I social in Russia e le differenti versioni della Guerra
La Russia ha oscurato Facebook, Instagram e Twitter. Ha bloccato l’accesso ad una miriade di siti di news controcorrente e non allineati al Cremlino. E ha ridefinito la libertà di espressione per i propri cittadini e giornalisti, imponendo stringenti regole a ciò che si può e non si può dire di questa guerra/invasione, ridefinita orwellianamente: “operazione speciale”.
Ma come insegna la storia è difficile tenere nascosta la verità, o quanto meno il bisogno di raccontare i fatti da più punti di vista. E così anche all’interno del mondo russofono circolano più versioni della guerra a partire dalle sue radici e anche soprattutto dei suoi fatti salienti.
Guerra, verità e approssimazione
In guerra la prima vittima è la verità, disse Eschilo. Questa frase ripresa dal senatore americano Hiram Johnson nel 1917 è diventata poi la bandiera del dissenso e della controinformazione. E in effetti non c’è da meravigliarsi. Nell’epoca dei social, la verità è a bassa densità, scrive Baricco nel libro The game.
È un concetto che dobbiamo rivedere. In particolare, oggi che il mondo è polarizzato e spaccato, per lo meno in due grandi blocchi.
Le verità del Novecento erano inamovibili. Erano concetti strutturati e organizzati in sistemi ideologici coerenti (comunismo, capitalismo, nazismo). Il digitale prima e i social poi hanno trasformato le verità in caleidoscopici frammenti che hanno come caratteristica dominante l’approssimazione. Le voci su Wikipedia sono approssimative, le notizie su Twitter sono poco più che spunti, i dibattiti sui social danno indizi di un sentimento. La velocità è più importante dell’accuratezza, la leggerezza più importante della profondità. Nell’era della post-verità, i social diventano generatori di informazioni non validate, caotiche. Spesso senza un contesto. Così arriviamo alla situazione attuale dove ogni parte accusa l’altra di fake news. E ha gioco facile nel farlo, dal momento che non esiste un arbitro terzo super partes che verifica e pontifica il vero dall’altro. Ma allora se non esiste una supervisione dell’alto della verità assoluta allora è fondamentale il pluralismo. È l’ossigeno della democrazia.
Telegram, mosca bianca dei social
Telegram è uno dei teatri di questo pluralismo che riesce a sgusciare via al tentativo di censura del Governo di Putin. Telegram non ha avuto una storia facile in Russia, ma nel 2019, dopo alcuni anni di oscuramento, è stato ri-autorizzato. Secondo i dati di Telegram il 7-8% dei suoi utenti sono russi, che equivale a dire che il 25% degli abitanti russi utilizzano Telegram. E non è un caso.
Ria Novosti è un’agenzia stampa controllata dal Governo del Cremlino. Ha due milioni di follower su Telegram e segue l’operazione speciale minuto per minuto. Telegram è il canale principale di Ria Novosti. Quando il 16 marzo il mondo si è fermato a osservare le immagini del teatro di Mariupol distrutto dalle bombe, Ria Novosti ha immediatamente respinto le accuse che i bombardamenti provenissero dalla flotta aerea russa. Insinuando fosse colpa della contra area ucraina e in particolare responsabilità del battaglione Azov. Questa era la versione ufficiale che i cittadini russi potevano ascoltare nel proprio territorio: in tv, sui giornali, online, sui social controllati dal Cremlino. Ma non su Telegram.
Il riavvicinamento di Telegram al governo russo non ha prodotto censure interne. E così il social, fondato da un imprenditore russo, con il codice opensource e con sede a Dubai si è dimostrato ancora una volta la mosca bianca dei social, in grado di nutrire semi di libertà e contro informazione laddove è più difficile farlo.
Il ruolo di Meduza nell’informazione libera in Russia
Mentre Ria Novosti proseguiva la propria opera di de-colpevolizzazione di quello che succedeva in suolo ucraino, sul canale Meduza i cittadini russi potevano leggere nella propria lingua una versione completamente diversa dei fatti. Nata nell’ottobre del 2014 Meduza è una testata giornalistica online in lingua russa, con sede in Lettonia. Meduza si rivolge ai cittadini russi e nel corso degli anni è stata attaccata più volte dal Governo della Federazione Russa. L’approccio editoriale della testata e della sua fondatrice Galina Timchenko è sempre stato quello di raccontare i fatti scomodi per il Cremlino, vagliare le fonti e guardare tra le righe delle veline ufficiali, cercare un approccio indipendente e non lesinare mai critiche radicali nei confronti di Putin.
Il 4 marzo di quest’anno i server di Meduza sono stati oscurati dal Governo di Putin. Ma come spesso succede la censura non può arginare ma solo deviare il fiume in piena del bisogno di democrazia. La testata ha potenziato la propria attività su Telegram, accumulando più di un milione di followers in pochi mesi e accompagnando i lettori russi ogni giorno con una contrapposizione serrata alla narrazione ufficiale.
Pochi istanti dopo il dispaccio di Ria Novosti che respingeva le accuse per la distruzione del teatro a Mariupol, Meduza riportava le notizie ufficiali del governo ucraino e di alcuni giornalisti di Donetsk che accusavano i russi del bombardamento. Tutti i post di Meduza – anche su Telegram (probabilmente in seguito all’accordo di collaborazione di Telegram e Cremlino, vigente dal 2019) – escono con un disclaimer per i lettori: Meduza è un agente straniero per la Russia.
Nel marzo del 2021, il Cremlino aveva inserito Meduza tra i nemici del governo e del popolo russo, uno status giuridico che vieta il finanziamento e le donazioni verso tali soggetti.
Il massacro di Boucha
Il 3 aprile, i giornali e le tv di tutto il mondo aprono le prime pagine con le immagini del massacro di Boucha. Dopo l’occupazione della cittadina da parte dei russi, prima di andarsene, i soldati russi si sarebbero macchiati di un eccidio di civili lasciati poi per strada come cibo per animali selvatici. Ria Novosti ha immediatamente respinto le accuse, evidenziando incongruenze nella storia. Nel corso dei 2-3 giorni successivi ha pubblicato sul canale Telegram più di 50 post sul massacro di Boucha, riportando veline ufficiali del Cremlino e accusando l’Ucraina del massacro. Meduza ha replicato con altrettanti post evidenziando che le incongruenze riportate dai russi non erano in grado di escludere che il massacro fosse avvenuto proprio per mano dei militari. Ma non solo Meduza tiene viva la seconda narrazione per i cittadini russi.
Valmavov News
Un secondo canale di grande importanza per la contro informazione in lingua russa è Valmavov News di Ilya Valmavov giornalista freelance e Youtuber, che su Telegram ha un seguito di oltre 1 milione di follower. Valmavov News ha pubblicato decine di post sulla strage di Boucha e centinaia di immagini e video, mostrando che l’idea di una ricostruzione finta del massacro da parte degli ucraini non stava in piedi.
Dopo Boucha, ci sono stati altri eventi tragici (probabilmente fortuiti) in obiettivi civili, come il bombardamento dell’ospedale pediatrico a Mycolaiv. E su ognuno di questi fatti, su Telegram era possibile leggere tanto le veline ufficiali russe quanto la contro informazione da parte di canali come Meduza e Valmavov news. Pavel Durov, fondatore di Telegram, ha ribadito ancora in questi giorni, che l’obiettivo di Telegram è dare la possibilità ai suoi utenti di formarsi un’opinione consapevole su ogni fatto e circostanza, leggendo più fonti e voci.
La politica di Telegram è quella di non censurare canali e gruppi, a meno che non vi sia una palese infrazione di leggi locali e una documentazione segnalazione da parte di soggetti istituzionali dell’infrazione.
Conclusioni
Telegram da anni lotta per mantenere il proprio status di piattaforma libertaria e indipendente ed è stato oggetto di oscuramento, censura e attacchi da parte di numerosi stati.
Oggi il social con sede a Dubai è uno strumento fondamentale per decine di milioni di russi che hanno un fisiologico bisogno di costruirsi una rappresentazione dei fatti differente rispetto a quella del Propaganda russa.
Ma Telegram è una sorta di mosca bianca. Il contesto culturale in cui nasce è quello dell’open source ed una tradizione fortemente libertaria e contro corrente. Ma si tratta più di un caso che di una regola.
Oggi i social sono sotto l’occhio del mirino dei governi.
Il quadro normativo del Digital Service Act richiede alle grandi piattaforme di essere collaborative con le istituzioni non solo nell’ambito delle leggi (sacrosanto), ma anche in contesti più grigi come quello delle emergenze, dove devono supportare le indicazioni e le linee guida dell’Unione Europea. Il che è chiaramente un pasticcio, dal momento che l’Unione Europea detta linee guida ma poi ogni Stato fa quello che vuole. Ma è un pasticcio perché in qualche modo si insinua l’idea che i social non debbano solo sottostare alla legge locale, ma anche a ideologie differenti.
Non ci sono solo opportunità, ma anche rischi. Nell’epoca delle emergenze perenni (pandemia, ambientale, guerra), l’interdipendenza dei social con i Governi potrebbe influenzare ampiamente il livello di pluralismo e portare a censure “politiche” nei confronti di voci dissenzienti. È dunque fondamentale che si creino spazi alternativi conosciuti e frequentati di contro informazione libera, non perché necessariamente vera, ma perché necessaria per la ricchezza di una democrazia.