guerra e informazione

Ucraina, dalla post-verità alla post-realtà: chi ci dà gli strumenti per orientarci

Il nostro secolo ha abdicato alla verità per lasciare spazio alla verificabilità, con tutti gli svantaggi del caso. Soprattutto in questa guerra, in cui il problema vero non è neanche la post-verità, ma la post-realtà. Per capire cosa succede, allora, occorre affidarsi non al giornalismo, ma alla deontologia giornalistica

Pubblicato il 24 Mar 2022

Davide Bennato

professore di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania

post-verità

Per capire il concetto di post-verità, bisogna capire in che contesto questo concetto prende forma.

È ormai condiviso che parlare di verità nel mondo contemporaneo è un problema non da poco. Il concetto di verità presuppone l’esistenza di una serie di fatti che esistono al di là di ogni dubbio e indipendentemente da chi li formula. Il problema è che questi due semplici assunti sono stati demoliti dal pensiero del XX secolo. Non solo i fatti non esistono, ma spesso esistono solo rispetto a chi li formula.

Giornalismo e post-verità: effetti del digitale sulla qualità dell’informazione

Il mondo contemporaneo e il concetto di verità

La scienza ha cominciato a incrinare il proprio concetto di verità – nella versione di oggettività – attraverso la meccanica quantistica, in cui persino l’atto di misurare è vincolato a colui che compie la misurazione.

La cultura ha indebolito il concetto di verità – nel senso di valori assoluti – attraverso il relativismo, ovvero ciò che è un valore per una società potrebbe non esserlo per un’altra.

La filosofia (postmoderna) è intervenuta in questa crisi sostituendo al concetto di verità quello di interpretazione, prefigurando un mondo in cui non esistono verità ma punti di vista alternativi più o meno compatibili fra loro.

In pratica il mondo contemporaneo ha grosse difficoltà a confrontarsi con il concetto di verità.

Un’etica della conoscenza per gestire il caos

Questo ragionamento però non può essere la base della convivenza civile, perché è fonte di violenza. In un mondo in cui tutto è in discussione e non si può far valere il proprio punto di vista su un altro, allora l’unico modo per avere ragione è la violenza (fisica, simbolica, culturale).

Un mondo così non è socialmente vivibile, allora bisogna usare delle strategie per gestire l’incommensurabilità dei punti di vista, ovvero un’etica della conoscenza. La scienza ha usato l’etica della metodologia (il metodo scientifico) come salvaguardia del sapere, la cultura ha usato l’etica dell’ascolto (il rispetto) come strumento per confrontarsi con l’altro, la filosofia ha usato il linguaggio (l’etica del comunicabile) come base del processo di condivisione interpretativa del mondo.

Insomma, l’attenzione si è spostata dai fatti al processo di definizione dei fatti. Il nostro secolo ha abdicato alla verità per lasciare spazio alla verificabilità, con tutti gli svantaggi – e i pochi vantaggi – della questione.

Il concetto di post-verità

Il concetto di post-verità è invece un problema di definizione. Se lo interpretiamo come inesistenza della verità, facciamo un’interpretazione ridondante: la verità ormai è stata abbandonata da tanto tempo. Se lo interpretiamo come assenza della verificabilità, questo invece è un modo per legittimare le menzogne. Una cosa è dire “questa cosa non è vera” un’altra è dire “questa cosa non può essere verificata”: la prima affermazione potrebbe essere legittima, la seconda non lo è assolutamente. Se qualcuno affermasse “l’ospedale di Mariupol non è stato bombardato” potrebbe anche essere considerato vero, ma se noi verifichiamo l’affermazione accumulando elementi – l’esistenza di un edificio adibito a cure mediche nella città di Mariupol che presenta gravi danni, la presenza di morti e feriti, la presenza di tracce di combattimenti militari – una frase del genere non è più sostenibile. In pratica post-verità vuol dire che è possibile fare qualsiasi affermazione, ma esiste un sistema per verificare se l’affermazione esprime un fatto oppure no. La frase “l’ospedale di Mariupol non è stato bombardato” è vera in un’ottica di propaganda, è falsa in un processo di verifica dei fatti. Questo vuol dire che l’unico strumento che noi abbiamo per capire cosa sta accadendo in Ucraina è affidarci non al giornalismo, ma alla deontologia giornalistica. Noi avremo un quadro chiaro di quello che sta accadendo in Ucraina, solo quando le polveri delle macerie fisiche e morali si saranno posate.

Guerra e post realtà

Il problema vero della guerra in Ucraina non è la post-verità, è la post-realtà.

Provo a definire meglio questo punto.

Abbiamo detto che la verità non esiste, esiste invece la verificabilità che mi permette di accertare la consistenza dei fatti. La verificabilità funziona come le regole di un gioco: il gioco funziona se tu accetti tutte le regole, se non accetti tutte le regole, o ne accetti solo una parte tu stai giocando un gioco diverso che ti pone su un piano sostanzialmente diverso. Accade cioè quello che accade nel film Sliding Doors, piccoli cambiamenti nella routine quotidiana provocano grandi modifiche nella vita delle persone.

Chi garantisce le regole della verificabilità

Chi è che garantisce le regole della verificabilità sono le persone che si riconoscono in quelle regole: ovvero è la comunità l’istituzione che garantisce le regole della verificabilità. La comunità dei virologi garantisce per l’affidabilità dei vaccini, la comunità dei no-vax ritiene che i vaccini non siano affidabili perché ha regole di verificabilità diverse dai virologi: per i virologi vale il metodo scientifico, per i no-vax vale il metodo politico (“non mi fido delle case farmaceutiche”, per esempio). Per questo non è possibile convincere un no-vax radicale: perché vive in una comunità che ha altre regole di verifica della consistenza dei fatti.

Come fa il no-vax a vivere in questa comunità? Grazie ai mezzi di comunicazione, che ormai non possiamo più chiamare “di massa” e che servono per rinsaldare un patto sociale e comunicativo. Se io sono un no-vax, conosco e condivido il ragionamento dei no-vax, seguo pagine Facebook no-vax, ascolto le verità dei medici no-vax, considero accettabili decisioni no-vax (per esempio fare trasfusioni di sangue solo di persone non vaccinate), eccetera. In pratica il no-vax non vive nello stesso mondo in cui viviamo noi: vive in una realtà parallela.

E così i complottisti, e così gli estremisti, e così tutti quanti decidono di abbandonare una certa visione della realtà.

La creazione di una realtà parallela alternativa

La sociologia ha incontrato questi processi – la creazione di una realtà parallela alternativa – in diversi fenomeni sociali. Le sette religiose, luoghi sociali che riscrivono le regole dell’interazione individuale sulla base di un nuovo patto trascendentale. Oppure le dittature, luoghi sociali in cui la convivenza civile si costruisce sulla base di un patto politico spesso basato sulla paura.

Oppure le guerre, luoghi sociali in cui la coesistenza tra gli attori coinvolti (eserciti, civili, profughi, feriti) si basa su un approccio alla realtà noi vs loro. Tutti questi fenomeni sociali hanno alcune caratteristiche simili: sono coercitivi (devi accettarli così come sono), sono totalizzanti (ogni aspetto è gestito dalle istituzioni create da questo fenomeno), hanno un unico messaggio forte (“credi”, “fidati”, “sopravvivi”), i mezzi di comunicazione (mass media) e i mezzi di interazione (social media) sono controllati sistematicamente.

Quest’ultimo punto è fondamentale: se hai dubbi sulla correttezza della realtà descritta dal mondo sociale in cui vivi, cerchi di raccogliere informazioni per essere certo che stai vivendo nell’interpretazione corretta del mondo. Il problema è che quando noi raccogliamo informazioni, tendiamo a sopravvalutare le informazioni che confermano il nostro punto di vista e a sottovalutare le informazioni che lo confutano.

Se il nostro mondo sociale è una setta o una dittatura il problema non si pone: avremo sempre una prevalenza di informazioni che confermano il punto di vista dominante. Ma nel caso di una guerra è differente: avremo informazioni che confermano la bontà dell’azione di un contendente oppure che confermano la bontà della reazione dell’altro contendente. Se siamo coinvolti nel conflitto è facile scegliere: noi abbiamo ragione e loro hanno torto.

Ma se osserviamo una guerra?

Allora ben vengano i giornalisti e i loro strumenti deontologicamente attrezzati per raccontarci il conflitto, ci daranno strumenti per capire da che parte stare a patto però di essere consapevoli di una cosa: saremo noi a dover scegliere da che parte stare.

La contemporaneità ci ha abituato che la verità non esiste e il mondo è la somma delle interpretazioni che lo definiscono. Ma siamo noi a decidere in quale sfumatura di realtà vivere e per farlo l’unico strumento è abbracciare i valori in cui crediamo.

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