Lo scorso giugno Google ha annunciato la sua nuova iniziativa per supportare l’industria giornalistica: il colosso del web pagherà gli editori per la pubblicazione di “contenuti di alta qualità”. Il progetto prevede il lancio di una nuova “news experience” nei prossimi mesi.
Ma prima di rallegrarsi, val la pena riflettere come questa mossa porti verso lo stesso solito scenario accentramento di potere nelle mani dei grandi attori multinazionali.
La cui onnipresenza è talmente data per scontata che si sente il bisogno di affidarsi in ogni caso a un servizio offerto da una loro piattaforma.
O si viene cooptati e assorbiti (come per i giornali con Google/Facebook o per i negozi di terze parti con Amazon; o le startup cannibalizzate dai giganti, come riportato di recente dal Wall Street Journal) o si soccombe. Davvero è questa l’alternativa che dovremo vivere per forza?
Eppure, già da alcuni anni stanno vedendo la luce dei progetti volti a spingere l’internet nella direzione opposta, per creare un ambiente più in linea con la visione originaria della rete: uno spazio libero e indipendente per favorire la crescita economica e la creatività.
Tra questi, il progetto Dfinity: vediamo di cosa si tratta, inserendo la nostra analisi nel contesto della nuova iniziativa Google e della direttiva sul diritto d’autore.
La Direttiva sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale
La Direttiva 790/2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale impone ai prestatori di servizi della società d’informazione di remunerare gli editori per l’utilizzo online delle loro informazioni di carattere giornalistico (articolo 15).
Tuttavia, tale obbligo non si estende alla mera messa a disposizione di un link alla notizia, anche accompagnato da singole parole o estratti molto brevi. Un servizio come Google News, dunque, potrebbe indicizzare le notizie senza pagare gli editori se rimanesse entro questi -stretti- limiti; non sarebbe lecito neppure accompagnare il link con immagini estratte dall’articolo. Invece, nel caso in cui il motore di ricerca volesse pubblicare link alle notizie arricchiti da anteprime, sarebbe costretto a fornire un compenso alle testate giornalistiche.
La nuova iniziativa di Google
Nell’annuncio di Brad Bender (VP Product Management for News) sulla nuova iniziativa di Google[1] non si parla però di collegamenti a notizie, ma viene affermato che lo scopo sarà consentire agli editori aderenti la monetizzazione dei loro contenuti, facendo un ulteriore passo in avanti verso la creazione di un giornalismo di qualità supportato dal colosso del web. Accordi sono già stati presi con lo SPIEGEL Group in Germania, Diarios Associados in Brasile, InQueensland e InDaily in Australia.
Non è ancora chiaro fino a che punto Google potrà influire sulla scelta delle notizie da pubblicare e da approfondire, né come la stipulazione di questi accordi con alcune testate invece che con altre influirà sulla loro visibilità. In ogni caso, gli utenti per tenersi informati si affidano sempre più ai giganti del digitale, che si fanno carico del potere/responsabilità di mostrare alle persone una versione del mondo esterno che per forza di cose risulta filtrata. Quindi resta da scoprire come inserire un ulteriore centro di interessi nella creazione e pubblicazione dei contenuti editoriali possa influire sull’arrivo delle informazioni ai lettori (e su quante di queste non rischino di passare in secondo piano a causa della valutazione dell’”alta qualità” dei contenuti).
La visione di DFINITY e la creazione dell’Internet computer
DFINITY è un’organizzazione non-profit con sede a Zurigo e laboratori di ricerca a Palo Alto, San Francisco e Zurigo. È stata fondata nel 2016 da Dominic Williams e ha come obiettivo la creazione dell’”Internet Computer”, una nuova tecnologia volta a prendere il posto dell’internet che utilizziamo oggi. La parola chiave del progetto è la decentralizzazione per rendere lo spazio digitale più sicuro e, soprattutto, libero dalle ingerenze del “Big Tech”. Se l’ispirazione del progetto può essere in parte derivata da sistemi di blockchain come Ethereum, Dominic Williams in una intervista del 22 gennaio 2020 per “Software Engineering Daily”[2] è stato chiaro nel precisare che il suo Internet Computer si differenzia da quei sistemi sotto vari punti di vista: si tratta di una tecnologia molto più complessa e progettata per competere con l’internet “classico”, che non andrebbe comparata con il blockchain ma con Google, Facebook, Microsoft, IBM.
Uno degli obiettivi di DFINITY è eliminare il cosiddetto “platform risk”, vale a dire il rischio che deriva dal costruire una propria tecnologia su una piattaforma di proprietà di un altro soggetto. Williams in varie presentazioni del suo progetto ha fatto l’esempio di come la compagnia di gaming Zynga sia stata vittima della sua scelta di impiegare Facebook come piattaforma per i propri giochi online, usando questo caso per dimostrare che costruire un impero digitale utilizzando come fondamenta il “territorio” altrui equivale a “costruire sulla sabbia”.
L’Internet Computer dovrebbe essere la soluzione a questi problemi. Ma vediamo più nel dettaglio la tecnologia su cui si basa la visione di Williams.
La tecnologia “Internet Computer”
Se il traffico su internet è gestito dallo standard Internet Protocol (IP), l’Internet Computer utilizzerebbe invece quello che Williams ha chiamato l’”internet computer protocol” (ICP), uno standard che permette anche ai software di muoversi sulla rete così come i dati fanno già con il classico standard IP. In questo modo non vi sarebbe più bisogno di server centralizzati, database, servizi cloud, content distribution network, DNS: si potrebbero scrivere i codici e caricarli direttamente su internet. Questo porterebbe a un enorme risparmio nei costi dello sviluppo di applicazioni e programmi, eliminando allo stesso tempo il “platform risk” e con dei possibili risvolti positivi anche in termini di privacy degli utenti, a detta di Stanley Jones, engineering manager di DFINITY, che sottolinea come il sistema dell’ICP renderebbe più difficile per le compagnie pubblicitarie tracciare l’attività degli utenti su internet[3].
Tuttavia, questo aspetto porta con sé anche alcune preoccupazioni: potrebbe impedire l’identificazione dei soggetti responsabili di violazioni o malfunzionamenti. Per quanto Williams sostenga che la sua tecnologia sarebbe un enorme passo avanti dal punto di vista della sicurezza informatica (la definisce “secure by default” nella succitata intervista) i rischi derivanti da una diminuzione della trasparenza non sono stati ancora affrontati.
L’Internet Computer sarà gestito da una governance decentralizzata chiamata “Network Nervous System”, di cui faranno parte utenti e programmatori alla pari; tutto in linea con l’idea di creare una rete priva di poli di potere.
Conclusioni
Se oggi è impossibile immaginare un mondo senza internet, non è molto più facile ripensare il web escludendo le grandi compagnie che se ne spartiscono la gestione. L’importanza che le testate giornalistiche attribuiscono a Google come principale vetrina per le loro notizie è un sintomo del potere del motore di ricerca, che in futuro potrebbe sempre più controllare la diffusione delle informazioni. Il progetto di DFINITY affascina per la sua portata dirompente di questo “ordine naturale” dell’internet, che ne uscirebbe totalmente ridisegnato.
A tutto vantaggio, pare, delle imprese digitali, che si ritroverebbero in un ambiente “resettato” dai monopoli di fatto che si sono instaurati negli ultimi anni. Un internet più competitivo darebbe spazio anche a nuove compagnie e startup, favorendo l’innovazione e la creatività, con benefici per tutti gli agenti coinvolti. Nei prossimi mesi vedremo se l’Internet Computer resterà un’utopia di nicchia come tanti altri progetti prima di lui o se effettivamente riuscirà a rivoluzionare il modo in cui ci interfacciamo al mondo digitale.
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- A new licensing program to support the news industry, ↑
- DFINITY: The Internet Computer with Dominic Williams, Software Engineering Daily↑
- A plan to redesign the internet could make apps that no one controls, Will Douglas Heaven, MIT Technology Review ↑