La sentenza

Algoritmi nella PA: accesso al software e diritti del produttore, i paletti del Consiglio di Stato

Una recente sentenza del Consiglio di Stato chiarisce i diritti e la posizione processuale della società di produzione di software e algoritmi usati nella Pubblica Amministrazione. Ecco gli importanti principi fissati dai giudici di palazzo Spada

Pubblicato il 05 Feb 2020

Giustizia digitale

In tema di intelligenza artificiale in uso nella PA, con una sentenza del 2 gennaio 2020 il Consiglio di Stato si è soffermato sul ruolo di controinteressato rivestito dal produttore dell’algoritmo e i diritti connessi, fissando un principio destinato a rimanere un cardine nel contenzioso inerente software e algoritmi, in particolare quando essi vengano utilizzati nell’ambito di procedimenti e concorsi pubblici.

Giustizia amministrativa e intelligenza artificiale, le sentenze

Negli ultimi mesi la giustizia amministrativa si sta confrontando sempre più spesso col tema dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi in uso presso la Pubblica Amministrazione. Hanno avuto vasta risonanza tra gli operatori del diritto le sentenze 2936/2019 e 8474/2019, depositate il 13 dicembre 2019 dal Consiglio di Stato, dove per la prima volta il Giudice amministrativo ha esteso la legittimità dell’algoritmo di intelligenza artificiale all’attività discrezionale della Pubblica amministrazione.

In questo modo i Giudici di Palazzo Spada hanno superato la precedente giurisprudenza stigmatizzata dalla pur recente sentenza 2270 dell’aprile 2019 in cui si affermava che “l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata”, dove aveva invece precisato che “non può lasciare spazi applicativi discrezionali (di cui l’elaboratore elettronico è privo), ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili (e ciò la rende in parte diversa da molte regole amministrative generali); la discrezionalità amministrativa, se senz’altro non può essere demandata al software, è quindi da rintracciarsi al momento dell’elaborazione dello strumento digitale”.

Il caso

La sentenza del Consiglio di Stato in esame è la numero 30 del 2 gennaio 2020 ed è stata resa nell’ambito di un contenzioso tra il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, un gruppo di concorrenti del “Corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali” e il Cineca – Consorzio Interuniversitario.

Gli aspiranti dirigenti scolastici hanno partecipato al concorso in questione ed affrontato la prova scritta con esito negativo, ritenendo che ciò sia dipeso da un funzionamento del software che gestiva la prova diverso rispetto alle indicazioni fornite dal Ministero con un apposito tutorial diramato sul sito web della stessa Amministrazione statale.

In particolare, secondo le contestazioni dei candidati, il software non avrebbe previsto la funzione di salvataggio automatico delle risposte rese, né la necessità di procedere ad un salvataggio manuale delle risposte fornite ai quesiti; nessuna funzione, inoltre, sarebbe stata enucleabile dalla tastiera del computer, non annoverante un apposito pulsante con la dicitura “salva”; nel corso delle operazioni, in taluni casi, si sarebbe verificato altresì il blocco del sistema prima della fine del tempo a disposizione per terminare la prova.

Pertanto, è stata presentata nel gennaio 2019 una richiesta di accesso comprendente l’algoritmo di calcolo e i codici sorgente che hanno gestito il software relativo alla prova scritta, al fine di accertare la causa delle irregolarità riscontrate.

Il Ministero non aveva consentito l’accesso, così i candidati presentavano ricorso al Tar Roma, chiedendo l’accertamento del proprio diritto ad accedere e prendere visione del codice sorgente, ovvero dell’algoritmo di calcolo del software che ha gestito le prove scritte del concorso in parola e del programma utilizzato in occasione della prova svoltasi in data 18 ottobre 2018.

Il Tar accoglieva il ricorso, statuendo, tra l’altro, che il Cineca (autore del software) non fosse tecnicamente qualificabile come controinteressato. Il Miur presentava appello contro la sentenza.

Chi è il controinteressato

Anzitutto occorre premettere che la nozione di controinteressato all’accesso è data dall’art. 22, comma 1, lett. c) l. 7 agosto 1990, n. 241, per il quale sono ‘controinteressati’ “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”; il che avviene quando vi sia un soggetto titolare di un diritto alla riservatezza dei dati racchiusi nel documento; l’Amministrazione deve valutare l’esistenza di controinteressati ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, per il quale, “fermo quanto previsto dall’articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”.

In via generalizzata, la parte controinteressata viene individuata nel soggetto, individuato o facilmente individuabile sulla base del provvedimento impugnato, titolare di un interesse eguale e contrario a quello azionato dal ricorrente principale – e, quindi, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, messa in forse dal ricorso, fonte di una posizione qualificata meritevole di tutela conservativa – suscettibile di essere pregiudicato dall’eventuale emissione di una sentenza di accoglimento del ricorso (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 6 giugno 2019, n. 3911).

Il produttore del software come controinteressato

Il Consiglio di Stato, partendo dalle nozioni generali del procedimento amministrativo, fissa, come abbiamo già evidenziato, un principio cardine nel contenzioso inerente software e algoritmi.

I Giudici di Palazzo Spada affermano infatti che “a prescindere dal merito della controversia -e, quindi, dalla possibilità sia di qualificare l’algoritmo quale documento amministrativo suscettibile di accesso, sia di accordare prevalenza alle esigenze di trasparenza amministrativa rispetto a quelle di riservatezza della parte controinteressata- emerge, in via pregiudiziale, la necessità di qualificare l’ideatore di un algoritmo oggetto di istanza di accesso come parte controinteressata all’ostensione, potendo questi, in caso di esibizione, vedere compromesso il diritto a mantenere segreta la regola tecnica in cui si sostanzia la propria creazione”.

La casa madre del software può vedersi lesa nei propri diritti di proprietà industriale e intellettuale in caso di accesso, sicché “il Cineca, in quanto titolare dell’algoritmo oggetto dell’istanza di accesso, si configura come parte controinteressata all’ostensione, potendo subire dall’esibizione del documento richiesto una compromissione del diritto alla riservatezza sui prodotti segreti frutto della propria attività creativa”.

Il pregiudizio in caso di accesso al software

In sintesi, secondo la Giustizia amministrativa, l’ostensione del codice sorgente procurerebbe un grave pregiudizio sia alle esigenze di riservatezza della procedura concorsuale (rilevando le formule e le istruzioni occorrenti per decriptare e gestire quesiti e risposte, nonché tutti i dati inseriti dai candidati del concorso, con conseguente violazione della riservatezza e della regolarità delle operazioni concorsuali), sia al diritto di riservatezza riconoscibile al titolare dello stesso algoritmo, rendendo note tutte le parti di ideazione e strutturazione del software, oggetto di protezione alla stregua del diritto di proprietà intellettuale e industriale; fattispecie limitative del diritto di accesso ai sensi degli artt. 24, comma 6, lett. d), L. n. 241/90, 5 bis, comma 2, lett. c) D. Lgs. n. 33/2013 e 53, comma 5, lett. d), D. Lgs. n. 50/2016.

Sulla base di queste considerazioni, con la sentenza in commento il Collegio ha disposto l’annullamento della sentenza appellata e la rimessione della causa al Tar in maniera che il processo possa celebrarsi, fin dal primo grado di giudizio, nel contraddittorio con il Cineca.

La sentenza da una parte assume una piega garantista nei confronti delle società informatiche, che avranno diritto a essere coinvolte nei procedimenti amministrativi di accesso, d’altro canto pare anticipare che il diritto di accesso – che quando diretto a consentire la tutela in giudizio dei propri diritti e interessi legittimi secondo un orientamento pacifico supera il diritto alla riservatezza – possa invece trovare uno specifico ostacolo in tema di software, dove consentire l’accesso al codice sorgente potrebbe comportare un grave danno economico per il terzo oltre che svelare l’intero iter concorsuale.

Nella pur difficile ricerca di equilibrio necessario tra diritto di accesso e tutela della riservatezza, sarà fondamentale che la giurisprudenza individui un giusto bilanciamento per evitare che le esigenze e le prerogative economiche (legate alla proprietà intellettuale del software) divengano un ostacolo alla tutela dei propri diritti in giudizio.

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