Lo scenario

Blockchain e mercati finanziari, verso un framework regolamentare paneuropeo

La tecnologia blockchain si sta diffondendo sempre di più nel settore finance, situazione che porta all’esigenza di regolamentazioni: analizziamo lo stato dell’arte della normativa e che cosa questa prevede

Pubblicato il 05 Giu 2020

Giovanni Cucchiarato

Partner dello Studio Legale DWF (Italy) ed esperto di FinTech

Andrea Vianelli

Head of Legal and Regulatory Affairs at Amagis Capital Group

blockchain IoT

La blockchain nel settore finanziario è al centro di un acceso dibattito, sia dal punto di vista normativo che commerciale, e sta crescendo sempre di più. La market size globale nel 2023 in tema blockchain è stimata in 23,3 miliardi di dollari, di cui oltre il 60% è rappresentato dal settore finanziario, che comincia ad attrarre non più solo start-up, ma anche players istituzionali interessati all’applicazione della tecnologia blockchain in molteplici aree di business.

Analizziamo l’approccio regolamentare in materia di applicazioni della blockchain nel settore dei financial markets, con riferimento sia ad una possibile futura armonizzazione europea, che alle iniziative promosse in alcune delle giurisdizioni che hanno introdotto una disciplina ad-hoc sulle applicazioni di questa tecnologia nei mercati finanziari.

La normativa di riferimento

L’utilizzo della tecnologica blockchain – che rappresenta l’esempio più noto delle cd. distributed ledger technologies – nel contesto economico-finanziario è oramai una realtà oggetto di frequente analisi e discussione, sia a livello regolamentare che commerciale, e di un crescente interesse, originato principalmente dall’utilizzo speculativo delle c.d. criptovalute e sviluppatosi nella concezione di strumenti di finanziamento alternativi incorporati nei c.d. tokens o cripto-assets, oltre che nello sviluppo di modelli di business innovativi basati sull’utilizzo della blockchain.

La Commissione UE ha avviato nel dicembre 2019 un pubblica consultazione volta ad introdurre una possibile regolamentazione a livello europeo in materia di crypto-assets, conclusasi lo scorso marzo (la “Consultazione UE”) ha sottolineato come “Crypto-assets are one of the major applications of blockchain for finance”[1]. Il fenomeno dei c.d. crypto-assets è stato oggetto di molteplici studi ed iniziative regolamentari a livello europeo[2], spesso focalizzate soprattutto ad identificare i rischi e le problematiche collegate alla possibile elusione dell’applicazione della normativa anti-riciclaggio. Sotto un diverso punto di vista, le predette iniziative regolamentari si sono soffermate sulla classificazione di servizi/prodotti collegati e/o dipendenti dalla tecnologia blockchain e sull’eventuale riconduzione degli stessi all’interno delle categorie regolamentari esistenti, ovvero all’esterno delle stesse, in una sorta di “terra di mezzo” aperta a facili abusi ed arbitraggi.

Invero, l’inquadramento giuridico dei crypto-assets è strettamente dipendente da uno sforzo tassonomico che costringe a definire le loro caratteristiche intrinseche[3]. A tale riguardo, ad avviso di chi scrive, l’importanza di una armonizzazione della regolamentazione delle offerte al pubblico e delle negoziazioni e scambi dei crypto-assets è evidente, in considerazione della loro natura extra-territoriale, similmente a quanto avviene per la prestazione di un servizio di investimento cross-border o l’emissione di uno strumento finanziario, potenzialmente sottoscrivibile da parte di un cittadino residente all’interno dell’Unione Europea. Qualora invece si prediligesse un approccio nazionale, vi sarebbe un evidente rischio di regulatory arbitrage o forum shopping, i quali, combinati ad un eccessivo costo di compliance per i prestatori di servizi ed emittenti interessati ad operare cross-border, disincentiverebbe lo svolgimento di tali attività e di converso lo sviluppo del settore.

Le regole europee

Fino ad oggi si è assistito a svariate proposte di definizione dei crypto-assets, le cui divergenze derivano essenzialmente dal diverso “mandato” assegnato all’istituzione coinvolta o dallo strumento oggetto di studio (tokens o crypto-assets veri e propri, ovvero cripto-valute)[4]. Tra le proposte di definizione è opportuno richiamare quella contenuta in un recente studio effettuato per il Parlamento Europeo (lo “Studio”), secondo il quale il crypto-asset andrebbe definito come “A private digital asset that: (1) is recorded on some form of a digital distributed ledger secured with cryptography, (2) is neither issued nor guaranteed by a central bank or public authority, and (3) can be used as a means of exchange and/or for investment purposes and/or to access a good or service”[5]. Nel predetto Studio i crypto-assets vengono distinti nelle seguenti categorie, sulla base delle loro finalità economiche e caratteristiche essenziali:

  • crypto-assets di natura pubblica, quali ad esempio quelli emessi da banche centrali (si pensi ad esempio alla possibile emissione dell’E-RMB nella Repubblica Popolare Cinese);
  • crypto-assets di natura privata, distinguendoli in: (a) crypto-currencies e (b) tokens. Ferma restando la possibilità (che si verifica sovente nella pratica) di ravvisare crypto-assets ibridi, all’interno degli strumenti di cui alla lettera (a) rientrano le criptovalute tradizionali (e.g. Bitcoin) e gli stablecoins (e.g. Libra), mentre all’interno della lettera (b) rientrano i c.d. investment tokens (o security tokens) e gli utility tokens.

Tale dicotomia e le ulteriori ramificazioni all’interno dei c.d. private crypto-assets viene ripresa nel documento posto in consultazione nella Consultazione UE, laddove si identificano sostanzialmente tre tipologie di crypto-assets sulla base della loro funzione economica ovvero (i) payment tokens, (ii) investment tokens e (iii) utility tokens. A differenza che nello Studio, nel documento proposto dalla Commissione UE nell’ambito della Consultazione UE viene proposta una definizione di crypto-asset di più ampio respiro, che lo indentifica come “a digital asset that may depend on cryptography and exists on a distributed ledger”, al fine di includere in tale definizione sia assets di natura pubblica (e.g. central bank tokens), che di natura privata, indipendentemente dalle loro finalità.

Lo stato dell’arte

Come menzionato nel paragrafo precedente, a livello europeo si è assistito a svariate iniziative “esplorative” volte a definire ed inquadrare il fenomeno dei crypto-assets. Invero, ad oggi, l’intervento più significativo, da un punto di vista legislativo, consiste nella menzione di virtual currencies e di wallet providers ed exchanges all’interno del perimetro applicativo della citata V Direttiva Anti-riciclaggio. Tale inserimento ha l’indubbio valore di sottoporre ad un regime armonizzato le procedure in tema di AML/CFT, rendendole applicabili in tutti gli Stati membri anche ai sopra citati soggetti (wallet providers ed exchanges), anche se, come visto, la categoria dei crypto-assets non corrisponde con quella delle virtual currencies ed è più ampia rispetto a quest’ultima.

A ciò consegue, pertanto, che i crypto-assets non hanno ancora trovato nel contesto regolamentare europeo una collocazione sistematica con riferimento alla loro definizione e classificazione. Tramite la Consultazione UE, la Commissione europea si prefigge proprio l’obiettivo di raccogliere osservazioni e proposte dagli stakeholder di riferimento circa un framework regolamentare relativo al mondo dei crypto-assets, a partire dagli aspetti definitori e classificatori. Senza entrare nel merito di tutte le considerazioni svolte dalla Commissione europea nel predetto documento, nel successivo paragrafo verranno evidenziati alcuni temi di particolare interesse, al fine di tentare di identificare, sulla base dell’approccio della Commissione, quali potranno essere i potenziali sviluppi regolamentari in ambito europeo.

Cosa ci aspetta in futuro: la Consultazione UE

Quale prima affermazione di principio, la Commissione enfatizza la possibilità di ricondurre al regime regolamentare esistente una parte di crypto-assets, ammettendo però l’esistenza di una serie di restrizioni che impedirebbero il pieno utilizzo delle DLTs (come la tecnologia blockchain). A tale considerazione si accompagna una riflessione della Commissione sulla diffusione dei c.d. stablecoin, i quali, in particolare a seguito della vicenda Libra, paiono essere nel mirino di molteplici autorità internazionali a causa dei possibili rischi in tema di stabilità finanziaria[6]. La Commissione svolge una interessante disamina dei profili regolamentare applicabili (i) a quei crypto-assets già rientranti nel perimetro normativo esistente (i.e. MiFID II e EMD) nonché (ii) a quei crypto-assets che, invece, non rientrano in tale perimetro e rispetto a quali viene proposto un approccio regolamentare armonizzato, al fine di garantire la protezione del consumatore/investitore e l’integrità del mercato[7].

Il documento posto in Consultazione si compone di quattro sezioni, di cui una prima più generale volta a comprendere al meglio il mercato di riferimento, mentre le successivi tre sezioni si focalizzano sui seguenti aspetti: (1) tassonomia, (2) regime applicabile ai crypto-assets non rientranti nelle categorie previste dalla regolamentazione esistente (tale sezione è focalizzata su payment tokens, utility tokens, investment tokens e stablecoins), e (3) regime applicabile ai crypto-assets rientranti nella normativa esistente (c.d. security tokens e e-money tokens) e proposte di intervento al fine di garantire una coerenza sistematica e sostanziale. Un interessante spunto critico proposto dalla Commissione attiene all’attitudine o meno del deposito di crypto-assets di rientrare nel concetto di deposito bancario ed essere pertanto soggetti alla Deposit Guarantee Scheme Directive 2014/49/EU (“DGSD”), che ad avviso di chi scrive sembra di escludersi per pressoché tutte le tipologie di crypto-assets, stante la definizione di “deposito” di cui all’Art. 2(1)(3) della DGSD, fatta forse eccezione per gli stablecoins. Di seguito, si offrirà una breve disamina delle considerazioni svolte dalla Commissione UE in tema di crypto-assets, distinguendo tra quelli tra essi che parrebbero porsi al di fuori del contesto normativo attuale e quelli che sembrerebbero invece rientrare nella regolamentazione esistente.

Crypto-assets non rientranti nella normativa esistente

La Commissione identifica le aree di applicazioni che potrebbero essere potenzialmente considerate “use cases” per l’utilizzo delle DLTs, ed in particolare della tecnologia blockchain, ossia (i) i pagamenti (mediante stablecoins e payment token), (ii) le Initial Coin Offerings (“ICOs”) quale canale di finanziamento alternativo, (iii) la “tokenizzazione” di assets reali e, ovviamente, (iv) crypto-assets quali oggetto di investimento.

Di converso, vengono identificati dalla Commissione alcuni rischi, come quelli legati al money laundering, alle frodi, ai cyber attacks, alla manipolazione del mercato e all’evasione fiscale, nonché alla tutela della privacy e all’utilizzo eccessivo di energia. Menzione viene fatta altresì dei rischi legati alla stabilità finanziaria, con ovvio riferimento all’utilizzo di stablecoins[8] ed in particolare di global stablecoins (e.g. Libra).

Intermediari e altri prestatori di servizi

La Commissione enfatizza poi come, con l’esclusione della V Direttiva Anti-riciclaggio, per la maggior parte dei service providers operanti nel mondo crypto non sussistano normative ad-hoc, segnalando pertanto l’opportunità di introdurre una regolamentazione armonizzata a riguardo. Vengono analizzati dalla Commissione, in particolare, trading venues ed exchanges, nel tentativo di identificarne i rischi principali (tra cui, manipolazione del mercato, insider trading, rischio di controparte, mancanza dei requisiti di organizzazione ed in tema di resilienza, identificazione della controparte nelle transazioni e disclosure ad autorità terze), nonché di delineare, forse per la prima volta in maniera chiara, le differenze nei business model di quei players che si propongono quali “exchanges”, ma operano più secondo il modello dei brokers/dealers piuttosto che di quello delle trading venues. Anche a tale riguardo, vengono evidenziati dalla Commissione una serie di rischi e conseguenti possibili misure di mitigazione degli stessi, spesso ricalcanti la disciplina applicabile ai sensi di MiFID II e MiFIR (e.g. in tema di record-keeping, asset segregation e requisiti prudenziali).

Non da ultimo, vengono esaminate le attività poste in essere dai c.d. wallet providers, distinguendo tra i tradizionali custodial e non custodial wallets, e vengono individuati anche per questi providers i rischi e le potenziali misure volte a mitigarne l’impatto (e.g. segregazione, governance e termini contrattuali particolari). Un ultimo cenno merita l’analisi circa l’opportunità di ricondurre nell’alveo regolamentare anche la prestazione di ulteriori servizi, regolamentati dalla MiFID II, quali la gestione del portafoglio, ovvero dalla PSD2 (Payment Services Directive 2 2015/2366/EU), laddove siano coinvolti dei servizi di pagamento rispetto ai crypto-assets.

Le considerazioni svolte dalla Commissione nel documento posto in consultazione in tema di emittenti sono principalmente incentrate sull’assenza di una standardizzazione dei c.d. white-papers, che comporterebbe alcuni rischi, specie laddove siano coinvolti emittenti di global stablecoins. Tali considerazioni paiono, con tutta probabilità, aprire la strada alla futura introduzione di uno standard paragonabile, pur con le dovute differenze, a quello esistente ai sensi del Regolamento europeo sul prospetto informativo (Prospectus Regulation 2017/1129/EU). Un cenno merita inoltre un interessante passaggio del documento posto in consultazione, laddove la Commissione sottolinea l’importanza di identificare, qualora si introduca una normativa di settore, un’autorità europea competente a cui demandare la supervisione ed il monitoraggio delle predette attività.

Crypto-assets rientranti nella normativa esistente

Spostando l’attenzione su quei crypto-assets che, per la loro funzione economica ed il loro utilizzo, paiono rientrare nella normativa europea esistente, l’analisi della Commissione si focalizza prima sui c.d. security tokens e successivamente sui c.d. e-money tokens. Quanto ai primi, definiti come “crypto-assets issued on a DLT and that qualify as transferable securities or other types of MiFID financial instruments”, la Commissione sottolinea che le attività prestate in relazione ai predetti asset sottostanno anch’esse alle regole di cui alla MiFID2 ed alla disciplina di settore applicabile, senza eccezione alcuna (tra le altre, lo European Markets Infrastructure Regulation 648/2012/EU EMIR, e il Regolamento 909/2014/EU on improving securities settlement in the European Union and on central securities depositories, CSDR).

A tale riguardo, la Commissione specifica però che il principio di neutralità tecnologica che attrae tali crypto-asset all’interno delle normative esistenti deve intendersi anche applicabile in via “protettiva” nei confronti dei vari player coinvolti: in tal senso, la normativa europea non deve discriminare quei soggetti che intendano, debitamente regolamentati, adottare la DLT quale infrastruttura tecnologica nell’offerta dei propri servizi. Ancora, in tema di tassonomia la Commissione si propone di introdurre un regime di armonizzazione volto ad evitare l’esistenza di sistemi a più velocità all’interno dell’Unione, proponendo tre possibili soluzioni, ovvero (i) l’introduzione di una definizione ad-hoc di security token, (ii) l’armonizzazione della definizione di strumento finanziario, o (iii) l’introduzione di linee guida europee volte alla classificazione dei crypto-asset.

Nel documento posto in consultazione vengono approfonditi, in particolare, gli aspetti attinenti all’emissione di security tokens ed al loro successivo listing nel mercato secondario, affermandosi a tale riguardo che, nel contesto normativo esistente, non vi sono particolari elementi ostativi al consentire l’operatività di security tokens mediante sistemi permissioned e modelli di piattaforma centralizzata, precisando comunque la volontà di offrire ulteriori chiarimenti e, probabilmente, linee guida a tale riguardo. La Commissione riscontra invece il bisogno di intervenire sulla normativa esistente per sdoganare modelli decentralizzati e peer-to-peer, evidenziando però che tale intervento non parrebbe attualmente in programma nel breve periodo.

Trading venues

Secondo l’approccio delineato nella Commissione, le piattaforme coinvolte nel trading di security tokens potrebbero ricadere all’interno della definizione di MTF (multilateral trading facilities), ovvero di intermediario finanziario, a seconda del modello di business adottato in concreto (i.e. on-the-book trading vs deal-on-own account o brokerage), ovvero ricadere nell’esenzione conferita ai c.d. bulletin boards ai sensi del Considerando 58 del Regolamento MiFIR 600/2014/EU.

Viene ritenuta ipotizzabile, stanti le attuali restrizioni all’accesso all’attività di gestione di trading venues ai sensi della MiFID2, l’introduzione di una disciplina ad-hoc a tal riguardo per gli exchanges. La Commissione passa poi in disamina, confermandone la piena applicazione, la normativa in tema di Market Abuse e il sopra citato Prospectus Regulation, mentre viene messa in dubbio l’applicazione dello Short Selling Regulation 236/2012/EU.

Il documento posto in consultazione si conclude con un’analisi dei c.d. e-money tokens, ovvero payment tokens riconducibili o affini alla nozione di electronic money proposta nella Electronic Money Directive 2009/110/EC, EMD (inclusi gli stablecoins e i global stablecoins), sottolineando come la loro emissione debba essere compliant con la predetta EMD e che eventuali servizi di pagamento svolti a tale riguardo richiedano la licenza necessaria ai sensi della PSD2.

Conclusione

Sebbene ad oggi il panorama connesso al mondo delle cryptos sia cresciuto e si sia sviluppato in assenza di un quadro normativo omogeneo, le ultime iniziative promosse sia a livello globale che regionale, in ambito EU, paiono tracciare la via maestra verso un futuro connotato dall’introduzione di una cornice regolamentare più chiara e, per molti aspetti, vicina a quella tradizionalmente applicabile ai financial market. Se da un lato era evidente la necessità dell’introduzione di una tassonomia omogenea in tema crypto, nonché l’introduzione di adeguate tutele in tema AML/KYC, ci si augura, dall’altro, che tale più ampio contesto regolamentare non stravolga e sterilizzi gli aspetti dinamici ed innovativi di questo mondo, ma vada piuttosto a tradurre in misure concrete l’obiettivo di garantire il fondamentale principio di neutralità tecnologica, eliminando barriere regolamentari che possono a volte finire per creare discriminazioni nei confronti di quei players operanti nel contesto delle DLTs e della blockchain.

_

Note

  1. Secondo un recente studio effettuato per il Parlamento Europeo, all’inizio del 2020 si registravano più di 5.100 crypto-assets per una total market capitalisation di oltre 250 miliardi di dollari.
  2. Tra le varie, è opportuno citare l’“Advice to ESMA: Own Initiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets” del Securities and Markets Stakeholder Group dell’ottobre 2018, p. 36 
  3. In tal senso, si veda la Consultazione, p. 8.
  4. Talvolta, il mandato dell’ente coinvolto (e.g. supervisione bancaria, ovvero in tema di servizi di investimento / strumenti finanziari) si riflette nell’analisi e conseguente determinazione in tema di crypto-asset, originando una definizione dell’asset in termini relativi piuttosto che assoluti. Basti pensare alla definizione proposta dalla European Central Bank Crypto Asset Taskforce, che definisce i crypto-assets come “any asset recorded in digital form that is not and does not represent either a financial claim on, or a financial liability of, any natural or legal person, and which does not embody a proprietary right against an entity”, accessibile al seguente link: www. ecb.europa.eu/pub/pdf/scpops/ecb.op223~3ce14e986c.en.pdf; mentre ESMA definisce le criptovalute “any digital representation of an interest, which may be of value, a right to receive a benefit or perform specified functions or may not have a specified purpose or use”. Da un punto di vista legislativo, una prima definizione di “virtual currency” nel panorama europeo viene proposta nella V Direttiva europea in materia di anti-riciclaggio, laddove viene definita come “digital representation of value that is not issued or guaranteed by a central bank or a public authority, is not necessarily attached to a legally established currency and does not possess a legal status of currency or money, but is accepted by natural or legal persons as a means of exchange and which can be transferred, stored and traded electronically”.
  5. Dr. Robby Houben & Alexander Snyers, EU Parliament, “Crypto-assets, Key developments, regulatory concerns and responses”, aprile 2020.
  6. Previamente considerata scevra da insidie causate da crypto-assets, probabilmente alla luce della contenuta market size.
  7. In linea con l’approccio che si ricava nella Mission letter of President-elect Von der Leyen to Vice-President Dombrovskis, del 10 settembre 2019.
  8. Si veda FSB Chair’s letter to G20 Finance Ministers and Central Bank Governors, Financial Stability Board, 2018.

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