professione e competenze

Fare l’avvocato nell’era digitale, perché è necessario aggiornarsi

A quasi quattro anni dall’obbligatorietà del Processo Telematico, molti avvocati cercano ancora di opporsi all’evoluzione digitale. Sacche di resistenza che vanno vinte partendo dal presupposto che la professione forense, come la società, è già cambiata e anche gli avvocati dovranno adattarsi

Pubblicato il 29 Giu 2018

- arbitrato telematico - ho mobile risarcimento utenti attacco hacker

Per dirla in modo non proprio corretto giuridicamente, ma giusto per essere chiari, a giugno si sono compiuti quattro anni “dall’entrata in vigore del Processo Telematico”, e può essere arrivato il momento per qualche riflessione in merito al rapporto tra gli avvocati e il mondo dell’informatica giuridica.

Non vi è alcun dubbio che tale rapporto sia particolarmente complicato e che ancora oggi ci siano forti sacche di resistenza tra i colleghi ad affrontare innovazioni tecnologiche che abbiano a che fare con i sistemi informatici.

Vi è una sorta di blocco psicologico nella mente del giurista (peraltro non solo dell’avvocato, ma anche del magistrato) per cui viene dato per scontato che qualsiasi modifica legislativa che comporti un maggior uso di sistemi informatici sia fatta al solo scopo di rendere le cose più complicate.

Ancora oggi, infatti, si sentono molti colleghi fare affermazioni come “io non ho studiato giurisprudenza per fare il lavoro di un ingegnere informatico” oppure “questo PCT è fatto solo per complicarci la vita e ci fa perdere tempo”.

Al netto del fatto che frasi come la seconda sono perfino divertenti per quanto destituite di fondamento (basti pensare ai 10 minuti di tempo che ci vogliono oggi per depositare un atto in un tribunale a 500 km di distanza, rispetto alle tempistiche di 4 anni fa, quando si doveva cercare un domiciliatario, spedire l’atto, sperare che non si perdesse nel tragitto, ecc. ecc.), il vero problema di molti avvocati nell’affrontare l’evoluzione digitale della professione sta proprio nel concetto espresso nella prima frase.

L’ostacolo principale è dato dall’errata convinzione della maggioranza dei colleghi che il processo sia diventato telematico perché delle leggi hanno obbligato i professionisti a “digitalizzare i loro atti e i loro fascicoli”.

L’adeguamento delle norme all’evoluzione digitale

Invece, come succede sempre e come noi avvocati dovremmo sapere bene, le norme hanno solo preso atto di quella che è l’evoluzione della nostra società verso il digitale, adeguando la professione ai tempi. Ciò, peraltro, non è che una conseguenza logica dovuta alla natura del lavoro dell’avvocato, che è “professione calata nel sostrato sociale, e quindi naturalmente portata ad evolversi insieme alla società”[1].

Il paradosso di questa situazione sta nel fatto che la gran parte della digitalizzazione dello studio legale è già avvenuta negli ultimi due decenni (con atti scritti a computer, documenti di prova digitali, foto scattate da telefoni cellulari o fotocamere digitali), ma molti non si sono nemmeno resi conto di quanto stava avvenendo sotto i loro occhi, fino a che è stata introdotta l’obbligatorietà del deposito telematico.

Una strada da cui non si torna indietro

Già è partita la sperimentazione per quanto riguarda i depositi telematici avanti la Suprema Corte di Cassazione, e sempre più numerosi sono i convegni organizzati in tema di processo penale telematico, che andrà ad aggiungersi alle tre procedure già operative (civile, amministrativa e tributaria). E a nulla valgano le speranze di qualcuno fondate sulle “leggende del processo telematico”, come quella che in Germania siano tornati indietro dopo aver provato a sviluppare un sistema analogo al nostro[2].

Dato questo come dato di fatto (il contrario sarebbe come tornare ai telefoni a ghiera e rinunciare ai nostri cari smartphone), non resta che convincerci come categoria che tale evoluzione va assecondata e seguita, ma assolutamente non subita.

Guidare l’evoluzione digitale della professione

Anzi, semmai, va addirittura guidata.

Come già detto, non è il sistema giustizia ad essersi improvvisamente digitalizzato, ma la società stessa che è entrata in un’era telematica.

Quindi, così come ci siamo abituati a computer più potenti, a smartphone più performanti ed a strumenti più moderni, dobbiamo abituarci a nuove regole, che comunque non ci sono completamente estranee.

Perché oggi non vi è più nessuno (se non in rari casi di insormontabili errori di sistema) che abbia problemi di tipo tecnico ad effettuare il deposito telematico: le modalità tecniche, passo per passo, sono eseguite da tutti. Quello che invece ancora manca a molti è la consapevolezza che le “norme del processo telematico” non sono norme diverse da quelle ordinarie di procedura, tanto che “si dovrebbe iniziare a parlare non di PCT ma di PCN, ovvero di Processo Civile Normale[3]”.

Essere preparati al digitale è un obbligo

Permane tuttora l’errata percezione che imparare come fare una notifica telematica sia diverso rispetto ad una notifica in proprio a mezzo posta, o che studiare le regole per fare un’iscrizione a ruolo in via telematica sia altro da un deposito cartaceo. In realtà, le fattispecie sono analoghe, e così lo sono le conseguenze giuridiche di eventuali errori o mancanze da parte del professionista.

Quello che si dovrebbe capire è che non è più il tempo di nascondersi dietro a frasi come “le eccezioni in punto di telematico sono scorrette perché le sanno fare in pochi”: deve ormai essere chiaro che tali eccezioni e argomentazioni sono eccezioni di rito che hanno la stessa valenza e la stessa rilevanza di tutte le altre eccezioni che possano essere sollevate nel corso di una causa, tanto che i giudici stanno decidendo numerose controversie proprio in relazione a tali deduzioni.

Dobbiamo, quindi, essere pronti ma soprattutto capaci di svolgere determinate eccezioni, nonché di eventualmente difenderci dalle stesse: questo perché l’essere preparati è dovere e responsabilità (deontologica e professionale) di ogni avvocato.

Ma non solo questo.

Competenza e preparazione dell’avvocato digitale

Se è vero che queste norme vanno studiate per poterle utilizzare nel processo, è anche vero che gli avvocati devono padroneggiare tale normativa per poter essere interlocutori credibili del legislatore al fine di migliorarle ed affinarle, rendendole meno complesse e macchinose in determinati aspetti.

Ma è ovvio come tale confronto non possa avvenire se gli avvocati non si dimostrino, come categoria, un soggetto preparato e consapevole di ciò di cui si sta parlando.

La figura dell’avvocato, al netto degli svilimenti che ne fanno certe normative e certi atteggiamenti di singoli appartenenti alla categoria, è sempre stata caratterizzata da competenza e preparazione: l’avvocato è, e non può non essere, un uomo di cultura.

Non solo.

L’avvocato deve essere anche un uomo del suo tempo, e capire come si muove la società per poter svolgere il suo lavoro al meglio.

A quasi quattro anni dall’entrata in vigore del processo telematico, quindi, si può dire che ancora vanno vinte delle resistenze, ma che sicuramente la professione forense è già cambiata (come lo è la società) e quindi gli avvocati dovranno adattarsi alla modernità.

Si può dire senza tema di smentita che in questa epoca digitale, “la tecnologia non è più appannaggio esclusivo di scienziati, ingegneri e addetti ai lavori, ma è entrata nelle case, negli uffici, negli studi professionali e la portata rivoluzionaria di questa irruzione appare riflettersi inevitabilmente nel campo del diritto, ponendo nuove sfide al giurista […] Per queste ragioni, non può più considerarsi tale chi si ostini a non volersi occupare dell’informatica, a rifiutare di capire come e quanto possa servire a migliorare la qualità della vita, a non cercare di vederne le applicazioni professionali. […] Un avvocato che si rifiutasse di compiere questo sforzo si porrebbe allo stesso livello di chi volesse comprendere il diritto vigente senza saper essere uomo del suo tempo”[4].

L’avvocato, quindi, se vuole rimanere uomo di cultura e uomo del suo tempo deve evolversi: deve farlo per sé, per difendere al meglio i diritti dei propri clienti e per tutta la categoria.

Altre strade porteranno inevitabilmente ad un discredito del proprio lavoro e della propria figura professionale… un discredito ben espresso dal Prof. Ugo Pagallo, Docente di Filosofia del diritto e di Informatica giuridica dell’Università degli Studi di Torino, che in modo anche brutale ha chiarito come “Oggi, il Giurista non informatizzato è un giurista analfabeta”.

E nessun avvocato dovrebbe mai fare la figura dell’analfabeta.

  1. Cit. Avv. Luca Sileni, Referente Informatico dell’Ordine degli Avvocati di Grosseto e Segretario Centro Studi Processo Telematico, durante il convegno del 4 aprile 2018 a Perugia “Il Processo Telematico e l’Avvocato 2.0”.
  2. Per approfondimenti si legga Processo civile telematico in Germania? Sì, grazie. un falso mito smentito dai fatti” sul sito del Centro Studi Processo Telematico.
  3. Cit. Avv. Nicola Gargano, Referente informatico dell’Ordine degli Avvocati di Bari e componente del Consiglio direttivo del Centro Studi Processo Telematico, durante il convegno del 23 marzo 2018 a Verona “L’Avvocato Telematico”
  4. Cit. Prof. Renato Borruso (1928 – 2014), Pres. Agg. Onorario Corte di Cassazione “L’Informatica negli studi legali e nel processo civile” pubblicazione dell’Unione Triveneta Avvocati

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