L'analisi

Nuovo Codice della crisi, cosa cambia per imprenditori e aziende

Recependo la normativa europea, il nuovo Codice della crisi rappresenta una riforma del diritto fallimentare, che fino adesso non aveva subito grosse modifiche

Pubblicato il 18 Feb 2020

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Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza ha recepito la direttiva europea numero 1023 del giugno 2019 e ha rappresentato una riforma organica del diritto fallimentare, fino ad oggi rimasto nel suo corpus di base sostanzialmente invariato dalla sua introduzione, avvenuta oltre settant’anni fa (nel 1942). Analizziamo la situazione, in particolare considerando l’introduzione dei sistemi d’allerta.

Il contesto

La necessità di superare le limitazioni di una normativa che non si è evoluta e adattata ai cambiamenti economico-sociali aveva spinto già nel 2005 ad apportare alcune modifiche di portata minore. In seguito alla crisi queste criticità sono divenute ancor più evidenti, facendo emergere come la normativa ante-riforma non fosse in grado di garantire l’uscita dal mercato delle imprese in tempi brevi, il recupero di una quota sufficiente dei crediti ed in generale efficaci procedure di ristrutturazione per le aziende meritevoli di salvataggio. Era inoltre diffusamente utilizzato il termine fallimento che richiama lo stigma sociale negativo attribuito agli imprenditori le cui imprese erano andate incontro ad insolvenza.

Tutte queste considerazioni, unitamente alla spinta europea, hanno portato alla realizzazione di questa Riforma, che ha avuto una genesi molto lunga, essendo stata abbozzata già nel 2016. I primi interventi previsti dalla Riforma sono già in vigore dall’inizio del 2019, quali le modifiche al codice civile relative alle Imprese, tutte, non soltanto quelle in crisi. Le maggiori novità di questa normativa, quelle relative alla “gestione” della nuova procedura della crisi, con nomina dei nuovi organi, entreranno in vigore il 15 agosto 2020, dopo una vacatio legis di 18 mesi per consentire l’adeguamento alle imprese e agli enti pubblici coinvolti.

Nuovo codice della crisi, il coinvolgimento degli imprenditori

L’aspetto rilevante della riforma è che non coinvolge solo le imprese interessate da procedure concorsuali, ma riguarda tutti gli imprenditori, prevedendo che tutti gli imprenditori in forma collettiva (ossia società di qualunque tipo e cooperative) debbano dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile, adeguato alla natura e alle dimensioni dell’azienda, tale da consentire, anche, quindi non soltanto, una tempestiva rilevazione dello stato di crisi. Questa previsione, contenuta nell’art. 2086 cc, per la prima volta pone a carico del soggetto Impresa, una forma organizzativa e di controllo “minima”, ossia si esplicita che l’attività di impresa non è più soltanto combinazione di fattori produttivi insieme, al fine di produrre beni o servizi, per la realizzazione di un profitto.

Occorre, invece, anche un apparato di controllo, sia organizzativo, che amministrativo e contabile, pur variabile in funzioni delle dimensioni e della complessità dell’azienda stessa. E questo controllo ha degli obiettivi specifici: verificare le prospettive di continuità aziendale, sia in ottica di business, sia in ottica di adeguati e ordinati pagamenti dei propri debiti nell’immediato futuro, come vedremo. Per gli imprenditori individuali invece l’art. 3 del nuovo codice della Crisi richiede la predisposizione di misure atte a consentire la tempestiva rilevazione dello stato di crisi.

Il concetto di crisi nel nuovo codice

Ma cosa si intende per stato di crisi esattamente? Viene definito come uno stato “di difficoltà economico finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per l’impresa si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Tale definizione sottolinea la diversità tra stato di crisi e di insolvenza, il primo infatti non è visto come uno stadio irreversibile bensì come uno stadio intermedio che potrebbe essere momentaneo e, pertanto, superabile anche attraverso un intervento nella gestione interna. L’intento del legislatore è preservare la possibilità per l’imprenditore di gestire internamente la crisi intercettandola in anticipo mediante lo strumento degli di early warning permettendo di gestire in autonomia la prima manifestazione di situazioni di difficoltà.

Infatti, l’intervento da parte dell’imprenditore deve avere, come previsto dall’art. 375 del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, carattere tempestivo, per tale motivo è necessario un continuo monitoraggio di quelli dei già citati early warning che l’art. 13 del codice della crisi al primo comma individua in 2 tipologie di segnali: equilibri aziendali (reddituale, patrimoniale o finanziario) atipici rispetto alle caratteristiche e alla fase del ciclo di vita dell’impresa e ritardi nei pagamenti reiterati e significativi. Sulle modalità effettive di questo controllo, ancora si dibatte e stanno sorgendo diversi strumenti, software o meno, e varie interpretazioni da dottrine e prassi. In generale, il controllo può essere effettuato tramite il calcolo di opportuni indici che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento rispetto ai flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. La valutazione viene effettuata prospetticamente sui 6 mesi successivi, su base rotativa dell’anno, ossia spostandosi progressivamente avanti anche quando mancano meno di 6 mesi alla fine dell’anno.

Lo scenario futuro

Occorre chiedersi se gli imprenditori si adegueranno alla nuova normativa che seppur con i suoi effetti positivi può risultare onerosa per l’impresa. Nonostante infatti la quantificazione dei costi risulti ancora difficile, alcuni stimano che solo per l’acquisto del software (in grado di individuare l’inizio della crisi) gli imprenditori spenderanno un miliardo di euro. Inoltre, per evitare di sostenere tali ulteriori costi le imprese in cui non sussiste l’obbligo di nomina di un organo di controllo, potrebbero scegliere di non conformarsi alla normativa, poiché anche nel caso di mancato adeguamento alla nuova normativa potrebbero – allo stato – non incorrere in sanzioni, salvo in caso di insolvenza.

È dunque probabile che molte di queste non si adeguino, anche se il rischio in capo all’imprenditore aumenta, in questo caso: se si verificherà l’insolvenza, sull’imprenditore ricadrà la responsabilità di debitore in forza della quale sarà accusato di bancarotta fraudolenta. Approfondiremo gli indicatori e gli indici della crisi con maggiore dettaglio e così la ponderazione dei possibili benefici, rispetto ai costi della Riforma. In conclusione, per il momento, possiamo dire che la nuova disciplina fallimentare si rivelerà vincente se riuscirà al contempo ad individuare tempestivamente le imprese in stato di crisi irreversibile, favorendone un’uscita dal mercato rapida e a basso costo, ed a fornire alle imprese che sono solo in una momentanea difficoltà validi supporti ai fini della loro ristrutturazione, prima che la crisi divenga cronica.

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