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Ecosistemi digitali e imprese: come coltivare la cultura dell’innovazione



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Gli ecosistemi digitali sono una leva e un’occasione di innovazione sistemica che bisogna imparare a gestire. Vediamo come, in questo estratto di “Alla ricerca del buon management – Esperienze e metodi per una cultura dell’innovazione” di Alfonso Fuggetta

Pubblicato il 25 mar 2024

Alfonso Fuggetta

AD e direttore scientifico del Cefriel e professore ordinario di Informatica al PoliMI



Ecosistemi digitali: come rendere città e territori smart e sostenibili
Ecosistemi digitali: come rendere città e territori smart e sostenibili

Oggi si parla molto di ecosistemi digitali e di economie e modelli di business basati su piattaforme (da qui l’espressione platform economy). In effetti, si tratta di innovazioni tecnologiche e soprattutto organizzative e di business che sempre più hanno e avranno un impatto profondo sulle imprese, sull’economia e sulla società nel suo complesso. Per parlarne, è utile rivedere un po’ la cronistoria di quanto è stato fatto in Cefriel perché spiega, da un lato, l’evoluzione nel tempo di questi concetti e, dall’altro, sottolinea alcune importanti dinamiche dei processi di innovazione.  Prima però qualche semplice definizione.

Cos’è un ecosistema digitale

Un ecosistema è in senso generale un insieme di attori e fattori ambientali che coesistono e interagiscono in modo da creare un ambiente aperto e dinamico che permane nel tempo. Questo termine nasce nelle scienze biologiche ed è stato applicato in campo digitale per indicare una comunità di soggetti che collaborano e si sviluppano grazie ad interazioni digitali. Gli ecosistemi digitali hanno dato origine a modelli di business spesso identificati con l’espressione platform economy, studiata ormai da molti anni a cominciare dal lavoro di Michael Cusumano al MIT.

Fin dagli anni 2000, Cefriel partecipò a iniziative di ricerca su quelle che si chiamavano Service Oriented Architecture. Questa espressione si fonda sulla valorizzazione di componenti tecnologiche (per semplificare, ciò che oggi chiamiamo API, Application Programming Interface) che permettono a sistemi informatici distribuiti di interagire scambiandosi informazioni e servizi, cioè «parlare tra di loro, dialogare».

Per esempio, servono per far dialogare un operatore dei trasporti su gomma con un altro operatore che si occupa di spedizioni aeree per concordare come un pacco debba essere gestito; oppure, possono essere utilizzate per far interagire in modo diretto e digitale un comune (o l’Agenzia delle Entrate) che, in campo medico, voglia autorizzare un’azienda sanitaria a fornire in modo gratuito un servizio a un cittadino. Nel tempo,

queste attività di ricerca studiarono ed approfondirono non solo gli aspetti tecnologici dell’interazione, ma anche e soprattutto i metodi e i modelli di progettazione, sviluppo, gestione e valorizzazione economica dei sistemi costruiti secondo questo paradigma.

Ecosistemi digitali e platform economy: il caso di EO15

Nel 2009, Cefriel propose a Confindustria, a Confcommercio e alla società Expo 2015 di applicare i concetti di ecosistema digitale e platform economy allo sviluppo di una infrastruttura e, soprattutto, di un paradigma di collaborazione tra tutti gli attori che stavano partecipando, in varie forme, alla organizzazione di Expo 2015. Nel 2010 fu firmata la convenzione3 che segnò la nascita ufficiale di E015, oggi un servizio di Regione Lombardia. E015 è uno dei primi casi di ecosistema digitale aperto che abilita la collaborazione di soggetti pubblici e privati. È citato come best practice sia dal NIST che dall’Unione europea. Di fatto, E015 fu per Cefriel il progetto pilota per applicare su scala industriale le idee sviluppate a livello di ricerca anni addietro.

Nello specifico, E015 definisce standard, regole e componenti tecnologiche per abilitare una molteplicità di soggetti economici e istituzionali ad interagire e cooperare in un ecosistema digitale aperto e paritario. L’interazione è peer-to-peer, avviene cioè in modo diretto tra i diversi soggetti. Esiste un unico punto di accesso centralizzato che è il catalogo dei prodotti digitali (le API in particolare) che ciascun soggetto mette a disposizione degli altri partecipanti all’ecosistema. Il modello di collaborazione è quello della coopetition: si collabora nella definizione delle regole comuni; si compete negli aspetti di mercato e di fornitura di specifici servizi. Ogni attore dell’ecosistema definisce in quale modo i propri servizi e asset digitali devono essere offerti agli altri partecipanti all’ecosistema (costo, gestione della proprietà intellettuale, livelli di servizio ecc.).

Il toolkit Cefriel per gli ecosistemi digitali

[…] Per facilitare lo sviluppo di ecosistemi digitali secondo questo modello, Cefriel ha negli anni consolidato un toolkit (Digital Ecosystem Toolkit) che include componenti software riusabili, regole tecniche, best practice, esperienze maturate. È un toolkit non solo tecnologico, perché la vera sfida va ben oltre quella tecnologica e risiede nella logica che deve animare chi voglia costruire questo tipo di ecosistemi e nel consolidamento dei benefici organizzativi, economici e sociali che possono e devono derivare dall’adozione su larga scala di questo approccio. Sfruttando questo know-how, Cefriel ha sviluppato ecosistemi a diversi livelli: intranet, cioè all’interno di una stessa impresa; extranet, cioè all’interno di una filiera (come nel caso di Malpensa Cargo City o dell’ecosistema del distretto Mind di Milano); Internet, ovvero aperto a tutti i soggetti che rispettano le regole dell’ecosistema (il caso di E015).

Ecosistemi digitali e cloud: l’iniziativa europea Gaia-X

Recentemente, i principi e la logica degli ecosistemi digitali hanno trovato un luogo di valorizzazione e promozione a livello europeo e internazionale: Gaia-X. Questa iniziativa nasce proprio per promuovere su larga scala lo sviluppo e la valorizzazione dei principi degli ecosistemi digitali e del cloud.

In generale, oggi gli ecosistemi digitali e la platform economy costituiscono elementi irrinunciabili per imprese e amministrazioni pubbliche che vogliano creare nuovi e più evoluti modelli di servizio e di approccio al mercato e alla società nel suo complesso. Gli ecosistemi sono lo snodo attraverso il quale ottenere diversi benefici. In primo luogo, facilitano l’integrazione e la cooperazione tra diverse strutture all’interno della singola azienda. In secondo luogo, disaccoppiano il livello infrastrutturale e tecnologico (il reparto informatico in senso stretto dell’azienda) dalle unità di business che possono usare gli asset digitali dell’ecosistema per sviluppare in modo autonomo e agile le proprie soluzioni. In terzo luogo, gli ecosistemi digitali abilitano la cooperazione di soggetti all’interno di filiere, sia private (si pensi alle catene logistiche) sia pubbliche (la cooperazione tra le amministrazioni pubbliche del Paese). In senso lato, gli ecosistemi digitali creano la possibilità di riusare asset e disaccoppiare soggetti diversi, abilitandone la cooperazione e garantendone allo stesso tempo la piena autonomia.

L’importanza degli ecosistemi per uno sviluppo coordinato e strutturato

Da questa breve cronistoria emergono alcune considerazioni importanti:

gli ecosistemi digitali e la platform economy definiscono un paradigma centrale per le imprese e le filiere che vogliano svilupparsi e crescere nel moderno contesto competitivo, sviluppando nuove modalità di collaborazione B2B;

• l’esperienza fatta su questi temi dimostra ancora una volta che ci vuole tempo e molto lavoro per passare dalla ricerca all’innovazione. Idee sviluppate a livello di ricerca hanno bisogno di maturare per essere applicate nel concreto sia dal punto di vista tecnologico che metodologico-operativo che economico e di mercato;

• perché un ecosistema si sviluppi è necessario avere un fattore di convergenza o pivot (come nel caso di Expo 2015 o di leader di filiere che stanno realizzando ecosistemi produttivi e logistici) e incentivi che spingano i vari soggetti a partecipare.

Indubbiamente, per molti manager gli ecosistemi digitali sono una sfida e una minaccia. Gli ecosistemi digitali rompono silos organizzativi e tecnologici, abilitando la cooperazione orizzontale intra e inter-organizzazioni. Un sistema informatico non è più visto come un monolite, ma come un insieme di componenti in grado di interagire in modo coordinato e strutturato. In questo modo, è possibile che i diversi componenti possano essere sviluppati anche da fornitori diversi o da altri partner della filiera. Cambiano così le regole di business e della competizione e non solo quelle tecniche.

Ecosistemi digitali: cosa cambia per le imprese

Internamente all’impresa, il reparto IT (Information Technology) cambia ruolo e modalità di relazione con le altre strutture di business, passando dall’essere il geloso custode dei sistemi informatici all’abilitatore di un’informatica diffusa e comunque governata e quindi non soggetta al fenomeno dello shadow IT (cioè, le soluzioni informatiche sviluppate direttamente dalle unità di business quasi di nascosto o in contrapposizione con la struttura IT vera e propria).

Gli ecosistemi azzerano monopoli, consuetudini, approcci culturali e rendite di posizione. Al tempo stesso, sono una straordinaria leva di sviluppo specialmente per le piccole e medie imprese che possono finalmente dare sostanza e concretezza alla tanto abusata espressione «fare sistema», avendo a disposizione uno strumento per collegare processi e modelli di business tra aziende diverse. In questo modo possono «crescere» ed «espandersi» anche senza doversi fondere o essere acquisite da altre realtà più grandi.

Ecosistemi digitali e innovazione della PA

Similmente, gli ecosistemi digitali sono alla base dei processi di innovazione della pubblica amministrazione, in quanto abilitano la cooperazione tra amministrazioni diverse e quindi la fornitura di servizi a maggiore valore aggiunto per cittadini e imprese che non devono più girare per diversi uffici (ancorché digitali) per ottenere un servizio. Le pubbliche amministrazioni devono essere in grado di interoperare per risolvere i problemi dei cittadini senza nemmeno coinvolgerli: devono diventare «invisibili» ed essere presenti solo quando il cittadino e l’impresa hanno realmente bisogno del loro intervento. Inoltre, l’adozione di ecosistemi rende possibile per il pubblico concentrarsi maggiormente sulla gestione dei sistemi di back-end (archivi e basi di dati nazionali, processi di gestione nelle amministrazioni ecc.), lasciando ai privati la possibilità di costruire servizi per imprese e cittadini (frontend) che sfruttino al meglio (ancorché in modo controllato e regolato) i dati e le informazioni pubbliche insieme a quelle private.

Conclusioni

Siamo quindi in presenza di un paradigma (non si tratta «solo» di tecnologia!) che può avere un impatto estremamente importante per il tessuto economico, sociale e istituzionale del Paese, una leva e un’occasione di innovazione sistemica che non possiamo assolutamente sottovalutare o, peggio, lasciarci sfuggire di mano.

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