La critica

Caio, un digital champion inesistente

Come Mr Agenda sta facendo tanto ma comunicando poco: e va bene. Ma come digital champion dovrebbe fare da testimonial. Invece è un fantasma. E non solo su Twitter

Pubblicato il 03 Feb 2014

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Sono passati ormai molti mesi da quando Francesco Caio è diventato quello che è stato definito in maniera un po’ singolare ma efficace “Mr. Agenda Digitale”. Da allora ha deciso di “ritirarsi” e lavorare in disparte – supportato da un gruppo di esperti – per avviare un percorso di riprogettazione di quella fabbrica di San Pietro che è la nostra Agenda Digitale. Scientemente, e forse non a torto, ha scelto di non comunicare in continuazione il suo operato, ma di avviare un’attività progettuale che, una volta conclusa, vedrà esaurirsi (pare) anche il suo compito.

Una scelta di understatement apprezzabile e per molti versi coraggiosa, in un’Italia nella quale di innovazione si parla troppo per farne sempre troppo poca. Nei prossimi mesi capiremo se tale scelta abbia prodotto qualche frutto, o se i piani di Caio siano destinati a rimanere sulla carta.

Peccato che, in questo percorso, Francesco Caio abbia accettato, oltre alla già complicata carica di Mr. Agenda Digitale, anche quella di Digital Champion. Un peccato perché questa sovrapposizione di cariche da una parte ha creato confusione tra i due ruoli, dall’altra ha di fatto annichilito la funzione del Digital Champion nel nostro paese.

Digital Champion: chi è?

Quella del Digital Champion è la figura che dovrebbe occuparsi di promuovere lo sviluppo di una cultura del digitale nel Paese in cui opera. E’ evidente come tale ruolo sia fondamentale soprattutto in quei Paesi, come il nostro, che non spiccano per livelli di penetrazione della cultura digitale nella popolazione. Sono 25 i “campioni digitali” che in Europa si stanno occupando di svolgere questo delicato e complesso ruolo. Un “club” composito, che spazia da eccellenze assolute come quelle dell’Inghilterra o della Danimarca a contesti ove i Digital Champion che – lo ricordiamo – ricoprono tale ruolo a titolo gratuito, si attrezzano alla bene e meglio per far quello che possono.

Il risultato è uno scenario variegato, ove a parte le citate eccellenze il resto assomiglia più ad un club di simpatici cialtroni con la passione del digitale che non ad un gruppo di pressione e promozione della cultura dell’innovazione composto da promotori della digital inclusion.

Pochi di essi fanno molto, Alcuni fanno qualcosa. Molti non fanno quasi nulla. L’impressione, guardando allo scenario generale, è che a far di più e meglio siano paradossalmente proprio quei campioni digitali che provengono dai Paesi che meno ne avrebbero bisogno. D’altro canto ciò ha una spiegazione, sia pure perversa: i paesi più avanzati sui temi del digitale sono, guarda caso, quelli che si rendono conto meglio degli altri della sua importanza. Gli altri, appunto, sono quelli che si chiedono che senso abbia insegnare il digitale nelle scuole.

Sta di fatto che tra simpatici cialtroni ed esperienze d’eccellenza tutti (o quasi) cerchino di comunicare – almeno on-line – la loro attività: utilizzando i social network, la rete, gli strumenti di quell’ambiente del quale, insomma, loro dovrebbero essere testimoni.

Il campione inesistente

Tra i Paesi i cui Digital Champion fanno qualcosa di rilevante non c’è l’Italia. Non c’è per il semplice motivo che Francesco Caio, Mr. Agenda Digitale, quanto al suo ruolo di Digital Champion è letteralmente un fantasma. On-line come off-line. Di Francesco Caio, in rete, rispetto alla sua attività di Digital Champion non v’è traccia. Non ha un account Twitter (che hanno in 18 su 25), non ha un account Facebook (che hanno in 17 su 25), non è su LinkedIn (dove sono in 21 su 25), non ha un sito di riferimento. Tanto per farsi un’idea della situazione: è l’unico oltre a Istvan Erenyi (ungherese) ed Antonio Murta (portoghese) a non avere alcuna presenza attiva sui social network. Certo: non è (solo) essendo attivi sui social network che si può svolgere il proprio compito di campione digitale, ma è innegabile che usare gli strumenti che attengono al sistema culturale che si dovrebbe promuovere male non farebbe di certo. E d’altro canto, assieme a Darko Paric (croato) e Reinis Zitmanis (lettone) è anche l’unico a non rendere disponibile un suo contatto email nel suo ruolo di Digital Champion sul sito dedicato dell’Unione Europea.

E non è un caso, evidentemente, che Francesco Caio condivida questa “assenza digitale” con paesi come Ungheria, Portogallo, Croazia, Lettonia. I Paesi più avanzati, quelli che hanno compreso il ruolo centrale del Digital Champion rispetto allo sviluppo di processi di inclusione digitale, sono – ancora una volta – sempre quei paesi che sul digitale investono, e nel digitale credono.

E la situazione non cambia passando dall’on-line all’off-line. Anzi, se possibile peggiora. Peggiora perché non solo Caio non è attivo on-line, ma visto il suo ruolo di Mr. Agenda Digitale, rispetto al quale si è imposto (giustamente) un periodo di discontinuità e di lavoro “silenzioso”, non è attivo nemmeno off-line. La sovrapposizione dei due ruoli ha fatto si che Caio Mr. Agenda Digitale cannibalizzasse Caio Digital Champion. Il che, nella sostanza, vuol dire che da quando gli è stato conferito questo incarico nulla è stato fatto. E se consideriamo che questo nulla segue l’equivalente nulla che caratterizzò l’operato del suo predecessore in questo ruolo, ossia Agostino Ragosa, il risultato è che da più di un anno i temi della digital inclusion e della lotta al digital divide non sono trattati da nessuno.

Possiamo permettercelo?

Possiamo permetterci che per appuntare una medaglietta europea su una giacca il nostro Paese rinunci a sviluppare un vero, reale, grande progetto di alfabetizzazione digitale? Un progetto che coinvolga associazioni, scuole, università, consumatori, cittadini, istituzioni. Un progetto che sarebbe fondamentale per supportare la ripresa economica (e sociale) italiana. La domanda è retorica, e la risposta è ovvia. Meno ovvio è subire i quotidiani attacchi all’intelligenza perpetrati più o meno consapevolmente ai danni della rete da politici che sarebbero i primi verso i quali indirizzare un’azione di alfabetizzazione digitale. Non possiamo più permetterci gli Zanonato che affermano candidamente che dobbiamo frenare l’economia digitale per non mettere in difficoltà le aziende che digitali non sono. Non possiamo più permetterci le Carrozza che dicono di non ritenere opportuno insegnare il digitale nelle scuole. Non possiamo più permetterci i Boccia che per tassare Google vietano a tutti gli italiani di acquistare pubblicità all’estero. Non possiamo più permettercelo, ma per impedire che accada, più che un Digital Champion il timore è che serva un vero e proprio miracolo.

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