Corte dei conti

La bio-diversità della Pa italiana è humus per il malaffare

Potrebbe essere utile ai fini dei controlli anticorruzione disporre di sistemi omogenei per tutti gli interlocutori pubblici. E quanto sarebbe utile al nostro paese disporre in maniera nativa di un data mart la cui alimentazione fosse nativamente disponibile: potremmo forse finalmente cominciare a parlare di merito anche per le singole amministrazioni e per i loro dirigenti. La Corte dei Conti e vari partner ne stanno realizzando un’idea progettuale

Pubblicato il 26 Mag 2014

Michele Melchionda

Corte dei Conti

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Il progetto di consolidamento dei data center della PA dovrebbe essere considerato non solo un progetto di natura strutturale e tecnologica o uno dei tanti aspetti della spending review, ma soprattutto una grande occasione da non perdere.

Prima di tutto, sugli impatti complessivi del progetto di consolidamento dei data center andrebbe fatta qualche riflessione. E’ un progetto fondamentale per l’ammodernamento di questo paese, paragonabile a quello della realizzazione delle grandi infrastrutture: autostrade, ferrovie, porti. Non è un argomento per il circolo dei “tecnocrati” ma uno strumento abilitante per la crescita che non a caso è uno dei temi centrali dell’Agenda digitale e un cavallo di battaglia di Agostino Ragosa.

Un’occasione da non perdere per avviare quel processo di integrazione che negli ultimi 15 anni è stato invocato, avocato, raccontato, lanciato, forse avviato ma ben lontano dall’essere realizzato.

La natura tecnico-economica dell’intervento è certamente centrale, ma occorre considerare anche la straordinaria capacità abilitante che potrebbe fornire in termini di integrazione delle applicazioni della PA. E’ un’occasione, ma anche l’unica strada possibile: possono essere in discussione tempi e modalità di realizzazione o chi sarà alla guida del processo, ma non la sua realizzazione.

Non è certamente tramite l’unificazione dei data center che si otterrà l’eliminazione della folle replicazione dei medesimi servizi in tutte le declinazioni possibili da parte di ogni amministrazione, ovviamente tutte rigidamente diverse l’una dall’altra per la secolare millantata “bio-diversità” tipica della pubblica amministrazione italiana. Millantata diversità che rende inapplicabile ogni tentativo di uniformare anche ciò che nasce uniforme. Sono nati così, nel tempo, cento modi di protocollare, cento modi di gestire il personale, cento modi di amministrare il patrimonio, cento modi di governare i servizi standard, migliaia di applicazioni simili e centinaia di sistemi applicativi da manutenere in assenza quasi totale di federazione tra gli stessi.

E’ innegabile che stare insieme e condividere alcune componenti infrastrutturali aiuta a comprenderne l’utilità e la necessità. In questo senso il consolidamento dei data center potrebbe essere il primo passo dal quale partire per rendere finalmente omogenei ed integrati i sistemi della PA. Partendo senza indugi e condividendo quelle componenti che è solo follia non condividere (luoghi, strutture attrezzate, impianti, infrastrutture di base, farm, sistemi di collaborazione, posta elettronica, unified communication,…) per poi passare immediatamente alla determinazione di una collezione di servizi in cloud, comunque li si voglia realizzare (pubblico, privato, ibrido) ad adesione “obbligatoria” per tutte le pubbliche amministrazioni in tempi certi. Protocollo, governo del personale, gestione delle identità digitali, amministrazione del patrimonio, programmazione e budget, gestione acquisti… l’elenco potrebbe essere molto lungo e gli effetti positivi molto più consistenti di quelli derivanti dai semplici risparmi.

La millantata “bio-diversità” tipica della PA italiana, per cui “la nostra è una situazione peculiare che non può rientrare nella standardizzazione del servizio” è il miglior terreno di coltura per i virus della corruzione e per l’offuscamento di qualsiasi tentativo di rendere trasparente l’azione degli apparati pubblici.

Quanto potrebbe essere utile ai fini dei controlli anticorruzione disporre di sistemi omogenei per tutti gli interlocutori pubblici? Pensiamo non solo alla fatturazione elettronica ma al processo di back end che ogni singola stazione appaltante mette in piedi per autorizzare i relativi pagamenti. Ma soprattutto quanto sarebbe utile al nostro paese disporre in maniera nativa di un data mart la cui alimentazione fosse nativamente disponibile? Potremmo forse finalmente cominciare a parlare di perfomances e di merito anche per le singole amministrazioni e per i loro dirigenti.

La creazione di un catalogo dei servizi di base a disposizione della PA è la prima fase immediatamente successiva alla fase di consolidamento dei data center. L’adesione volontaria non fa parte, purtroppo, del DNA costitutivo della burocrazia e quindi il citato catalogo dei servizi di base per la PA dovrebbe prevedere l’adesione obbligatoria da parte di tutte le amministrazioni in un tempo stabilito.

La Corte dei conti, la Ragioneria generale dello stato (da sempre!), il CNEL (prima ancora che ne fosse prevista la chiusura), l’Avvocatura generale dello stato e sicuramente in futuro altri hanno creduto in questa ipotesi di lavoro e stanno realizzando un prototipo “concettuale” di applicazione dell’idea e un framework per la realizzazione del processo d’integrazione. Il progetto è stato battezzato idea@pa, ossia: Infrastrutture Digitali di Enti Associati per la PA. Il nome di un progetto a volte riesce a racchiudere in maniera illuminante tutti i concetti che lo hanno generato.

L’Agenzia per l’Italia digitale ha seguito questo progetto fin dall’inizio, ispirandone la genesi e condividendo con le Amministrazioni interessate tutte le fasi, a partire da quelle di definizione delle convenzioni. Il progetto ha verificato sul campo le teorie alla base dell’idea ed è assolutamente confermata l’ipotesi che a seguito dell’avvio del processo di integrazione dei data center, i passi successivi ne diventeranno una diretta e naturale conseguenza.

L’amministrazione ospitante rafforza il suo nucleo centrale sia in termini di strutture che di competenza e tende a sua volta a favorire i processi di integrazione verso strutture simili o più grandi. Nel caso appena citato Corte dei conti / RGS hanno avviato da tempo un processo di condivisione delle strutture e stanno progressivamente incrementando la quantità e la qualità dei colloqui. Sono state avviate le procedure di condivisione delle prime componenti e dei primi servizi, in aggiunta alla semplice condivisione degli impianti e dei luoghi, a beneficio di tutte le strutture ospitate. L’esperienza in corso ci sta convincendo della bontà delle scelte effettuate e, a mano a mano, che proseguiamo nei processi di integrazione l’elenco dei servizi che è possibile condividere si incrementa e le possibilità di collaborazione inter-istituzionale aumentano. Insieme stiamo creando un framework di riferimento per la realizzazione dei processi di integrazione da mettere a disposizione di tutte le organizzazione che si dovessero ritrovare a svolgere attività simili.

Una infrastruttura IT omogenea, governata, open e sicura è il passaporto per entrare in un futuro migliore ed è uno dei tanti tratti della nuova “autostrada” da costruire per migliorare i servizi ai cittadini e all’imprese nel nostro paese. E’ uno dei pilastri su cui costruire il futuro della pubblica amministrazione italiana ma per realizzarlo occorre la collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Occorre il massimo impegno da parte delle singole amministrazioni, sia che integrino sia che siano integrate, occorre il massimo supporto da parte dell’Agenzia digitale e del governo, occorre che tutte le grandi aziende italiane e internazionali partecipino in maniera convinta ai progetti che esaltino le caratteristiche qualitative e le loro competenze.

Potrebbe essere infine l’occasione tramite la quale introdurre un ulteriore elemento “rivoluzionario” nella gestione dell’amministrazione pubblica italiana e cioè misurare gli attori coinvolti oltre che sul necessario e formale rispetto delle regole di ingaggio per gli appalti pubblici, sulla sempre poco, o quasi per niente, valutata capacità di portare a termine un progetto e sulla capacità di mettere a disposizione dei cittadini servizi veramente utili ed utilizzabili. E alla fine, perché no, non solo all’inizio prevedere un vero sistema di valutazione esterno su quanto realizzato.

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