La tecnologia che non ci lascia soli: progetti per la terza età

Si sviluppano progetti italiani per l’assistenza degli anziani, grazie a nuovi servizi. La frontiera è la personalizzazione: la tecnologia capisce le caratteristiche e le esigenze dell’utente specifico e vi si adatta

Pubblicato il 14 Gen 2016

Fabio Salice

docente, DEIB - Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria Politecnico di Milano

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Quante volte abbiamo sentito di persone anziane che vivono sole e che, per un incidente, sono rimaste bloccate per ore prima che qualcuno si accorgesse della loro mancanza e intervenisse? Questa semplice questione delinea uno scenario che sembra essere l’unico possibile. Da un lato il desiderio di serenità spinge le famiglie a un intervento: la badante o la casa per anziani. Dall’altro avere un progetto di vita che preservi l’autonomia è un aspetto essenziale per ognuno di noi, riconoscersi nel contesto in cui si vive significa vivere meglio.

Si stima che la percentuale degli ultra 65enni si attesterà al 32% nel 2043 e raggiungerà il massimo del 33,2% nel 2056. Questo incremento desta preoccupazione poiché esprime nuove richieste sia verso le istituzioni che verso le famiglie. Verso le istituzioni la richiesta di fornire ulteriori servizi che non potranno essere solo localizzati nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari con incrementi di costi che difficilmente saranno sostenibili; verso le famiglie la necessità di colmare le lacune inevitabilmente generate dalle istituzioni.

La tecnologia e Il terzo settore

La tecnologia non ci lascia soli, pervade l’ambiente. Siamo immersi nella tecnologia e, in modo costante e spesso inconsapevole, riceviamo aiuto da essa. Come si raggiunge L’obiettivo di garantire sicurezza alle famiglie e lasciare la persona nel proprio contesto sociale e abitativo?

Si immagini che l’appartamento dove vive la persona in autonomia sia completamente pervaso da sensori nascosti che trasmettono con continuità “lo stato delle cose”: la luce della camera è accesa, la persona si sta traferendo dalla cucina alla camera, il fornello è spento, il frigorifero è chiuso, le medicine sono state prese… Insomma, il progetto di vita è rispettato: nessuna anomalia, nessun bisogno di intervento, nessun bisogno di compensare un comportamento.

In un contesto come quello immaginato è possibile caratterizzare la persona accettando le sue personali condizioni di vita come “normali”. La normalità, infatti, non è una condizione oggettiva ma una situazione soggettiva.

Cosa accade se il consumo d’acqua della doccia passa a zero oppure la poltrona è usata con una frequenza sempre maggiore oppure ancora il passo diventa sempre più incerto? In alcuni casi non ci sono problemi, ma i segnali devono essere presi in esame: potrebbe essere necessario un intervento. Per esempio, la persona non si fa più la doccia: la causa potrebbe essere una caduta senza conseguenze che la rende insicura inducendola a preferire altri modi di lavarsi. Questo messaggio deve essere preso in esame: è un “cambiamento comportamentale”, una deriva che ha bisogno di essere riequilibrata

E’ in questo ambito che le associazioni, la famiglia o la rete di prossimità possono e devono intervenire compensando il cambiamento quando è identificato come “negativo”.

Molti potrebbero essere i modi: una nuova doccia, un supporto di semplice vicinanza (“…non sei sola, stai tranquilla”). Il fatto rilevante, comunque, è che qualcuno prenda atto del cambiamento, che lo interpreti correttamente, che approfondisca la problematica e che, alla fine, programmi un intervento di compensazione. La tecnologia è solo uno strumento: non deve essere dimenticato. Certamente uno strumento potente in grado non solo di rilevare ma anche di filtrare le anomalie irrilevanti, di dare peso ai fenomeni accidentali significativi e urgenti, di attivare gli allarmi necessari al pronto intervento, di suggerire delle soluzioni, di premettere la comunicazione o di aiutare nella gestione della quotidianità.

E per i famigliari più stretti? Si immagini di poter accedere con uno smartphone allo stato della persona (pallino verde – tutto a posto!) oppure di ricevere una video chiamata solo per una chiacchierata oppure di ricevere un messaggio di richiesta urgente di intervento. Il fatto di essere costantemente in contatto, di poter rilevare delle anomalie e di poterle comunicare restituisce alle famiglie la tranquillità necessaria e preserva l’autonomia alla persona che vive sola.

E il terzo settore, le associazioni? Fondamentale. Ci sono diversi aspetti che devono essere presi in esame: dal raccordo iniziale tra famiglia e persona attraverso la costruzione del progetto di vita, all’introduzione della tecnologia, al suo uso e alle necessità che devono essere soddisfatte per finire col continuo contatto che ha anche l’obiettivo di mantenere i rapporti umani non isolando le persone.

I progetti

Il gruppo di tecnologie assistive del Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Como (ATG – atg.deib.polimi.it) e il centro CRAiS (Centro Risorse per le Autonomie e Inclusione Sociale –nato nella collaborazione tra So.La.Re, Politecnico di Milano in Como e Coop. Soc. Arcoiris) sono attivi da qualche anno nell’azione di supporto alle persone fragili (anziani, persone con lievi disabilità psichiche… ). Attraverso la collaborazione concreta con altre associazioni del territorio, con la ASL, con alcuni Uffici di Piano, stanno lavorando nella direzione della autonomia della persona.

Il progetto BRIGDe (Behaviour dRift compensation for autonomous and InDependent livinG) passa attraverso l’identificazione di ciò che serve e delle tecnologie da mettere in campo sia per il supporto diretto alle persone sia per impostare nuove soluzioni che operano nella direzione della identificazione della caratteristica soggettiva della persona. Dalla identificazione dei cambiamenti comportamentali, alla comunicazione e all’attuazione di metodi garanti della sicurezza sia per le famiglie che per le persone che vivono la loro autonomia.

Al Polo Territoriale di Como del Politecnico di Milano è presente un laboratorio sperimentale che ha come obiettivi quelli di vagliare le tecnologie esistenti e di produrne di nuove non dimenticando di contenere il costo. Si favoriscono, per esempio, le tecnologie wireless immaginando che un costo rilevante sia generato anche dall’istallazione. Si studiano soluzioni che riducono al minimo la necessità di saper usare i computer mediante interfacce semplici e che si adattano all’esigenza della persona.

Il lavoro da fare è molto, ma i risultati si vedono. Per esempio, è possibile effettuare una video chiamata ad una persona specifica utilizzando un semplice gesto fatto con una mano oppure utilizzando delle tessere con la foto della persona che si vuole chiamare; tutto al costo di poche decine di euro.

E la privacy?

La questione della privacy è importante e richiederà non solo attenzione ma anche una normativa snella e chiara che non impedisca, a chi lo desidera, di partecipare e sostenere un proprio progetto di vita. Se riflettiamo sulla nostra condizione forse il problema non è poi così rilevante: i telefoni cellulari permettono la nostra localizzazione in ogni istante, ma il servizio che ne riceviamo fa sì che, in fin dei conti, non sia affatto importante… insomma, a patto di rendere accessibili i dati solo a coloro che forniscono il servizio, siamo proprio sicuri che la privacy sia un problema?

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