l'intervento

Morcellini (Agcom): “Una nuova cultura digitale tra le nostre priorità”

Il lavoro di un’Autorità non può mai essere statico, ma necessita di continui aggiustamenti e iniziative per rispondere alle esigenze di una società in continuo cambiamento

Pubblicato il 07 Giu 2017

Mario Morcellini

professore ordinario in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi, Roma1

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L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è alla terza consiliatura. A poco più di due mesi dal mio insediamento vorrei qui tentare di definire le parole chiave che possano migliorare il posizionamento dell’Autorità nell’avvenire. Dobbiamo partire dal fatto che l’operato, gli obiettivi e gli ideali dell’Autorità tendono ovviamente ad adattarsi alle istanze sociali che vanno via via implementandosi nel corso del tempo. È innegabile, infatti, che viviamo un’epoca in cui il progresso tecnologico sta letteralmente stravolgendo e ridefinendo le pratiche comunicative, e dunque anche quelle socioculturali, dei cittadini. Un’autorità di garanzia (tornerò successivamente su questo termine) altro non è che un dispositivo simbolico che varia al variare del contesto socioculturale con cui interagisce. Risulta quindi naturale aspettarsi che l’Autorità si configuri come portatrice di innovazione: tuttavia i processi di riforma sono di per sé difficilissimi da attuare e sono impraticabili puntando sull’individualismo di singoli Commissari. Occorre dunque perseguire l’obiettivo di una Autorità che aggiorni sistematicamente la mappa prioritaria dei suoi temi e delle iniziative conseguenti; per quanto stimi e apprezzi il lavoro portato avanti da chi mi ha proceduto (e non posso dimenticare di citare qui Antonio Preto), nessuno potrebbe accettare che l’Autorità resti sempre come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.

Per questo motivo, punterei a focalizzare la mia capacità di progetto, ovviamente accumulata nella vita trascorsa a servizio dell’Università, su tre principali item:

  1. Il rapporto tra cultura e comunicazione.

Dobbiamo orientare la nostra attenzione sul fatto che non c’è certezza assoluta del carattere positivo e sinergico in questo binomio. Non ho visioni “apocalittiche”, ma il principio di precauzione dovrebbe essere a fondamento del nostro operato. Ebbene, i dati ci indicano un significativo aumento di capacità culturale degli italiani, su cui stiamo preparando uno specifico volumetto; ma l’incidenza dei media nell’estensione di questo processo è probabilmente più ridotta rispetto al bisogno di superare la soggezione alla comunicazione anche digitale.

  1. Il rapporto tra la comunicazione e i giovani, ma soprattutto i bambini.

 I mutamenti culturali sono drammaticamente più lenti dei tempi imposti dalla comunicazione, il cui potere seduttivo, soprattutto negli anni dell’avvio dello sviluppo cognitivo ed emotivo, ha un potere rischiosamente illimitato nella costruzione identitaria della mente e dei linguaggi dei “nuovi venuti”. L’Autorità non può che avvertire l’esigenza, prima di tutto, di comprendere e misurare il fenomeno e, successivamente, di avanzare proposte e incoraggiare politiche mirate alla tutela dei soggetti più deboli.

  1. Il rapporto tra nuovo sistema dei media e narrazione della politica.

Il racconto mediale e digitale della politica si tinge troppo spesso dei toni mutuati dal populismo, favorendo drammaticamente il propagarsi dell’antipolitica. In questo senso, l’Autorità, ha il preciso obbligo di farsi carico dell’integrità della qualità dell’informazione, spesso pregiudicata dalle mode e dai linguaggi predominanti in rete. La prova più vistosa è rappresentata dalle fake news: sono la prova diretta del fallimento della comunicazione “disintermediata”.

L’insieme di questi tre temi, già ampiamente dissodati dall’Autorità, costituisce un programma importante proprio perché non sono soggettivi. A questo aggiungo un elemento di personalità culturale proveniente dagli studi: non sono abbagliato dalla presunta bellezza della comunicazione e, più in generale, l’Autorità deve essere il centro strategico di raccolta documentata di tutte le domande di una diversa qualità dell’informazione e della rete.

In generale, mi sento di aggiungere, faccio parte della comunità non soddisfatta della comunicazione dominante nel nostro paese. Anche per questo ho sempre posto l’attenzione sui giovani professionisti della comunicazione, per i quali è necessario rivendicare un ruolo attivo non solo nel mercato del lavoro, ma nella cultura e nella società.

E’, d’altro canto, indiscutibile che il problema italiano sia quello di un investimento più diretto su contenuti e creatività. Siamo il paese dei poeti, degli scrittori e degli artisti: non è accettabile che lo dimentichiamo quando si moltiplicano le piattaforme.

A questo aggiungo la necessità di un rapporto ancor più intenso con i centri di eccellenza della ricerca pubblica e universitaria italiana. Siamo già molto avanti, ma il bisogno di elaborare in modo più innovativo una strategia di contrasto della “crisi sociale” della comunicazione. Si tratta in poche parole di ridurre l’eventuale impatto sull’individualismo, il populismo e le fake news; tale obiettivo esige di acutizzare lo sguardo e raccogliere le forze intellettuali intorno alle garanzie di cui una società si deve dotare, per ridurre al minimo i rischi di condizionamento da parte di poteri mediali (o digitali), che rischiano di determinare un nuovo dispotismo. Solo lavorando sul principio di precauzione l’Autorità riconoscerà che la comunicazione si declina più che al presente al futuro.

Anche riguardo la comunicazione politica, sempre più dirompente in rete, penso che dobbiamo inventare tutto quello che è possibile per capire quanto è cambiato il mondo: i media italiani hanno spesso contribuito alla fortuna dell’antipolitica, rendendola più appetibile a livello collettivo. Hanno finito per dar voce e sostanza all’allontanamento progressivo dei giovani dalla sfera politica e da qualunque desiderio di partecipazione. Il populismo è questo. Preposizioni senza sequenza logica, frasi che sembrano slogan, e che dunque debbono liquidare i verbi (non parliamo dei congiuntivi). Discorsi che per la loro struttura nervosa non possono essere aperti a qualunque principio di verifica o di prova. Esattamente il contrario di quel “pensiero critico” che più serve in un tempo di alluvione di stimoli comunicativi e digitali. Se le nostre interazioni e lo stesso spazio pubblico saranno esageratamente affollate da frasi slogan, l’Autorità dovrà interrogarsi su cosa significhi un overload informativo in una società troppo povera di media education.

Per evitare qualunque rischio di sollecitare dubbi su una postura di presunta regolazione etica degli interventi di Agcomla strada maestra è quella già intrapresa, di mettere in trasparenza le proprie posizioni culturali e il notevole patrimonio delle ricerche, per misurare la correttezza del proprio percorso e attivare proposte sostenibili di intervento iscritte nelle parole chiave del titolo dell’Autorità.

Altra priorità dell’Autorità riguarda la diffusione della banda larga: l’obiettivo è quello di portare la banda larga, anche nelle realtà più disagiate (attualmente circa il 3% della popolazione). L’Agcom lavora d’intesa con il Ministero per lo sviluppo economico per garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Europea Digitale 2020. In questo senso, uno strumento che potrebbe essere utilmente adoperato è il Servizio Universale: tramite la sua revisione, si potrebbe includere anche un accesso broadband tra le dotazioni minime di ogni cittadino, e favorire dunque la diffusione della banda larga sull’intero territorio nazionale.

Ritornando, infine, come avevo anticipato, al tema della “garanzia”, trovo innanzitutto che il sostantivo sia fantastico, anche per le libere associazioni a cui pensiamo ricorrendo a questa parola: quando comperiamo un bene istituiamo la relazione “denaro in cambio di sicurezza” ma il punto fondamentale è che noi lavoriamo sui processi culturali e sociali relativi agli individui, sugli effetti potenziali della comunicazione e non sulla compravendita di oggetti fisici. Ne consegue che l’etica diventa uno dei dispositivi fondanti dell’Autorità. E mi sembra di poter dire che, anche se non lo pronunciamo spesso, si tratta di un concetto che si “respira” spesso nell’Autorità.

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