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Switch off del rame: la corsa alla fibra che può frenare l’innovazione



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L’obiettivo europeo di spegnere il rame entro il 2030 rischia di creare squilibri e nuove disuguaglianze digitali. Un approccio graduale e selettivo potrebbe garantire una transizione più sostenibile verso la fibra ottica e la piena digitalizzazione

Pubblicato il 5 nov 2025

Sergio Boccadutri

Consulente antiriciclaggio e pagamenti elettronici



Semplificazioni normative TLC connettività differenziata Digital Networks Act ue frequenze mobili switch off del rame

Lo switch-off del rame rappresenta una tappa cruciale nella trasformazione digitale europea, ma affrontarlo con approcci troppo rigidi rischia di generare effetti contrari a quelli auspicati. La transizione deve essere gestita con equilibrio tra sostenibilità, innovazione e realismo operativo.

Obiettivi europei e limiti di un approccio rigido

La direzione scelta dall’Unione Europea per questa trasformazione emerge con chiarezza dal lavoro in corso sul Digital Network Act, che definirà le regole del passaggio alla fibra e dovrebbe essere approvato entro gennaio del 2026.

Alcune decisioni come ad esempio l’idea di spegnere completamente le reti in rame entro il 2030, sono state “anticipate” in modo controverso nella consultazione che si è conclusa a luglio.

Si tratta di un obiettivo ambizioso ma profondamente irrealistico, che potrebbe rivelarsi un autogol. I dati raccolti dal BEREC (Body of European Regulators for Electronic Communications) dipingono un quadro chiaro: solo 10 autorità regolatorie nazionali (di cui 8 di Stati membri) prevedono che nel loro paese è possibile raggiungere il 100% di switch-off entro quella data.

Mentre secondo 14 autorità (di cui 11 di Stati membri) gli operatori con significativo potere di mercato del loro paese non hanno annunciato l’intenzione di dismettere parti della loro rete legacy entro il 2030.

L’approccio pragmatico francese

La Francia ha adottato un approccio pragmatico. Orange ha lanciato il progetto nel 2022 con l’obiettivo di completarlo entro il 2030, ma il processo è graduale e prevede alcune fasi ben definite: prima la chiusura commerciale (nessun nuovo servizio in rame venduto), poi lo shutdown tecnico della rete, e infine lo smantellamento del rame e la sostituzione dell’infrastruttura. Tra l’annuncio iniziale e la chiusura commerciale c’è un periodo di 36 mesi, e di almeno 12 mesi tra la chiusura commerciale e lo shutdown tecnico.

In Francia la copertura in fibra è dell’89% nei comuni rurali, 92% nelle piccole città e 94% nelle grandi città, ma ancora milioni di utenti non hanno ancora accesso diretto alla fibra. In questi casi, Orange deve offrire alternative come connessioni 4G/5G o satellitari, con sussidi governativi che vanno da 300 a 600 euro per le famiglie.

Italia: la gabbia regolatoria che rallenta l’innovazione

Il caso italiano mostra come un eccesso di regolamentazione possa paradossalmente rallentare la transizione che invece dovrebbe facilitare. Il processo di switch-off in Italia è farraginoso e richiede che prima di poterlo annunciare sia raggiunto il 100% di copertura NGA e il 60% di migrazione nella centrale oggetto di decommissioning. Quindi serve un’approvazione specifica dell’Agcom che può richiedere diversi mesi. Poi bisogna attendere un periodo di preavviso di 6-12 mesi a seconda del tipo di centrale. Infine, servono ulteriori 15 mesi per la migrazione completa.

In totale, il processo può richiedere quasi tre anni, un tempo che in un settore tecnologico in rapida evoluzione equivale a un’era geologica. FiberCop, che ha rilevato la rete in rame di TIM, ha indicato che nel primo exchange completamente coperto con FTTH alla fine del 2021, ancora oggi solo una parte dei clienti è migrata alla fibra.

I rischi dell’FWA, del satellite e del mobile: quando la soluzione diventa parte del problema

Uno degli aspetti più preoccupanti di uno switch-off forzato è il rischio di spingere gli utenti verso tecnologie subottimali.

Spegnere il rame in zone non già servite da una infrastruttura in fibra, costringerebbe gli utenti a ricorrere a tecnologie alternative come il Fixed Wireless Access, il satellite o il mobile, che rimangono surrogati inferiori alla fibra ottica.

Il Fixed Wireless Access (FWA), pur essendo una tecnologia utile per colmare il divario digitale in aree specifiche, presenta limitazioni intrinseche che lo rendono inadatto come sostituto della fibra.

La maggior parte degli operatori sta ovviamente implementando il FWA come “gap-filler”, non come sostituto a lungo termine della fibra. La fibra ha vantaggi tecnici fondamentali che le tecnologie wireless non possono facilmente superare: capacità illimitata, latenza e jitter inferiori, migliore efficienza energetica.

In tutti i mercati analizzati, il FWA mostra un calo di prestazioni maggiore durante i picchi di utilizzo rispetto alle connessioni fisse. Questo significa che proprio quando gli utenti hanno più bisogno di connettività affidabile – durante le ore di punta, per il lavoro da remoto, per la didattica a distanza – il FWA potrebbe non essere all’altezza.

Ancora più preoccupante è che il FWA presenta limitazioni strutturali non trascurabili: richiede linea di vista verso la torre ed è ancora particolarmente vulnerabile alle interferenze meteorologiche, soffre ovviamente di una latenza superiore rispetto alla fibra e dipende da uno spettro radioelettrico limitato. Non si tratta di semplici dettagli tecnici, ma di vincoli fondamentali che impattano direttamente sulla qualità della connessione quotidiana degli utenti. Forzare il passaggio a FWA semplicemente per eliminare il rame rappresenta un peggioramento della qualità della connessione: un danno per l’utente, non una soluzione.

Satellite e mobile: surrogati inadeguati per la banda ultralarga

Il satellite, sebbene rappresenti un’opzione valida per aree estremamente remote o geograficamente isolate, rimane un surrogato nettamente inferiore sia alla fibra che alle stesse soluzioni ibride rame-fibra di ultima generazione.

Anche il satellite può subire una vulnerabilità meteorologica con il fenomeno del “rain fade” che può può comportare perdite di segnale fino al 20% o interrompere completamente il servizio durante piogge intense, inoltre richiede requisiti di installazione con necessità di visibilità completa del cielo, costi elevati sia per l’hardware iniziale che per i canoni mensili, capacità limitata per utente e spesso, a parità di costo di una connessione misto-rame, cap di traffico molto restrittivi e consumo energetico superiore. Non si tratta di semplici dettagli tecnici marginali, ma di vincoli fondamentali imposti dalle leggi della fisica che impattano direttamente sulla qualità della connessione quotidiana. Forzare il passaggio dal rame al satellite semplicemente per eliminare un’infrastruttura esistente rappresenta, quindi, un peggioramento netto della qualità del servizio: un danno diretto per l’utente, non una soluzione. Il rischio concreto è quello di creare una doppia velocità digitale permanente, con cittadini relegati a connessioni satellitari inadeguate per le esigenze moderne di smart working, e-learning e telemedicina, compromettendo il principio di equità nell’accesso ai servizi digitali, in attesa dell’arrivo di una infrastruttura in fibra al building.

Un altro rischio, anche in Italia, è quello che spegnendo forzatamente il rame, i consumatori preferiscano utilizzare tecnologie già immediatamente disponibili e performanti per il loro comune utilizzo, come il mobile. Ma il problema è che il mobile attualmente è ben lontano da essere una rete ad altissima capacità e quindi sarebbe anch’esso un mero surrogato che in molti casi, non sarebbe neanche in grado di eguagliare le prestazioni misto rame, ad esempio VDSL. Sebbene il 5G stand alone sia più resiliente, il rischio concreto è comunque una riduzione della qualità della connessione durante le avverse condizioni atmosferiche, a differenza delle soluzioni ibride basate sul rame, che garantiscono maggiore stabilità.

Il nodo della sostenibilità economica degli operatori

Ma un altro problema è la sostenibilità economica del settore. Cosa che dovrebbe interessare il governo italiano che tramite il Mef detiene il 16% delle quote di Fibercop, l’azienda che sarebbe più interessata dallo switch off del rame. Infatti, la riduzione dei prezzi in Italia è stata molto più pronunciata che in altri paesi europei- con un calo del 30% nei prezzi delle telecomunicazioni in 10 anni contro una media UE del 9,7%, aumentando le sfide per gli operatori. In questo contesto, forzare uno switch-off accelerato senza considerare la sostenibilità finanziaria degli investimenti necessari rischia di compromettere la capacità del settore di investire nelle reti del futuro.

Il caso degli operatori wholesale-only è particolarmente emblematico. Senza relazioni commerciali dirette con gli utenti finali, questi operatori non hanno le leve necessarie per influenzare attivamente la migrazione. In caso di switch-off forzato, per assurdo anche in aree prive di copertura in fibra, gli operatori di rete potrebbero perdere completamente la loro base clienti wholesale senza possibilità di compensare le perdite con ricavi retail. Ma il vero problema è l’assenza di una vera relazione diretta tra lo spegnimento del rame e il dispiegamento della fibra ottica: se lo switch-off non è subordinato alla disponibilità della fibra, si lasciano i clienti senza un’alternativa credibile. Come abbiamo visto, gli utenti sarebbero spinti verso soluzioni FWA, satellitari o mobili, anche quando avrebbero potuto continuare a soddisfare la loro domanda di connettività attraverso soluzioni ibride basate sul rame.

Le reti in rame mantengono ancora valore tecnologico

Infatti, contrariamente alla narrativa dominante, le reti in rame non sono semplicemente tecnologia obsoleta da eliminare il prima possibile. In molti casi, le reti FTTC forniscono già connettività di alta qualità adeguata alle esigenze di molti utenti. Inoltre un progetto pilota tedesco sul copper switch-off ha rivelato che i processi IT necessari per la migrazione di massa potrebbero richiedere 1-2 anni solo per essere sviluppati. Questo evidenzia come la transizione non sia semplicemente una questione di infrastruttura fisica, ma richieda una trasformazione completa dei processi aziendali, dei sistemi IT e delle modalità di interazione con i clienti.

Il Digital Networks Act: un’opportunità per ripensare il paradigma

Il futuro DNA, quindi, può rappresentare un’opportunità cruciale per ridefinire l’approccio alla transizione tecnologica in Europa. Il DNA dovrebbe aprire la strada a riforme sostanziali ed efficaci del quadro normativo che governa il settore delle comunicazioni elettroniche, riequilibrando gli incentivi agli investimenti per i player di mercato.

Il DNA potrebbe rappresentare il momento per abbandonare l’approccio “command and control” che ha caratterizzato finora la regolazione del settore, per abbracciare invece un paradigma basato su incentivi di mercato e priorità strategiche. In questo contesto, la Commissione Europea dovrebbe considerare che gli obiettivi del Digital Decade – raggiungere la piena copertura gigabit e 5G entro il 2030 – non si raggiungono attraverso imposizioni rigide, ma creando le condizioni per investimenti sostenibili.

La promozione della concorrenza, pur rimanendo centrale, non dovrebbe più essere perseguita attraverso meccanismi che inducono artificialmente una “concorrenza forzata”. Invece, la sostenibilità finanziaria del settore, la promozione degli investimenti in nuove reti, la competitività del mercato unico europeo e l’innovazione dovrebbero essere i fattori guida delle autorità competenti.

Priorità alle imprese digitali: uno switch-off selettivo

Una proposta alternativa e più pragmatica potrebbe essere quella di implementare uno switch-off selettivo e incentivato, focalizzato inizialmente sulle imprese che operano nel settore digitale, tecnologico o che producono mediante l’integrazione delle tecnologie digitali intelligenti nei processi industriali. Questo approccio avrebbe diversi vantaggi, prima tra tutti quello di massimizzare l’impatto economico: le imprese digitali – dalle startup tecnologiche alle aziende di sviluppo software, dai centri di ricerca AI alle imprese di produzione multimediale, quelle che impiegano massicciamente l’IoT e la robotica – sono quelle che possono trarre il massimo beneficio immediato dalla fibra ottica. Per queste aziende, la differenza tra una connessione in rame e una in fibra non è marginale, ma può determinare la loro competitività sul mercato globale. Un’azienda che sviluppa applicazioni cloud, che lavora con big data o che produce contenuti in 4K/8K ha bisogno assoluto di banda simmetrica ad alta capacità e bassa latenza.

Concentrare inizialmente gli sforzi su queste tipo di imprese creerebbe un “effetto vetrina” che potrebbe accelerare l’adozione volontaria da parte di altri settori. Quando le imprese tradizionali vedranno i vantaggi competitivi ottenuti da chi ha migrato alla fibra – dalla maggiore produttività alla possibilità di implementare soluzioni Industry 4.0 – saranno più propense a fare il salto.

Questo approccio renderebbe più efficiente l’utilizzo delle risorse pubbliche, evitando di disperderle in voucher destinati ai consumatori che ancora non percepiscono l’utilità pratica tra una connessione FTTH e una FTTC quando si tratta di utilizzare la rete per fare videocall, studiare o usufruire di un servizio di streaming.

Indirizzare tali risorse verso le imprese significa invece concentrarle su settori ad alto valore aggiunto; inoltre, in questo modo il supporto pubblico non rischierebbe di spiazzare gli investimenti privati.

Concentrando gli aiuti sulle imprese digitali e innovative, si massimizzerebbe il ritorno dell’investimento pubblico in termini di crescita economica e creazione di posti di lavoro qualificati.

Si tratta, dunque, di adottare un approccio che consenta di testare e perfezionare i processi di migrazione su una scala più gestibile, prima di estenderli all’intera economia.

Verso una transizione pragmatica e sostenibile

Lo switch-off del rame è inevitabile e necessario, ma forzarlo attraverso scadenze rigide e uniformi rischia di creare più problemi di quanti ne risolva. Inoltre, ogni mercato ha le sue peculiarità e sfide: un approccio one-size-fits-all non solo è irrealistico ma potenzialmente controproducente.

Il Digital Networks Act rappresenta un’opportunità unica per l’Europa di ripensare completamente il paradigma regolatorio. Invece di imporre date arbitrarie per lo switch-off generalizzato, il DNA dovrebbe promuovere un approccio differenziato che riconosca le diverse esigenze e capacità dei vari segmenti di mercato. Un approccio selettivo, che parta dalle imprese digitali e dai settori ad alto valore aggiunto, potrebbe rappresentare la via più pragmatica ed efficace per gestire la transizione.

Il rischio maggiore è che, nella fretta di dismettere il rame, si finisca per spingere gli utenti verso soluzioni subottimali come il FWA, il satellite o il mobile, creando un nuovo digital divide tra chi ha accesso alla vera banda ultralarga in fibra e chi deve accontentarsi di tecnologie wireless con prestazioni inferiori e maggiore inaffidabilità. Questo rischio è particolarmente grave per le imprese innovative che necessitano di connettività affidabile e ad alte prestazioni per rimanere competitive nel mercato globale.

La vera sfida non è spegnere il rame entro una data arbitraria, ma gestire una transizione che garantisca a tutti l’accesso a connettività di qualità, sostenibile economicamente per gli operatori e tecnologicamente adeguata alle esigenze del futuro. Questo richiede pragmatismo, flessibilità e, soprattutto, il riconoscimento che la trasformazione digitale non si realizza per decreto, ma attraverso un processo graduale di evoluzione tecnologica, economica e sociale.

Si tratta di supportare la transizione alla fibra con un approccio regolatorio corretto, incluso lo snellimento delle procedure di decommissioning, la riduzione del periodo di preavviso, la previsione di flessibilità sui prezzi del rame e l’introduzione di misure che facilitino e promuovano la migrazione dei clienti è il modo più appropriato per favorire e accelerare lo switch-off del rame.

Il DNA dovrebbe abbracciare questa visione, creando un framework che consenta agli Stati membri di adottare approcci flessibili e mirati, supportati da politiche pubbliche intelligenti che massimizzino l’impatto economico della transizione digitale. Solo attraverso un approccio selettivo e strategico, che dia priorità ai settori dove la fibra può fare la vera differenza, l’Europa potrà realizzare la sua ambizione di diventare leader globale nell’economia digitale, senza lasciare indietro nessuno nel processo.

Non si tratta di rallentare il progresso, ma di garantire che il progresso sia sostenibile, inclusivo e realmente vantaggioso per tutti gli stakeholder coinvolti: dagli operatori agli utenti finali, dalle imprese alle pubbliche amministrazioni. Solo così la transizione dal rame alla fibra potrà realizzare il suo pieno potenziale trasformativo per la società digitale del futuro.

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