le idee

Trasformazione digitale, Catania: “Nuovo Governo, ecco tutte le priorità”

L’Italia è in forte ritardo in tutti gli ambiti della trasformazione digitale, nonostante qualche recente segnale di discontinuità. Eppure questo gap potrebbe ancora trasformarsi in vantaggio se si acquisisse una visione sistemica di governo del cambiamento e si dotasse il paese di una forte governance politica del digitale

Pubblicato il 18 Mag 2018

Elio Catania

presidente di Confindustria Digitale

digital leadership

Attorno all’economia dei dati, degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, oggi si manifestano le più grandi opportunità di crescita dell’economia. Ma si addensano anche i più grossi interrogativi sul piano etico, della privacy, delle regole, che richiedono risposte chiare ed efficaci.

AI, se il ritardo diventa vantaggio

Proprio su questa scia il ritardo che sconta l’Europa rispetto ai grandi player americani e asiatici potrebbe, paradossalmente, diventare anche un vantaggio. In questi anni, infatti, abbiamo potuto capire che non sono i dati in sé il nuovo petrolio, ma è la capacità di utilizzarli. I recenti casi di manipolazioni di dati fuori controllo, che tanto hanno allarmato l’opinione pubblica mondiale, lo dimostrano. Ma rappresentano una sfida che l’Ue può intraprendere puntando a dare soluzioni innovative alle criticità emerse. La laboriosa costruzione del Digital Single Market, con l’incremento degli investimenti in innovazione, è una risposta che va in questa direzione.

Trasformazione digitale, etica e privacy

Si tratta di creare un nuovo spazio continentale in cui lo sviluppo tecnologico, i processi di trasformazione digitale, avvengono lungo binari legali ed etici atti ad assicurare trasparenza dei fini, rispetto della privacy e dei dati. In cui i nuovi modelli di business e sistemi tecnologici incorporano i valori in termini di democrazia, welfare, diritti del lavoro e libertà propri della nostra società. E’ per questa via che l’Europa, e con essa l’Italia, può ambire a produrre dei campioni sulle nuove tecnologie, ad avere voce in capitolo nella definizione internazionale delle nuove regole e standard tecnologici, ad attrarre investimenti e talenti esteri.

Fuggire la tentazione di iper-regolamentare il nuovo

Ed è questa la visione che si chiede alle leadership nazionali di abbracciare, sfuggendo alla tentazione di governare il nuovo iper regolamentando, ergendo muri normativi locali a protezione di settori, attività, funzioni, che invece devono rinnovarsi per continuare a esistere. Trovare il punto di equilibrio tra controllare tutto e lasciare le regole a maglie larghe è un compito estremamente impegnativo che, vista la dimensione globale dei fenomeni in gioco, può trovare soluzioni efficaci solo in chiave sovranazionale e con un approccio multilaterale.

Le chance dell’Italia di giocare un ruolo primario

In questa costruzione continentale, le chance di giocare un ruolo per il nostro Paese sono molte. Certo partiamo da un netto ritardo, quantificabile in circa 250 miliardi di euro non investiti in tecnologie innovative negli ultimi quindici anni. Ritardo che abbiamo pagato a caro prezzo, con una perdita di due punti percentuali sul PIL ogni anno, la mancanza di reattività del sistema, una carenza complessiva di competitività, di capacità di crescita dell’economia e della produttività. Ma diversamente dall’economia dell’hardware, quella dei dati è aperta a tutti.

Una visione sistemica di governo del cambiamento

Ed è qui che anche per noi si aprono le opportunità per superare caratteristiche strutturali che oggi giocano a sfavore della modernizzazione del Paese. Un tessuto produttivo altamente polverizzato e segnato da una scarsità di grandi imprese che, invece, hanno un ruolo fondamentale nella trasformazione dell’industria; una Pubblica amministrazione ipertrofica che lavora a compartimenti stagni e fa estrema fatica a modernizzarsi; un sistema d’istruzione che sulle nuove tecnologie presenta un gap formativo non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Se vogliamo usare la trasformazione digitale, come credo che debba avvenire, per far evolvere questi settori verso assetti più efficienti e competitivi, a monte dobbiamo, come Paese, compiere una scelta di fondo. Quella di voler far parte a tutti gli effetti della rivoluzione digitale. Consapevoli di voler sfruttare le potenzialità delle tecnologie senza sottovalutare la complessità delle nuove sfide. Ciò significa acquisire una visione sistemica di governo del cambiamento, che interessi tutti i livelli della società e in grado di trarre valore dall’innovazione in termini di nuove opportunità per l’economia, l’occupazione, la cultura, il welfare, l’amministrazione della cosa pubblica.

Segnali di discontinuità, ma ancora non basta

Una visione che ancora stenta ad affermarsi in Italia, anche se negli ultimi due anni vi sono stati importanti segnali di discontinuità. Il piano Industria 4.0, la ripresa degli investimenti in Ict, l’accelerazione sull’infrastrutturazione del territorio con reti a banda ultra larga fisse e mobili, l’avvio della sperimentazione sul 5G, il rilancio delle grandi piattaforme digitali della Pa tramite il Piano triennale per l’informatica pubblica, sono importanti manifestazioni di un clima più favorevole all’innovazione rispetto al passato. Con Industria 4.0, in particolare, è stato compiuto un passaggio decisivo.

Digital innovation center per nuove sinergie e mercati

La collaborazione fra leadership pubblica e privata ha permesso di rimettere al centro dello sviluppo economico del Paese l’industria manifatturiera, il nostro asset produttivo più importante. Il successo del Piano sta nella sua profilazione specifica per il particolare tessuto industriale italiano, con un approccio che valorizza filiere e reti d’impresa e responsabilizza direttamente gli imprenditori. Ecco come lo svantaggio dimensionale può acquisire nuovo valore. E la rete dei 23 Digital Innovation Center, fortemente voluti da Confindustria, a far da catena virtuale che consente alle piccole e medie imprese di accedere a fattori di crescita altrimenti difficilmente raggiungibili: nuove sinergie, nuovi mercati, nuove risorse finanziarie e tecnologiche. Con ricadute importanti sul territorio. Perchè la fabbrica 4.0 travalica i confini delle sue mura, richiedendo infrastrutture capaci e veloci, una logistica intelligente, un sistema formativo in grado di offrire le nuove competenze, un’efficace coperazione con il sistema della ricerca.

PA e istruzione, priorità 2018

E’ questa la visione, collaborativa, trasversale, basata sulle responsabilità personale e di leadership, che ha permesso di dar vita a Industria 4.0. E che è indispensabile contamini gli altri due asset strutturali, il cui ritardo è oggi il maggior freno allo sviluppo dell’innovazione del Paese. Pubblica amministrazione e sistema dell’istruzione. Vere e proprie priorità politiche da affrontare di petto nel 2018. Sono macchine complesse che possono essere rese efficienti e all’altezza delle attuali esigenze in tempi ragionevoli, solo introducendo una forte discontinuità nella governance politica del digitale.

Un Ministero per gli affari digitali anche in Italia

Per dare a tutti gli attori coinvolti il senso di urgenza e di priorità. Un Ministero per gli affari digitali? E’ la via che stanno percorrendo Francia e Germania. E’ innegabile che ci troviamo in una fase in cui c’è bisogno di una governance politica del digitale forte, unitaria e coerente, dal centro alla periferia.

Digitale e lavoro, il futuro si gioca sulla formazione

Sul tema della formazione ci giochiamo il futuro. Un tema che ancora una volta abbiamo iniziato ad affrontare con estremo ritardo. Sappiamo che nei prossimi anni il 50% delle mansioni cambierà in tutti i settori. Ed è proprio su questo avanzare della digitalizzazione nel mondo del lavoro che si agitano le paure più profonde, perché legate alla possibile perdita di occupazione. Paure che possiamo vincere solo con l’aggiornamento e la formazione sulle competenze digitali in ogni campo dell’economia e della Pubblica amministrazione.

Ridisegnare processi, competenze, settori

Per concludere. Alcuni passi importanti sono stati compiuti. Ma la trasformazione avanza in modo troppo lento, frammentario e con grande dispersione territoriale. Il cambiamento ancora non si vede, non si tocca, se non in termini molto circoscritti, là dove avviene. Ma non possiamo accontentarci di avere isole di eccellenza, creando così nuovi muri. Dobbiamo procedere al ridisegno dei processi, delle competenze, dei settori. Superare i blocchi e i confini ormai obsoleti. Creare condizioni per avviare nuove collaborazioni trasversali. Trasformazione digitale vuol dire in realtà riprogettare il Paese. Vuol dire costruire un paese nuovo, in grado di fare dell’innovazione lo strumento di nuove opportunità economiche, occupazionali, sociali, culturali per tutti.

Passare alla fase esecutiva dei programmi

Nel 2018 va spinto l’acceleratore sulla fase esecutiva ed espansiva dei programmi in campo.

  • Per la Pa. Tempi certi e responsabilità ben individuate. Nomina senza indugio di un responsabile digitale, un Chief Digital Officer in ogni amministrazione, centrale e locale. Definire chi fa cosa, fra amministrazioni centrali e locali. Iniziare senza indugio il programma formativo digitale della dirigenza pubblica. I dirigenti di 1 e 2 fascia in 12 -24 mesi devono acquisire competenze digitali ed organizzative. Attuare lo switch-off. Bisogna mettere nero su bianco date, tempi, modalità di adesione delle Pa alle applicazioni a più alto impatto per cittadini e imprese, a partire da Anpr, Spid, PagoPa.
  • Sviluppo di Industria 4.0. Abbiamo hanno bisogno di poter contare su una continuità almeno quinquennale degli incentivi previsti, al fine di registrare un incremento degli investimenti tale da consolidare la ripresa e incidere sull’andamento del Pil.
  • Evoluzione del sistema dell’istruzione. Nel prossimo triennio dobbiamo raggiungere una serie di obiettivi, che definirei senza dubbio strategici. Fra questi, bisogna passare dagli attuali 8.000 a 24.000 i diplomati annui ITS con competenze digitali e dai 7.500 laureati annui in discipline ICT ad almeno 15.000. Dobbiamo assicurarci che i 500mila ragazzi che si diplomano ogni nelle nostre scuole superiori siano in possesso delle competenze digitali di base. Alle oltre 270mila matricole universitarie devono essere offerti corsi di competenze digitale avanzate.

La leadership necessaria per la trasformazione

E’ un sogno? No, direi una strada obbligata, se vogliamo inserirci nella scia del nuovo ciclo d’innovazione. E qui entra in gioco il ruolo della leadership che deve far penetrare la visione del cambiamento in tutto il Paese, renderla un obiettivo condiviso. Promuovere regole, investimenti, condizioni-quadro favorevoli. Stare con il fiato sul collo di coloro che hanno le responsabilità esecutive, esigere risultati nei tempi e con la qualità in modo che i cittadini e le imprese possano vederne quanto prima i benefici.

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