space economy

Detriti spaziali, come prevenirli e rimuoverli: il punto sulle le soluzioni tecnologiche

In orbita ci sono oltre 3.200 satelliti parzialmente o completamente inattivi, molti dei quali fuori controllo. Rimuovendone alcuni si ridurrebbe il rischio di pericolose collisioni a catena che potrebbero generare centinaia o migliaia di nuovi detriti. Molte aziende sono al lavoro per tentare di risolvere il problema

Pubblicato il 08 Lug 2021

Alessandro Paravano

Ricercatore Osservatorio Space Economy

Franco Bernelli Zazzera

Responsabile Scientifico Osservatorio Space Economy Politecnico di Milano

Angelo Cavallo

Direttore Osservatorio Space Economy Politecnico di Milano

Riccardo Masiero

Ricercatore Osservatorio Space Economy Politecnico di Milano

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Il fenomeno della space economy comprende l’uso sempre maggiore di dati provenienti dallo spazio a beneficio delle attività umane sulla terra. La maggioranza dei servizi proposti, che utilizzano immagini della superficie terrestre o dati di posizionamento, aumentano notevolmente la sostenibilità dei settori coinvolti riducendo l’impatto ambientale e ottimizzando l’uso delle risorse. Ad esempio, in campo agricolo si stanno sviluppando molti servizi di monitoraggio e previsione per la riduzione del consumo di acqua e fertilizzanti.

Questo fenomeno sta incrementando il numero di satelliti in orbita (a oggi oltre 7.200 di cui attivi 4.300) intensificando il problema dei detriti spaziali, che in futuro potrebbe compromettere l’accesso alle orbite basse terrestri (LEO) fondamentali per le attività di osservazione della terra, comunicazione e posizionamento.

Detriti spaziali, un problema non solo economico: nodi geopolitici e possibili soluzioni

Le soluzioni anti collisione

Secondo i dati dell’Agenzia Spaziale Europea, i detriti spaziali con dimensione superiore ai 10 cm sono circa 34.000 e quelli con dimensione superiore al cm sono oltre 900.000. Se un satellite in orbita venisse colpito da soltanto uno di questi proiettili dello spazio la sua operatività potrebbe essere parzialmente o totalmente compromessa.

È importante quindi chiedersi: siamo in grado di determinare accuratamente la loro traiettoria per prevenire le collisioni?
La startup statunitense LeoLabs sta realizzando un network di sensori per mappare e seguire oltre 250.000 oggetti in orbita, aiutando gli operatori a prevedere possibili collisioni con i loro asset. Ricordiamo che tradizionalmente le operazioni dei satelliti (manovre orbitali, cambi d’assetto, attivazione sensori) sono gestite da terra con il supporto di numerosi tecnici. Per questo motivo in alcuni casi il tempo di risposta necessario per definire le manovre evasive potrebbe essere non sufficiente per evitare la collisione. Una possibile soluzione può venire dallo sviluppo sempre più intelligente che permetta ai satelliti di decidere autonomamente come comportarsi.
AIKO, startup fondata a Torino nel 2019, sta realizzando un sistema digitale, chiamato MiRAGE, per la navigazione autonoma che sfrutta algoritmi di intelligenza artificiale. Utilizzando questa tecnologia i satelliti potrebbero essere in grado di ridurre al minimo il rischio di collisioni e ottimizzare autonomamente l’uso del propellente in modo da garantire la loro operatività per il maggior tempo possibile.

Altre aziende invece, tra cui l’italiana D-Orbit e la canadese Obruta, forniscono sistemi utili per permettere ai satelliti di rientrare nell’atmosfera terrestre al termine della loro vita entro i 25 anni definiti dalle linee guida internazionali ed evitare di creare ulteriori detriti.

Il problema della rimozione dei detriti spaziali

Tutte le soluzioni precedentemente descritte aiutano gli operatori di nuovi satelliti a prevenire l’incremento del numero di detriti spaziali. Nonostante questo, attualmente in orbita ci sono oltre 3.200 satelliti parzialmente o completamente inattivi, molti dei quali fuori controllo. Rimuovendone alcuni si ridurrebbe di molto il rischio di pericolose collisioni a catena che potrebbero generare centinaia o migliaia di nuovi detriti.

La missione e.Deorbit dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), progettata nel 2013, ha l’intento di rimuovere un satellite inattivo e, allo stesso tempo, aiutare quelli operativi. Infatti, molte delle tecnologie necessarie per la rimozione di vecchi satelliti possono essere utilizzate per operazioni di rifornimento e assistenza in orbita essenziali per poter estendere la vita operativa dei satelliti.

Inoltre, la startup inglese ClearSpace sta realizzando un braccio robotico per agganciare entro il 2025 un componente lasciato in orbita dal lanciatore Vega nel 2013 e lo scorso marzo la giapponese Astroscale ha lanciato la missione ELSA-d con l’intenzione di dimostrare la fattibilità di recupero in orbita di un satellite non più operativo.

In aggiunta alle soluzioni tecnologiche, i policy maker si stanno adoperando per aumentare la consapevolezza del problema e stimolare gli operatori a scegliere soluzioni che garantiscano la sostenibilità delle operazioni spaziali per i prossimi decenni.

I programmi di ESA e WEF

Per questo motivo l’ESA sta sviluppando il programma Clean Space il quale si pone l’obiettivo di aumentare la sostenibilità delle missioni spaziali andando ad agire sulla progettazione e gestione del loro intero ciclo di vita. I tre pilastri principali del programma si occupano di: progettare le future missioni secondo i più moderni canoni di sostenibilità (EcoDesign), ridurre l’impatto dei satelliti in orbita (CleanSat) e realizzare sistemi per la rimozione attiva di grandi detriti (Active Debris Removal).

Inoltre, il World Economic Forum sta sviluppando l’indicatore SSR (Space Sustainable Rating) per valutare quanto le nuove missioni siano conformi alle linee guida internazionali per la riduzione dei detriti spaziali.

Secondo l’Osservatorio Space Economy della School of Management del Politecnico di Milano, questa nuova metrica potrebbe creare una competizione virtuosa tra le emergenti aziende della space economy stimolando la creazione di soluzioni tecnologiche innovative senza compromettere l’ambiente spazio per le generazioni future.

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