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Correttivo codice appalti, così si apre il 2025 dei contratti pubblici: la priorità è il digitale



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Il 31 dicembre 2024 è stato approvato il decreto correttivo al Codice appalti, necessario per accelerare il raggiungimento degli obiettivi del PNNR, soprattutto sulla digitalizzazione: ecco le novità per PA e imprese

Pubblicato il 21 gen 2025

Paola Conio

Avvocata, Senior Partner Studio Legale Leone



contratti (1)

Il decreto correttivo al Codice dei Contratti Pubblici, approvato il 31 dicembre 2024, ha introdotto importanti modifiche per avanzare gli obiettivi del PNRR, in particolare sulla digitalizzazione. L’entrata in vigore immediata del decreto legislativo 209/2024, senza vacatio legis, evidenzia l’urgenza di intervenire per garantire il raggiungimento delle milestone del Piano. Il 2025 si apre quindi con importanti novità normative nel procurement pubblico.

Cosa cambia nel 2025 degli appalti

Il decreto correttivo ha modificato 5 articoli cruciali per la digitalizzazione tra i 18 rilevanti, cercando di rispondere alle critiche e difficoltà operative segnalate dagli operatori del settore. La riforma ha interessato oltre 80 disposizioni del Codice, integrando nuovi articoli e allegati con l’intento di migliorare i processi di procurement pubblico.

Per quanto concerne la digitalizzazione, il correttivo ha certamente apportato delle modifiche utili all’impianto originario del Codice. Forse una maggiore riflessione e un maggior tempo di metabolizzazione dei suggerimenti pervenuti avrebbe potuto consentire di intervenire in modo più efficace, ma il giudizio può essere, limitatamente a questo macrotema, comunque positivo.

Correttivo Codice appalti, l’iter

Dopo la posizione estremamente critica espressa dal Consiglio di Stato sullo schema di decreto correttivo con il parere n. 1463 del 2 dicembre 2024, si era inizialmente ipotizzato che la pubblicazione del provvedimento nella sua versione definitiva sarebbe slittata rispetto alla data prevista del 31 dicembre 2024, per consentire una più pacata considerazione delle osservazioni formulate sul testo, tenuto anche conto del fatto che la legge delega n. 78/2022 aveva attribuito al Governo la facoltà di rimettere mano alla riforma con uno o più decreti correttivi da adottarsi entro due anni dall’entrata in vigore del nuovo Codice e, quindi, entro il 31 marzo 2025.

D’altro canto, però, il fine tuning del Dlgs 36/2023 risultava necessario per poter segnare un avanzamento rispetto ad alcuni obiettivi PNRR (ad es. relativi agli incentivi per la qualificazione delle stazioni appaltanti e alla riduzione dei tempi medi tra pubblicazione del bando e aggiudicazione), da raggiungersi per l’appunto entro il 31 dicembre 2024.

Il dlgs 209/2024, quindi, non solo ha visto la luce esattamente il 31 dicembre dell’anno appena spirato, nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 ma è anche entrato in vigore senza i 15 giorni canonici di vacatio legis, direttamente il giorno successivo alla sua pubblicazione.

Correttivo Codice appalti, la priorità è la digitalizzazione

Nella relazione illustrativa del decreto correttivo vengono evidenziati i 10 temi sostanziali ritenuti prioritari sui quali si è maggiormente concentrata la novella, che nel complesso modifica o sostituisce integralmente oltre 80 disposizioni, tra articoli del Codice e allegati, inserendo ex novo 3 articoli e 3 allegati.

Tra questi macrotemi prioritari vi è anche la digitalizzazione, come era ovviamente prevedibile considerando sia l’oggettiva centralità che la stessa riveste nell’evoluzione dei processi di procurement pubblico, sia le difficoltà operative che l’entrata in vigore delle relative disposizioni aveva determinato e che erano state segnalate dagli operatori del settore, sia, infine la scadenza – proprio coincidente con il primo gennaio 2025 – del termine a partire dal quale il ricorso alle metodologie di building information modelling (il BIM) sarebbe divenuto obbligatorio per tutti i progetti di importo superiore a 1 milione di euro.

Da qui un’ulteriore spiegazione dell’urgenza con cui il Governo ha operato, al fine di evitare che l’obbligatorietà del BIM per i progetti di importo superiore al milione di euro scattasse solo per qualche settimana o mese e poi venisse eliminata.

Gli articoli incisi dal correttivo

Dei 18 articoli in materia di digitalizzazione – considerando, oltre alla Parte II del Libro I del Codice, anche l’art. 43 dedicato, appunto, al BIM – la novella ne modifica 5 e, in particolare i seguenti.

Art. 19 – Principi e diritti digitali

La modifica apportata a questo articolo è minima, ma importante e interessa il comma terzo, che indica gli strumenti concreti attraverso cui trovano attuazione i principi enunciati nei commi precedenti.

Il comma 3 della disposizione prevedeva originariamente che le attività e i procedimenti amministrativi connessi al ciclo di vita dei contratti pubblici dovessero essere svolti digitalmente, secondo le previsioni dello stesso codice contratti, nonché del codice dell’amministrazione digitale, “mediante le piattaforme e i servizi digitali infrastrutturali delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti”. La formulazione letterale sembrava, pertanto, suggerire l’idea di strumenti proprietari.

La novella modifica questo passaggio in “piattaforme e servizi digitali utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti”, ponendo piuttosto l’accento sulla circostanza del concreto utilizzo da parte dei predetti soggetti, con l’obiettivo di fugare ogni possibile dubbio interpretativo.

Art. 23 – Banca dati nazionale dei contratti pubblici

All’art. 23 sono state apportate due modifiche, la prima con l’intento di chiarire la formulazione previgente del comma 5, la seconda con lo scopo di introdurre una novità sostanziale al comma 7.

Per quanto attiene al comma 5, si tratta della disposizione che prevedeva la necessità di trasmissione alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici anche dei dati inerenti gli affidamenti in-house. Prima della modifica, la norma recitava “Gli obblighi informativi di cui al primo periodo riguardano anche gli affidamenti diretti a società a società in house di cui all’articolo 7, comma 2”. Il correttivo ha ritenuto opportuno, da un lato, sopprimere il termine “diretti” per evitare  – come si legge nella relazione illustrativa – “al fine di evitare incertezze applicative e sovrapposizioni semantiche con gli affidamenti diretti disciplinati ai sensi degli articoli 48 e ss. del Codice”, dall’altro inserire la precisazione che tale obbligo era stato previsto in ossequio ai principi di trasparenza.

Obiettivamente la norma appariva sufficientemente chiara anche prima della modifica apportata con la novella, posto che mancando una procedura di gara per gli affidamenti in-house, non vi è dubbio che gli stessi siano in effetti “diretti”, circostanza confermata anche dal comma 2 dell’art. 7 citato nella disposizione novellata che recitava e recita tuttora “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture“. Non si comprende, quindi, quali incertezze avrebbero potuto sorgere. D’altro canto, il fatto che l’informazione relativa agli affidamenti in house dovesse essere data per ragioni di trasparenza sembrava piuttosto ovvio anche senza l’intervento del correttivo.

Molto più interessante è, invece, la modifica del comma 7, che estende anche alle stazioni appaltanti – e non più soltanto all’ANAC – il potere di segnalare all’AGID l’omissione di informazioni o attività necessarie a garantire l’interoperabilità dei dati al fine dell’esercizio dei poteri sanzionatori previsti dal CAD.

L’interoperabilità è, difatti, uno snodo cruciale per poter consentire una reale ed efficace digitalizzazione di tutto il ciclo del public procurement. E’ quindi necessario che ogni ostacolo alla sua completa realizzazione venga rimosso. Il correttivo avrebbe potuto essere più incisivo, rendendo più automatica e certa l’irrogazione di sanzioni, già compiutamente definite dallo stesso codice, a fronte della violazione degli obblighi relativi, ciononostante, anche questa modifica può essere di utilità, anche quale possibile deterrente.

Art. 24 – Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico

Anche il FVOE rappresenta un anello strategico e cruciale nella catena della digitalizzazione, il cui corretto e completo funzionamento è fondamentale per la effettiva semplificazione e velocizzazione degli adempimenti a carico degli operatori economici e delle stazioni appaltanti. E’ infatti tramite il FVOE che le amministrazioni dovrebbero poter verificare con efficacia e rapidità i requisiti generali e speciali dei partecipanti alle procedure di affidamento.

Le amministrazioni competenti al rilascio delle certificazioni riferite ai requisiti di partecipazione generale, la cui carenza determina l’esclusione automatica dalla gara, dovrebbero garantire l’accesso mediante interoperabilità alle proprie banche dati, così da assicurare la disponibilità in tempo reale delle informazioni e delle certificazioni digitali necessarie. Ma chi opera concretamente nel settore del public procurement sa che tra il dire e il fare in questo caso c’è veramente di mezzo il mare, un mare fatto anche di cavilli e di strumentalizzazioni, oltre che di difficoltà oggettive.

Il correttivo apporta una modifica semplice ma essenziale al comma 3, inserendo un periodo nel quale viene specificata la prevalenza delle norme speciali dettate dal medesimo Codice in materia di interoperabilità delle differenti banche dati, rispetto alle eventuali disposizioni che disciplinano il funzionamento di ciascuna delle stesse. E’ stato, infatti, aggiunto “Alle regole e agli obblighi di interoperabilità, previsti ai sensi dell’articolo 23, comma 3, non possono essere opposte le disposizioni che regolamentano le singole banche dati che alimentano la Banca dati nazionale dei contratti pubblici.” I contrasti talora esistenti tra i due corpi normativi erano stati utilizzati, difatti, come giustificazione per non garantire l’interoperabilità, requisito essenziale perché i benefici del FVOE non restino solo sulla carta.

In coordinamento con queste modifiche va anche considerato l’inserimento, all’art. 99, del comma 3-bis, che prevede che “In caso di malfunzionamento, anche parziale, del fascicolo virtuale dell’operatore economico o delle piattaforme, banche dati o sistemi di interoperabilità ad esso connessi ai sensi dell’articolo 24, decorsi trenta giorni dalla proposta di aggiudicazione, l’organo competente è autorizzato a disporre comunque l’aggiudicazione, che è immediatamente efficace, previa acquisizione di un’autocertificazione dell’offerente, resa ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti il possesso dei requisiti e l’assenza delle cause di esclusione che, a causa del predetto malfunzionamento, non è stato possibile verificare entro il suddetto termine con le modalità di cui ai commi 1 e 2. Resta fermo l’obbligo di concludere in un congruo termine le verifiche sul possesso dei requisiti. Qualora, a seguito del controllo, sia accertato l’affidamento a un operatore privo dei requisiti, la stazione appaltante, ferma l’applicabilità delle disposizioni vigenti in tema di esclusione, revoca o annullamento dell’aggiudicazione, di inefficacia o risoluzione del contratto e di responsabilità per false dichiarazioni rese dall’offerente, recede dal contratto, fatto salvo il pagamento del valore delle prestazioni eseguite e il rimborso delle spese eventualmente sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, e procede alle segnalazioni alle competenti autorità.”

Art. 26 – Regole tecniche

L’articolo in questione è stato profondamente modificato, attribuendo all’AGID non più di stabilire “i requisiti tecnici” e “la conformità” delle piattaforme di approvvigionamento digitale, ma piuttosto le modalità della loro certificazione.

Il secondo comma dell’articolo ha previsto che il provvedimento con il quale Agid fissa le modalità della certificazione, stabilisca anche i requisiti e i titoli richiesti alle piattaforme di approvvigionamento digitale al fine di dimostrare la conformità delle suddette piattaforme all’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale, nonché della sicurezza delle informazioni.  “Tenuto conto degli standard internazionali di settore”, facendo quindi riferimento espresso – almeno così dovrebbe interpretarsi la locuzione – alla normazione tecnica.

Viene inoltre coinvolta nella definizione delle predette modalità anche l’ACN, ovvero l’Agenzia per la Ccybersicurezza Nazionale (ACN), che seppure già istituita al momento dell’adozione del D.Lgs. 36/2023, è chiaramente destinata ad assumere un peso sempre crescente, di pari passo con l’incremento della percezione di quanto i processi digitali – seppure fondamentali per lo sviluppo e la crescita del nostro sistema economico – rappresentino bersagli strategici e potenzialmente fragili nella nuova realtà dei nostri tempi.

In connessione con questa modifica, viene trasferita al comma 1 del nuovo articolo 226-bis la definizione del termine – stabilito in 60 giorni – per l’adozione del provvedimento da parte dell’Agid, di concerto appunto con l’ANAC, la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la trasformazione digitale e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale.

Art. 35 – Accesso agli atti e riservatezza

Viene collocato all’interno dell’art. 35 un emendamento proposto dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni-Città per l’art. 24. Si tratta della previsione secondo cui, già in sede di presentazione delle offerte, gli operatori economici trasmettono alla stazione appaltante e agli enti concedenti il consenso al trattamento dei dati tramite FVOE, nel rispetto di quanto previsto dal codice in materia di protezione dei dati personali, per consentire alla stazione appaltante un pronto accesso ai fini della verifica del possesso dei requisiti e per le altre finalità previste dal Codice.

Sempre allo stesso articolo viene specificato che i segreti tecnici e commerciali che giustificano il rifiuto dell’accesso da parte dei concorrenti alla documentazione di offerta possono anche essere risultanti da scoperte, innovazioni, progetti tutelati da titoli di proprietà industriale, nonché di contenuto altamente tecnologico.

Art. 43 – Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni

In estrema sintesi, le modifiche apportate alla disposizione dalla novella sono finalizzate ad alzare l’asticella per l’obbligatorietà del ricorso alla metodologia BIM.

In termini generali, l’importo minimo viene raddoppiato, passando da uno a due milioni di euro. Inoltre, viene inserito un diverso importo per il caso di interventi sugli edifici facenti parte del patrimonio storico artistico, fissandolo alla soglia di interesse europeo e, pertanto, agli attuali 5,538 milioni di euro.

La giustificazione contenuta nella Relazione illustrativa del provvedimento fa riferimento alla necessità di “mitigare l’impatto dell’obbligatorietà dell’adozione della gestione informativa digitale sulle piccole e medie stazioni appaltanti, al fine di scongiurare un blocco delle procedure di affidamento, pur assicurandone l’utilizzo per gli appalti di maggior complessità”, tenuto conto del fatto che “la complessità della digitalizzazione delle informazioni relative ad edifici esistenti monumentali potrebbe essere troppo onerosa per le piccole e meno attrezzate stazioni appaltanti”.

La scelta potrebbe anche apparire comprensibile, ma delude dover constatare che a distanza di quasi 10 anni dalla previsione, contenuta nell’art. 23 del D.Lgs. 50/2016, di graduale introduzione del Building Information Modelling nell’ambito degli appalti pubblici non si sia stati in grado di mettere in campo strumenti di rafforzamento delle competenze e supporto operativo sufficienti per evitare di dover sistematicamente ridimensionare gli obiettivi dati.

Se non vi è dubbio che la sfida del BIM per il patrimonio storico artistico è ancora più ambiziosa, delicata e complessa di quanto non lo sia in relazione ad edifici “normali”, altrettanto è indubitabile che proprio un Paese come l’Italia, nel quale la concentrazione – per quantità e qualità – di beni di questa particolare tipologia non ha probabilmente eguali, dovrebbe investire tutto il possibile, anche dal punto di vista tecnico, per garantire sistemi sempre più efficienti ed efficaci di gestione e tutela degli stessi.

Rassegnarsi all’inadeguatezza e alla non preparazione di operatori economici e stazioni appaltanti è in fondo una sconfitta per il Paese.

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