m-health

Attenti a quell’app: se la salute a portata di smartphone ci “cronicizza” la vita

Le app che permettono di monitorare lo stato di salute rivestono ormai un ruolo primario nella vita di molte persone, di sicuro migliorandola. Ma la loro eccessiva invadenza deve anche farci riflettere sulla continua e diffusa medicalizzazione che disciplina l’esistenza delle persone

Pubblicato il 08 Set 2021

Luca Benvenga

Università del Salento

comunicazione sanità - fascicolo sanitario elettronico

Nella società contemporanea “tutte le interazioni sociali sono favorite fortemente da dispositivi tecnici che intermediano le relazioni tra soggetti anche nelle prassi adottate. Non solo. La dilagante comparsa di oggetti tecnologici nelle nostre case (es. domotica, dispositivi per la salute), sul nostro corpo (es. smartwatch) e in rete (non solo algoritmi, ma anche bot e chatbot) rende evidente che la nostra socialità è condivisa con entità non umane – che si tratti di software o hardware – che creano una nuova prospettiva di ciò che può essere considerato “sociale”, determinando per alcuni addirittura uno slittamento di percezione di quale sia l’oggetto e quale il soggetto dell’interazione” (Trinca 2021, p. 59-60).

A questo proposito, le app per la salute ricoprono un ruolo fondamentale nella vita di centinaia di migliaia di persone. Una sorta di estensione della soggettività. Il loro utilizzo si interseca con percorsi di prevenzione delle malattie, nonché l’eccessiva invasività della medicina offre lo spunto per riflettere intorno all’esercizio di spazi di autonomia, e di dipendenza, da parte degli users, legati alla presenza di una continua e diffusa medicalizzazione che disciplina l’esistenza del soggetto (Meola 2016, p. 3 sgg.).

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mHealth: una esasperata centralità della salute?

In letteratura è stato a più riprese sottolineato come il proliferare di software di auto-misurazione produca un’ambivalenza. A un’esaltazione della cura e del salutismo fa eco, talvolta, una esasperata centralità della salute. In questo nuovo ambiente culturale prodotto dalla digital society e dalla sanità digitale, il corpo tende ad essere altamente stereotipato e finisce per riprodurre una stereotipizzazione dei desideri, rendendo impercettibili le differenze tra le diverse aree sociali.

Al contempo, è stato inoltre evidenziato come gli algoritmi che governano gli strumenti di e-health abbiano una doppia funzione. Una manifesta, relativa al miglioramento di uno stile di vita, e una latente, che riguarda la gestione eteronoma della salute. Le app assoggettano l’individuo, il quale, ha la presunzione di autogestire il corpo e i suoi bisogni, i cui standard da soddisfare non fanno altro che rispondere a modelli dominanti socio-culturalmente accettati.

Questa medicalizzazione della vita rinvia alla nozione di normalizzazione e di salute. La normalità si definisce in una serie di fattori da quantificare con indicatori di performance. Ciò che si allontana da precise determinanti socio-culturali è patologico, necessita di un processo di normativizzazione che ripristini lo stato di salute dell’individuo.

L’eccessivo allargamento del raggio di azione della medicina, dall’attività fisica allo sport, dalla sanità al tempo libero o alla qualità del sonno, spinge verso un’importante responsabilizzazione del soggetto e, allo stesso momento, tende a individualizzare questioni e problemi di interesse pubblico.

In un loro saggio, Antonio Amaturo e Veronica Moretti osservano come il fenomeno della medicalizzazione non solo sia divenuto sempre più intenso nella nostra società. Le patologie, o presunte tali, sono ricondotte ad aspetti genetici e molecolari piuttosto che pensate e indagate come effetto di un ambiente sociale, oppure relative a questioni economiche o alla distribuzione di disuguaglianze che impediscono uno sviluppo uniforme tra la popolazione mondiale (Amaturo, Moretti 2019, p. 509).

I nuovi standard rispondono a una percezione e a un immaginario collettivi, in vista di promuovere la costruzione della soggettività e l’auto-realizzazione (Mori 2017, pp. 71-2) mediante il calcolo, la competizione e la performatività.

App, performance e responsabilizzazione

Circoscrivendo le logiche di quantificazione alle app per il fitness, l’analisi quotidiana delle performance (Mori 2017, p. 72) si colloca all’interno di circuiti di discorso e di significato prestabiliti. Queste app, nel modellare “i corpi umani e i sé come parte di reti eterogenee, creando nuove pratiche e conoscenze” (Lupton 2014, 610 sgg.), generano una forma di potere nel promuovere il monitoraggio dettagliato di funzioni corporee e comportamenti sociali.

Aldilà di una chiara funzione pedagogica – che riposa in una generalizzata alfabetizzazione informatica degli utenti, soprattutto nella fase di terza e quarta età – le app di m-health hanno la capacità di trasformare il modo in cui il corpo umano è “compreso, visualizzato e trattato” (ibidem), sia dal soggetto che sperimenta da sé i nuovi modelli incarnati, sia dai professionisti che operano in ambito medico e della salute.

Nella riflessione di Peter Conrad e Valerie Leiter sono numerosi i fattori che hanno incoraggiato, o favorito, la medicalizzazione, tra cui una fede nella razionalità e nel progresso (Conrad, Leiter, 2004, 159). Sicuramente, la tecnologia digitale e il cyber-space hanno facilitato il coinvolgimento dei consumatori, offrendo informazioni accessibili sullo stato di salute (ibidem) e de-professionalizzando vaste aree di competenza sanitaria. Ciò ha favorito l’agentività e accelerato i processi di responsabilizzazione, anche se questi ultimi sono stati spesso affiancati da una presunzione di conoscenza che spesso si fonda su credenze personali.

Una crescente differenziazione di informazioni appannaggio del singolo è dovuta a una progressiva diffusione di innovazioni, il cui carattere distintivo è la riduzione di un complesso universo, quello del corpo umano. Le connessioni informazione-comunicazione sono propedeutiche per spiegare le implicazioni sociali delle m-health, che hanno medicalizzato un gran numero di aspetti legati alla quotidianità senza eccessiva problematizzazione di quegli elementi esogeni, che giocoforza impattano sulla salute e ne orientano il suo corso.

Empowerment: il paziente al centro

Questi processi di medicalizzazione portano a un cambiamento di policy della salute, delle norme sociali e una disarticolazione delle forme di sapere tradizionali. Un assunto di base della medicina è che la conoscenza sia prerogativa dei medici. Con l’empowerment il ruolo del paziente si è centralizzato. Questi ha accesso a una moltitudine di informazioni, sviluppa una consapevolezza disintermediata sul corpo e cerca soluzioni personali a eventuali problemi, sovente senza ricorrere al consulto di uno specialista per dei trattamenti o l’insorgere di criticità.

L’assenza di gerarchie nell’interpretazione del dato – di qualunque natura – porta alla rivincita di una conoscenza borderline. Infatti, queste formulazioni accettate senza il parere degli esperti, investono a-criticamente la dimensione valutativa di uno stato di salute. Ciò causa spesso cortocircuiti interpretativi, fornendo spiegazioni parziali che impediscono di adottare i comportamenti più idonei a seconda delle circostanze.

La mancata mediazione può generare uno squilibrio tra informazioni certe e informazioni infondate, proponendo una tensione tipica della società contemporanea. Infatti, da una parte troviamo chi dà loro il giusto peso, senza una forte enfasi; dall’altro, la diffusione di informazioni non sottoposte a giudizio critico riproduce schemi tipici di un soggetto incline ad accettare come certa una conoscenza non scientifica.

Nel suo libro dal titolo Introduzione alla sociologia (1990), il sociologo tedesco Norbert Elias, attento a comprendere come l’individuo costruisce il sociale, e come il sociale e le sue figurazioni si impongono su di esso, a proposito di tecnica così chiosa: “a dispetto di tutti gli incubi della fantascienza – scrive Elias – le macchine non possiedono affatto una propria volontà, non inventano e non producono nulla da sole, né possono costringerci a servirle. Tutte le decisioni e le attività che le riguardano sono decisioni e attività dell’uomo” (Elias 1990, 24). Da ciò, nella riflessione elisiana, ne consegue che “le minacce e i vincoli che attribuiamo alle macchine sono sempre – ad una osservazione più attenta – minacce e vincoli che gruppi umani interdipendenti esercitano gli uni sugli altri con l’ausilio delle macchine. In altre parole, si tratta di minacce e di vincoli sociali” (ibidem).

Limitatamente a quanto riportato tra virgolette, possiamo concordare che l’uso che viene fatto dell’intelligenza artificiale trovi cittadinanza in questa contrapposizione tra egocentrismi. Elisabetta Trinca, parafrasando Bruno Latour, afferma che “la nostra società si trova a cavallo di mutamenti profondi, nei quali nostro malgrado siamo tutti inscritti e siamo tutti vettori di cambiamento in un unico network in cui l’AI, il digitale, e le macchine potranno rappresentare un motore di processi molto complessi, in questo modo orientare se non addirittura spostare i rapporti di forza in gioco” (Trinca, 2021, 61).

Lo spostamento di baricentro, effetto dell’AI ch’è in grado di modificare pattern di comportamento e modelli decisionali, ha ripercussioni sugli individui e sulla società. Le corporation, o quelle aziende che si occupano di scrivere gli algoritmi che regolano l’AI su cui le app di m-health si reggono, hanno una loro accountability sul progressivo incedere delle misure di standardizzazione e patologizzazione della vita.

Il rapporto tra medicina, tecnicizzazione e medicalizzazione

Questo rapporto tra medicina, tecnicizzazione e medicalizzazione ha bisogno di essere approfondito. Una conseguenza importante del dominio della razionalità tecnica è l’assenza di asimmetria informativa: l’assunzione di una maggiore consapevolezza dei cittadini, non più interlocutori passivi, si inserisce in questa nuova dimensione relazionale che scaturisce dai rapporti di cura e dall’uso di software appositi. Il paziente è un soggetto che ha diritto di fare le sue scelte e che si informa attraverso le app e nel cyberspazio – con le dovute proporzioni e a volte le difficoltà di muoversi in un universo infinito.

Tuttavia, questo recente fenomeno dell’invasività della medicina connesso al progressivo sviluppo scientifico, ha modificato il paradigma medico. La medicina, da questo versante e al netto di quanto in alto scritto, ha portato anche ad un ripensamento delle malattie, mostrandoci come cambiano le relazioni sociali, i costumi e l’organizzazione di una società in seno alla sua crescita esponenziale. Le finalità del sapere medico e dei dispositivi di m-health è allungare la vita, ma a volte ciò può portare a cronicizzarla piuttosto che migliorarla.

Bibliografia

Conrad, P., & Leiter, V. (2004). Medicalization, markets and consumers. Journal of health and social behavior, 158-176.

Elias, N. (1990). Che cos’è la sociologia. Rosenberg e Sellier, Torino.

Lupton, D. (2014). Apps as artefacts: Towards a critical perspective on mobile health and medical apps. Societies, 4(4), 606-622.

Maturo, A., & Moretti, V. (2019). La medicalizzazione della vita tra quantificazione e gamification. Rassegna Italiana di Sociologia, 60(3), 509-530.

Trinca, E. (2021). HOW CAN AI HELP YOU? L’agency dell’intelligenza artificiale. Comunicazionepuntodoc., 24, 53-68.

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