digitale e trasparenza

Covid-19, le anomalie sulle autopsie svelate dai documenti digitali: ora serve chiarezza

Da documenti conservati digitalmente è possibile rilevare alcune anomalie sulle autopsie legate ai decessi da Covid-19. Emerge come in un momento in cui quanti più dati dovrebbero essere messi digitalmente a disposizione degli esperti, manca la chiarezza che servirebbe: sarebbe ora di cambiare rotta

Pubblicato il 04 Dic 2020

Roberto Ambra

laureato in Scienze Biologiche, Autore di circa 40 articoli scientifici peer-reviewed e capitoli di libr

Vitalba Azzolini

giurista, funzionaria presso una Autorità indipendente di vigilanza e regolamentazione

Thanks to Adam Nieścioruk for sharing their work on Unsplash.

Da quando lo tsunami della Covid-19 si è abbattuto sul Paese torna ciclicamente alla ribalta il tema della valutazione numerica delle persone più o meno gravemente toccate dal virus, dai deceduti agli ammalati. Uno dei profili che hanno sollevato più polemiche nei mesi scorsi è stato quello delle autopsie. Ed è un profilo rilevante: solo con l’autopsia si possono accertare i decessi davvero imputabili al virus e non a patologie concomitanti.

Si sono tuttavia rilevate alcune anomalie che inducono a riflettere. E serve pure una premessa. Le anomalie che saranno di seguito esposte sono rilevabili da documenti conservati digitalmente: grazie alla condivisione che il digitale consente, la comunità scientifica può sottoporre documenti e dati a certi vagli che vanno a beneficio di tutti. Ma i dati fruibili digitalmente si basano su evidenze. E anche per questo è bene parlare di autopsie, che consentono di poter disporre di evidenze su cui fondare studi e migliorare l’approccio alla malattia, quindi, alla sua cura.

Decessi per Covid-19, le “anomalie” sulle autopsie

È verosimile che, in casi di insufficienza respiratoria da probabile polmonite bilaterale intubata per giorni, i dubbi circa la riconducibilità della morte alla Covid-19 non esistano e non serva neanche una lastra RX a conferma (anche se in teoria l’autopsia sarebbe utile per escludere eventuali co-infezioni, magari da batteri antibiotico-resistenti). Ma per i casi “non conclamati” Covid-19? L’autopsia va fatta, anche in considerazione dei dati ISTAT consolidati a fine ottobre (a marzo c’è stato un incremento dell’eccesso di mortalità del 47,2% a livello nazionale e del 93,9% nella ripartizione del Nord, rispetto ai decessi dello stesso mese della media 2015-2019)? La questione è tornata di recente alla ribalta grazie a Graziano Onder – geriatra, autore del Rapporto dell’ISS sulle Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia – il quale ha dichiarato in una intervista a La Stampa: “mentre da noi tutti coloro che muoiono e risultano positivi al tampone vengono classificati come decessi per Covid, non è così in altri Paesi”.

Può essere utile, dunque, tornare sul tema delle autopsie. Innanzitutto, un’avvertenza: non si intende in questa sede giungere a conclusioni scientifiche, ma soltanto, come abbiamo già accennato, rilevare alcune anomalie.

I fatti

Passiamo ai fatti. A maggio sollevò polemiche una circolare del ministero della Salute che invitava a non procedere all’esecuzione di autopsie (vedi screenshot in basso).

Ma a marzo, nell’opacità più totale, un rapporto ufficiale dell’ISS di marzo (n. 6/2020) fu modificato proprio nella parte relativa alla esecuzione di autopsie per la diagnosi Covid-19. Si tratta del Rapporto ISS COVID-19 n. 6/2020 – Procedura per l’esecuzione di riscontri diagnostici in pazienti deceduti con infezione da SARS-CoV-2. Versione del 23 marzo 2020, diffuso il 24 marzo 2020 (la data è indicata in fondo alla pagina, vicino al link per scaricare il PDF) ma, come si legge nel titolo della pagina web e sulla copertina (v. screenshot in basso), datato 27 marzo.

Circa questa anomalia di date – il rapporto risulta pubblicato prima di essere stato scritto – va detto che, analizzando tutti i 61 rapporti presenti nell’archivio ISS, altri 13 rapporti presentano la medesima anomalia, cioè una data modificata. Ma in tutti e 13 i rapporti le versioni successivamente revisionate sono trasparentemente etichettate con la dicitura “Rev” o “Rev. 2”, sia sulla copertina che nelle rispettive pagine web. Dunque, la revisione e, quindi, il cambio di data è motivata in totale chiarezza in tali rapporto, a differenza del rapporto n. 6/2020 da cui si sono prese le mosse, quello che tratta di autopsie.

Queste affermazioni sono facilmente verificabili. La versione ufficiale del rapporto 6/2020, datata 23 marzo (v. screenshot in basso), è scaricabile nell’archivio del giornale Quotidiano Sanità: manca qualunque indicazione di revisione, come se il rapporto fosse stato originariamente scritto come oggi lo si legge.

Ma se si va a verificare la versione originaria del rapporto, tuttora pubblicata nell’archivio del giornale Quotidiano Sanità, si vede a cavallo delle pagine 5 e 6 un paragrafo che invece manca nel rapporto ISS definitivo: l’opportunità di eseguire autopsie (v. screenshot in basso).

La parte che è stata eliminata nel rapporto definitivo conteneva un chiaro invito a effettuare le autopsie, dal momento che il rifiuto di eseguirle, per paura di infettarsi, sarebbe stato “illogico e non etico”.

I “tagli” nel rapporto ISS che fanno riflettere

Questa raccomandazione, contenuta in un documento ufficiale dell’ISS, avrebbe chiaramente attestato l’esistenza di medici i quali rifiutavano di fare autopsie. Circostanza che non è mai stata confermata e che, invece, alla luce di quella raccomandazione, sarebbe stata espressamente riconosciuta. In altre parole, se si invita a fare una certa operazione forse è perché si ha evidenza che essa non sia fatta. E questa potrebbe essere la motivazione per cui il passaggio è stato eliminato nella versione definitiva, quella con una data di copertina successiva alla data di diffusione, e priva di indicazione della revisione.

Nella versione definitiva del rapporto c’è anche un’altra parte che manca: quella relativa all’indicazione su cosa fare in caso non vi siano le condizioni per eseguire autopsie in sicurezza. “Se il patologo si considera insufficientemente preparato su questi casi infettivi o non si ritiene in grado di dare le necessarie conclusioni clinico-patologiche su questi casi, è bene che l’autopsia sia fatta da un altro centro con appropriata esperienza”. Secondo tali indicazioni, se una struttura ospedaliera non fosse stata nelle condizioni di eseguire una autopsia, avrebbe potuto demandarla ad altra struttura. Ma, siccome quelle indicazioni sono state eliminate, si è autorizzati a pensare che, in caso di impreparazione del centro in cui si trova il patologo, le autopsie possano essere evitate, anziché demandarle ad altra struttura.

Conclusioni

In conclusione, l’opacità delle revisioni fatte sul documento, divulgato come se non fosse mai stato revisionato, nonché la conseguente opacità nella gestione delle autopsie relative ai decessi connessi alla Covid-19 e, quindi, l’opacità della ricerca delle cause dei decessi stessi, lascia perplessi. In un momento in cui quanti più dati dovrebbero essere messi digitalmente a disposizione degli esperti, manca la chiarezza che servirebbe.

Mentre nella prima “ondata” di Covid-19 si moriva un po’ ovunque (anzi, in Italia un po’ meno), ultimamente in Italia si muore di più che in altri paesi: secondo una elaborazione della Johns Hopkins University, stanno messi peggio solo Messico e Iran. Non è forse il momento di pretendere maggiore trasparenza?

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