Intelligenza artificiale

L’IA accelera la ricerca scientifica: le prospettive della “literature-based discovery”



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L’uso dell’IA nell’ambito della “literature-based discovery”, sta rivoluzionando il modo in cui gli scienziati conducono le loro ricerche e promette di accelerare ulteriormente il ritmo della scoperta. Tuttavia, come in ogni nuova frontiera, l’applicazione dell’IA alla ricerca scientifica presenta anche limiti e sfide

Pubblicato il 1 dic 2023

Eugenio Santoro

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS



Farmaci generati dall'intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo della scienza e della ricerca. Vari sono gli ambiti nei quali è impiegata e tra questi vi è l’automazione di alcune fasi delle sperimentazioni cliniche (dalla fase di ideazione e degli obiettivi, alla stesura del protocollo, fino alla fase di reclutamento, alla garanzia dell’aderenza al trattamento e alla scrittura semi-automatica del report finale).

Come indicato in un recente articolo di Economist, un approccio promettente è la “literature-based discovery” (LBD) che, come suggerisce il nome, mira a fare nuove scoperte analizzando la letteratura scientifica.

L’identificazione di possibili relazioni scientifiche

Questo approccio si basa su alcuni studi condotti negli anni 80 da un ricercatore del l’Università di Chicago. La sua idea era quella di identificare in maniera automatica nuove possibili relazioni partendo dalla analisi degli articoli scientifici presenti su Medline, il noto database di citazioni bibliografiche e articoli pubblicate dalle riviste mediche internazionali. In un primo esperimento ha messo in relazione due osservazioni separate importanti. La prima, che la malattia di Raynaud, un disturbo circolatorio, era correlata alla viscosità del sangue. La seconda, che l’olio di pesce riduceva la viscosità del sangue.

L’analisi di queste due osservazioni ha generato l’ipotesi che l’olio di pesce avrebbe potuto essere un trattamento utile per trattare la malattia di Raynaud. Questa ipotesi è stata poi verificata sperimentalmente. All’epoca, il sistema proposto non riuscì a prendere piede al di fuori della comunità dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, oggi i sistemi di intelligenza artificiale, grazie alle accresciute potenzialità di elaborare il linguaggio naturale e alla disponibilità di accedere a una gran mole di dati provenienti dalla letteratura scientifica, l’interesse per gli approcci di tipo LBD sta crescendo.

Le innovazioni nell’ambito della scienza dei materiali grazie all’IA

Quello della scienza dei materiali è uno degli ambito più promettenti nell’adozione di questo approccio. Ad esempio, nel 2019 un gruppo di ricercatori del Berkeley National Laboratory, ha utilizzato tecniche di intelligenza artificiale (chiamate di apprendimento non supervisionato) per analizzare gli abstract di articoli di scienza dei materiali ed estrarre informazioni sulle proprietà di diversi materiali. Attraverso tali tecniche, concetti simili espressi negli abstract sono raggruppati insieme. Il sistema realizzato ha così acquisito una “intuizione chimica” tale da poter, ad esempio, suggerire materiali con proprietà simili a un altro materiale. Al sistema di intelligenza artificiale messo a punto è stato poi chiesto di suggerire materiali che potessero avere proprietà termoelettriche, anche se queste non erano identificati come tali in letteratura. Sono stati così selezionati i dieci materiali candidati più promettenti e i test sperimentali hanno scoperto che tutti e dieci mostravano effettivamente proprietà termoelettriche insolitamente forti.

I ricercatori non si sono fermati qui. Una volta istruito, hanno chiesto al sistema di AI di prevedere quali nuovi materiali termoelettrici sarebbero stati scoperti negli anni successivi alla identificazione delle relazione, scoprendo un’accuratezza della previsione otto volte superiore a quella generata dal puro caso.

Sistemi di questo genere sono anche in grado di prevedere quali ricercatori/autori di articoli scientifici hanno più probabilità di prevedere nuove scoperte nel campo della scienza dei materiali. Questo, per esempio, è il risultato di un esperimento condotto da due ricercatori dell’Università di Chicago recentemente pubblicati in un articolo apparso su Nature Human Behaviour. I due ricercatori hanno esteso l’approccio del sistema realizzato Berkeley National Laboratory istruendo un sistema di intelligenza artificiale affinchè questo considerasse, oltre ai concetti contenuti negli articoli esaminati, i suoi autori. Il sistema risultante si è dimostrato due volte più efficace nel prevedere nuove scoperte nella scienza dei materiali rispetto a quello costruito dal team di Berkeley, prevedendo anche gli autori di tali scoperte con una precisione superiore al 40%. Il sistema si è inoltre dimostrato efficace nell’identificare ipotesi “aliene” che sono scientificamente plausibili, ma improbabili, da scoprire nel prossimo futuro.

Allo stesso modo, i sistemi LBD potrebbe essere particolarmente utile per identificare scienziati e ricercatori che lavorano in campi diversi, collegando aree di ricerca complementari e facilitando così le collaborazioni di ricerca interdisciplinari, sempre più richieste nei bandi di ricerca nazionali, europei e internazionali.

Gli scienziati robot: automazione e scoperte autonome

Se i modelli LBD promettono di potenziare le possibilità dei ricercatori con l’intelligenza artificiale, gli “scienziati robot” o i “laboratori a guida autonoma” promettono di fare lo stesso per il laboratorio. Queste macchine vanno oltre le forme esistenti di automazione di laboratorio, come per esempio le piattaforme per lo screening dei farmaci. Vengono invece fornite loro conoscenze di base su una particolare area di ricerca, sotto forma di dati, documenti di ricerca e brevetti. Quindi usano l’intelligenza artificiale per formulare ipotesi, eseguire esperimenti utilizzando robot, valutare i risultati, modificare le loro ipotesi e ripetere il ciclo. Adam, una macchina costruita presso l’Università di Aberystwyth in Galles nel 2009, ha condotto esperimenti sulla relazione tra geni ed enzimi nel metabolismo del lievito ed è stata la prima macchina a scoprire nuove conoscenze scientifiche in modo autonomo.

Il successore di Adam, chiamato Eva, oggi esegue esperimenti per la scoperta di farmaci e dispone di software più sofisticati. Durante la pianificazione e l’analisi degli esperimenti, utilizza l’apprendimento automatico per creare modelli matematici che mettono in relazione le strutture chimiche con gli effetti biologici. Eve ha scoperto, ad esempio, che il triclosan, un composto antimicrobico utilizzato nel dentifricio, può inibire un meccanismo essenziale nei parassiti che causano la malaria.

Le prospettive dell’uso degli scienziati robot nella drug discovery

Quella del drug discovery è un’area nella quale si concentrano maggiormente gli interessi di università, centri di ricerca, aziende farmaceutiche. Due recenti antibiotici, l’alicina e la l’aubucina, sono stati individuati partendo, nel primo caso, da migliaia di molecole tra le più promettenti per combattere l’Escherichia coli e, nel secondo caso da alcune migliaia di farmaci già approvati da Food and Drug Administration per altre indicazioni (il farmaco è risultato efficace nel combattere l’Acinetobacter Baumannii).

Ross King, il ricercatore dell’Università di Cambridge che ha creato Adam, traccia un’analogia tra gli scienziati robot del futuro con sistemi di intelligenza artificiale costruiti per giocare a scacchi e Go. I sistemi di intelligenza artificiale hanno sviluppato strategie per quei giochi che i giocatori umani non avevano considerato. Qualcosa di simile potrebbe accadere con gli scienziati robot man mano che diventeranno più abili, scoprendo magari “che gli esseri umani, guidati da pregiudizi scientifici, finora hanno esplorato solo piccole aree dello spazio delle ipotesi”.

Gli scienziati robot potrebbero trasformare la scienza anche in un altro modo: aiutando a risolvere alcuni dei problemi che affliggono l’impresa scientifica. Una di queste è l’idea che la scienza stia, in vari modi, diventando meno produttiva e che spingere in avanti le frontiere della conoscenza stia diventando sempre più difficile e costoso. Le scoperte più facili potrebbero già essere state fatte e ora è necessaria una maggiore formazione affinché gli scienziati si spingano oltre. Secondo alcuni, i sistemi guidati dall’intelligenza artificiale potrebbero aiutare a svolgere il lavoro di laboratorio in modo più rapido, economico e accurato rispetto agli esseri umani. Non solo grazie alla possibilità di lavorare 24 ore al giorno, ma grazie anche alla capacità di affrontare grandi problemi nella biologia dei sistemi, che altrimenti sarebbero poco pratici a causa della loro scala.

Sciernziati robot e riproducibilità della ricerca scientifica

L’automazione potrebbe anche favorire il processo di riproducibilità della ricerca scientifica, sempre meno praticata, per varie ragioni, dai ricercatori. L’area della biologia molecolare, sotto questo punto di vista, è una delle più promettenti. Uno studio pubblicato nel 2022 ha analizzato più di 12.000 articoli sul cancro al seno e ha selezionato 74 risultati biomedici da verificare utilizzando il robot Eva, che è stato in grado di riprodurne automaticamente 43.

Il lavoro di ricercatori e scienziati è avvantaggiato anche dall’impiego dei Large Language Models come ChatGpt per creare software impiegato nell’ambito della ricerca. Secondo GitHub, l’utilizzo di strumenti come “Copilot”(un generatore automatico di software) può aiutare i programmatori a scrivere software il 55% più velocemente.

I limiti e le sfide nell’applicazione dell’IA alla ricerca scientifica

Tutto semplice? No.Gli ostacoli sono numerosi. A cominciare dalla necessità di una maggiore interoperabilità tra i sistemi di automazione dei laboratori e gli standard per consentire agli algoritmi di intelligenza artificiale di scambiare e interpretare informazioni semantiche. Per esempio, gran parte dei dati provenienti dagli array di micropiastre nei laboratori di biologia finiscono in fogli di calcolo rendendoli illeggibili o scarsamente interpretabili.

Un altro ostacolo è la mancanza di familiarità tra gli scienziati con gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale, preoccupati, in certi casi, anche dalla minaccia di perdita del controllo a causa della eccessiva automazione del loro lavoro. Tuttavia le cose nel corso degli anni sembrano cambiare in meglio. Se negli anni scorsi l’atteggiamento da parte della gran parte dei ricercatori nei confronti dell’intelligenza artificiale applicata alla ricerca scientifica era di diffidenza (gli unici ad appoggiarla erano i ricercatori operanti nel campo dell’intelligenza artificiale), ora il riconoscimento del potenziale dell’intelligenza artificiale sta crescendo, in particolare nella scienza dei materiali e nella scoperta di farmaci, dove è frequente la ricerca di collaborazioni con esperti di intelligenza artificiale.

Conclusioni

Nel campo dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alla ricerca scientifica si sono registrati notevoli progressi identificando un campo di ricerca completamente nuovo e promettente. In futuro, i ricercatori potrebbero fare affidamento su tali sistemi per monitorare nuovi articoli scientifici, evidenziare risultati rilevanti, suggerire nuove ipotesi per la ricerca e collegarli con potenziali partner di ricerca. I laboratori di ricerca stanno ampliando e industrializzando la sperimentazione partendo dagli strumenti di drug discovery. Estendendo e combinando queste trasformazioni, l’intelligenza artificiale potrebbe effettivamente cambiare il modo in cui viene fatta, studiata e praticata la scienza.

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