Quando si parla di digitalizzazione e salute mentale c’è un bias di fondo, che consiste nella concezione di un sistema (operatore) che eroga il servizio/trattamento con l’uso di strumenti tecnologici e un sistema (paziente) che lo riceve.
A fronte delle prove di efficacia e dell’ottimizzazione delle risorse che la digitalizzazione comporta, per realizzare una reale e auspicabile innovazione nell’interazione con il paziente e amplificarne i benefici perseguibili, va completamente rivisitato l’approccio all’uso della tecnologia.
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L’esigenza di un approccio strategico
L’effettiva possibilità di cogliere queste opportunità passa attraverso lo sviluppo di una visione strategica rispetto agli obiettivi che si vogliono perseguire con la digitalizzazione e il modello di trattamento che si vuole implementare.
In particolare, la digitalizzazione va affrontata con un approccio sistemico e di ampio respiro, affiancando all’innovazione tecnologica, anche una profonda innovazione nel modo di intendere il percorso stesso di cura e riabilitazione. Un’innovazione improntata all’apprendimento, alla flessibilità, alla capacità di ascolto e di delega, alla propensione a raccogliere spunti che giungono da ambiti anche molto distanti e farli propri.
Uno dei dibattiti più ricorrenti sul rapporto tra tecnologie e salute mentale riguarda una visione dicotomica: da un lato, l’uso della tecnologia in sostituzione del lavoro nelle singole attività cliniche, dall’altro l’uso per potenziare le capacità di lavoro delle persone – sia chi eroga i trattamenti sia chi li riceve. In questa seconda prospettiva, la tecnologia costituisce uno strumento che arricchisce le potenzialità dell’uomo, implementandone di volta in volta diverse capacità.
La riprogettazione di erogazione e durata del trattamento
La riprogettazione dell’erogazione del trattamento dovrà riguardare il disegno dei ruoli, delle responsabilità, del contenuto decisionale e cognitivo, del livello di autonomia delle persone coinvolte e, di conseguenza, le nuove competenze necessarie sia per utilizzare correttamente le tecnologie stesse o i nuovi metodi ad esse associati, sia per ricoprire i nuovi ruoli disegnati.
Anche l’obiettivo del trattamento tende a diventare gradualmente più ampio, passando dalla responsabilità della singola prestazione in digitale, alla sperimentazione nella vita reale, fino alla responsabilità e consapevolezza del proprio mindset.
In secondo luogo, il contenuto del lavoro tende a spostarsi dalla sfera operativa alla sfera cognitiva, con significativi contributi dei pazienti nei processi decisionali di miglioramento degli interventi e delle singole tecnologie. Tutto ciò è spesso accompagnato da una maggiore autonomia di chi riceve il trattamento perché acquisisce maggiore capacità di valutazione autonoma delle performance di processo e dei risultati.
Questa maggiore autonomia si traduce anche in una accresciuta responsabilizzazione e in una richiesta di maggiore capacità di interlocuzione sia con gli operatori di riferimento al servizio, sia nel gruppo di pari anche in modo disintermediato rispetto ai propri interlocutori sanitari.
Un ultimo elemento rilevante riguarda il fatto che la crescente opportunità di integrazione dei diversi aspetti del trattamento (digitale e reale) porta ad un significativo aumento della collaborazione e dell’interazione tra operatore e ricevente e, in alcuni casi, anche all’ibridazione tra ruoli e quindi alla diluizione dei confini tra funzioni operative e funzioni organizzative: tutto ciò determina sia il rafforzamento delle competenze di base sia lo sviluppo di competenze nuove legate alle tecnologie digitali.
L’abilitazione di un modello di gestione territoriale flessibile
Laddove, invece, si confermi una necessità operativa puntuale di raggiungimento degli obiettivi la semplificazione delle interfacce di interazione e l’applicazione della gamification può facilitare la formazione necessaria per questo tipo di pazienti, creando i presupposti di inclusione sociale attraverso periodi formativi intensi e focalizzati.
Ciò consentirebbe di realizzare un modello di gestione territoriale flessibile dei disturbi psichiatrici: un’offerta di cicli di trattamento intermittenti piuttosto che continui, con l’intervento riabilitativo per gradi con durata definita come condizione standard, riservando interventi più impegnativi a chi non riesce a far buon uso del primo step. Ciò consentirebbe la gestione agevole di un gran numero di utenti a fronte delle esigue risorse disponibili.
Coprogettazione e partecipazione come punti strategici
Spesso l’approccio ai progetti riabilitativi tende a concentrarsi sull’introduzione delle nuove tecnologie e prendere in considerazione le variabili cliniche, umane e sociali solo nel momento dell’implementazione.
Viceversa, sarebbe auspicabile che i fattori tecnologici, clinici, sociali e organizzativi siano progettati insieme. Se la tecnologia deve supportare il lavoro delle persone, le variabili tecniche e quelle clinico-sociali dovrebbero essere progettate insieme per sfruttare il vantaggio congiunto dei due sistemi e per progettare lavori e processi in cui le potenzialità della tecnologia e dell’uomo siano pienamente sfruttate attraverso approcci partecipativi, dove le persone sono coinvolte sin dalle prime fasi del progetto.
Spesso la partecipazione include anche un contributo decisionale da parte degli stakeholders nelle diverse fasi del progetto, con l’obiettivo di fare scelte che massimizzino la funzionalità e l’accettazione da parte degli utenti della soluzione tecnologica e dei processi che si stanno innovando.
Innovazione e approccio centrato sulla persona
Questa idea di partecipazione, coinvolgimento e creatività presenta notevoli analogie con i più recenti approcci nell’organizzazione del lavoro delle grandi aziende, ma si rivela anche coerente con i principi di un approccio centrato sulla persona che tenga conto delle sue personalissime diversità, tipico della Riabilitazione Psichiatrica.
Ma le sovrapposizioni non si fermano qui: l’innovazione richiede diversità.
La parola americana “creativity” indica tre cose: una capacità delle persone (risorse); un processo, ossia il percorso che segue qualsiasi creatore utilizzando determinate logiche, (intervento riabilitativo) e infine un metodo, che consiste nel fare ricorso a delle tecniche e degli strumenti per la risoluzione dei problemi (problem solving).
Occorre, infine, differenziare la creatività e l’immaginazione introducendo il criterio di utilità (esame di realtà): questa valutazione dell’utilità di una nuova idea è realizzata ovviamente facendo riferimento a delle realtà oggettive, realtà che sono comprese e descritte da strutture.
L’open innovation nella riabilitazione psichiatrica
“Innovation comes from anywhere”: è questa la prima regola del colosso tecnologico Google che abbraccia pienamente la strategia della open innovation.
L’open innovation è un modello di innovazione caratterizzato dall’apertura delle imprese verso l’esterno, per creare più valore e meglio competere sul mercato. Si tratta di un nuovo approccio culturale oltre che strategico: si sceglie di ricorrere non soltanto alle risorse e alle idee interne, ma anche a competenze, soluzioni e possibilità che provengono da fonti esterne.
Riflette a pieno uno dei principi cardine della Riabilitazione Psichiatrica il cui obiettivo per contrastare l’estremo ritiro sociale dei pazienti è proprio quello di favorire un’apertura verso l’esterno, aiutandoli ad acquisire le competenze necessarie per migliorare il loro funzionamento personale e sociale.
La tecnologia digitale è un ottimo strumento di mediazione per favorire questo passaggio dalla dimensione interna a quella esterna – funge da cuscinetto per ammortizzare le pressanti richieste ambientali, offrendo uno spazio neutro, sospeso in cui misurarsi e acquisire sicurezza nelle proprie capacità.
In questo modo si supera la visione conflittuale tra mondo fisico e digitale dove il primo assume una connotazione di realtà a discapito del secondo.
Ancora una volta è il mondo del business aziendale ad aiutarci per rendere più chiaro questo concetto con l’espressione “phygital”: qualsiasi esperienza che implichi una contaminazione tra la dimensione fisica e quella digitale.
I tre elementi di un ecosistema integrato tra fisico e digitale
La tecnologia consente di realizzare un ecosistema integrato in cui il mondo fisico e quello digitale convivono.
Tre sono gli elementi fondamentali per definire tale concetto:
- Immediatezza: garantire il verificarsi di azioni precise in un preciso momento – verifica degli obiettivi di un progetto riabilitativo.
- Immersione: l’utente deve essere reso partecipe dell’esperienza in maniera pervasiva – approccio centrato sulla persona.
- Interazione: occorre attivare la parte emotiva dell’utente attraverso uno scambio – fornito dall’operatore.
La gamification nella salute mentale
Anche l’approccio della gamification, abusato in contesti aziendali ed educativi, si fa sempre più largo in quelli clinici e della salute mentale.
La gamification è definita come lo studio di metodi e innovazioni che possano portare le persone a provare più divertimento in determinate attività. A trovare, insomma, l’attività più coinvolgente, interattiva e vicina.
Si tratta di un sistema particolarmente vicino alle nuove generazioni, che fanno della tecnologia e della parte ludica una componente fondamentale della propria vita. Il gioco è direttamente legato allo sviluppo della corteccia prefrontale, la regione del cervello responsabile di gran parte di ciò che chiamiamo cognizione: letteralmente aiuta a plasmare il cervello, crea nuove possibilità conoscitive e stimola la nostra coscienza.
La Riabilitazione Psichiatrica si occupa di far sì che l’individuo si appropri o si ri-appropri di quelle abilità perdute o mai acquisite a causa della malattia, che sono funzionali a svolgere con successo il proprio ruolo sociale e sviluppare le proprie potenzialità individuali nei contesti familiare, sociale e lavorativo. Che male c’è a fare tutto ciò divertendosi?
Il principio alla base della gamification è semplice quanto efficace: se ci divertiamo otteniamo risultati migliori.
Premesso che sono sempre più numerosi gli studi a sostegno dell’efficacia di questa tecnica anche nel campo della salute mentale, quello che vorrei sottolineare è anche la percezione di leggerezza che tali pratiche consentono di introdurre nel trattamento, favorendo la partecipazione e collaborazione dell’utente: continuiamo a proporre trattamenti rigidi, impegnativi in luoghi che non hanno alcuna attrattiva per i giovani.
La fase dell’aggancio, il primissimo contatto con il terapeuta, quella che getta le basi per costruire una solida relazione è compromessa in partenza e trattare disturbi di per sé difficili diventa un’impresa ardua. Allora perché non adeguare la risposta alla domanda (molto spesso inespressa e/o inconsapevole)?
Da una revisione della letteratura, emerge che le persone con gravi disturbi psichiatrici presentano un elevato rischio di ricadute legate all’abbandono del programma terapeutico con un aumento considerevole dei costi, oltre che personali in termini di sofferenza, economici per l’azienda sanitaria che, nell’attuare tutte le strategie utili al superamento della fase di acuzie, possono risultare fino a quattro volte superiori.
Il Drop out può riflettere una mancanza di adattamento percepito tra gli utenti del servizio e il trattamento che ricevono: il più delle volte, il trattamento tradizionale è limitato alla riduzione dei sintomi, all’aderenza ai farmaci antipsicotici e alle aspettative di un ritorno al funzionamento premorboso.
Per gli utenti dei servizi, questi approcci hanno favorito un ambiente clinico che ha alimentato l’impotenza appresa e l’istituzionalizzazione per cui, spesso, rifiutano il trattamento perché non lo apprezzano o non credono di poterne beneficiare, e sono necessari nuovi approcci per coinvolgere questa popolazione.
La gamification dell’intervento si rivela una strategia utile per coinvolgere il paziente in un’attività che promuova l’aderenza al trattamento. Negli articoli recensiti, non importava se il gioco si svolgesse tramite l’uso di una tecnologia complessa o come un semplice gioco di carte: se la struttura e lo scopo del gioco avevano senso per il paziente e la tecnologia facilitava il gioco e il coinvolgimento con i contenuti, il giocatore aveva maggiori probabilità di sentirsi sicuro delle proprie capacità di giocare, essere motivato a farlo e continuare a giocare o riprendere l’attività in un altro momento.
In termini di relazioni interpersonali non è detto che il gioco ci faccia sembrare più simpatico l’altro, ma è un esercizio utile: se l’altro non ci piace almeno si chiarisce il perché.
Attraverso la dimensione del gioco è più semplice discutere delle “suscitazioni” – per usare uno dei neologismi coniati da un paziente durante uno degli incontri di gruppo: alla domanda di cosa un dato evento suscitasse in loro, le emozioni sono diventate “suscitazioni” e abbiamo riso di gusto, riscoprendo quell’inaspettata dimensione di leggerezza di cui sopra. Leggerezza che non è superficialità ma che consente di recuperare la dimensione della con-divisione.
Conclusioni
Con-dividere = Dividere Con. Un piatto di pasta, un momento di fragilità o serenità non si dividono con chiunque, perché in fondo le cose belle della vita non sono cose ma fugaci attimi di semplicità: quelli che colmano i vuoti, che cercano di farti ridere anche quando non c’è niente da ridere. Quelli che, quando non ci sono, manca qualcosa. Qualcosa di bello. La crisi non è solo la cosa più tragica ed evidente di chi si suicida ma è anche quel subdolo, quotidiano strato di frustrazione, insoddisfazione, annientamento dell’idea del futuro. La malattia cancella ogni stimolo, ogni creatività, ogni ricerca. Occuparsi di riabilitazione psichiatrica vuol dire, a mio avviso, occuparsi fondamentalmente di relazioni (con sé stessi – con il mondo – con l’assenza delle stesse) e coltivare la creatività, intesa come stimolo a riconoscere nuove alternative.
Il più grande limite della Psichiatria oggi è la convinzione che la “malattia mentale” sia un problema della medicina in quanto malattia e non della relazione in quanto mentale e ciò trascura la possibilità di considerare la questione nella sua complessità, sia in termini di trattamento che di approccio allo stesso, trasformandosi in uno dei fattori produttori di quella che oggi viene chiamata impropriamente “nuova cronicità”.
In sintesi, un progetto di Digital Mental Health deve innanzitutto partire da una visione chiara sugli obiettivi da raggiungere, e deve poi svilupparsi attraverso un ripensamento sistemico dei processi e dei modelli operativi, progettando congiuntamente il mezzo digitale utilizzato e le variabili cliniche e di funzionamento personale e sociale della persona coinvolta. Per conseguire questi obiettivi, un ampio coinvolgimento di tutti gli stakeholders e un’ampia partecipazione individuale e organizzativa sono fortemente auspicabili.