bioprinting

Stampa 3D in medicina: così faremo organi artificiali

Potenzialità e limiti della stampa 3D in medicina. Cos’è il bioprinting e come si arriverà, tra non molto, a costruire organi funzionanti con l’ingegneria tissutale o a ricostruire organi complessi come il cuore dei pazienti pediatrici. Tutto quello che c’è da sapere su questa nuova frontiera della medicina

Pubblicato il 13 Set 2018

Massimo Casciello

Ministero della Salute

3d bioprinting

Il potenziale della tecnologia di stampa tridimensionale (3D) per il futuro della medicina è tale che analisti quotati prevedono che nei prossimo 15 – 20 anni diverrà possibile addirittura costruire organi funzionanti ed indipendenti.

Dalla sua introduzione, questa tecnica è stata usata in varie aree come la costruzione di modelli anatomici, la personalizzazione di dispositivi medici e protesi, in interventi medici di precisione e per lo sviluppo del bioprinting in 3D.

Tecnica 3D e cura personalizzata

L’elaborazione delle informazioni digitali e la loro conversione in strutture tridimensionali di fatto avvicina profondamente l’uomo al dispositivo biologico o biocompatibile.

Infatti la tecnica 3D consente di costruire, “al letto del paziente”, qualcosa di funzionale per quell’uomo e solo per lui. Non solo gli aspetti dimensionali ma anche quelli di biocompatibilità o, attraverso l’ingegneria tessutale, assolutamente identici al proprio patrimonio genetico. In sostanza quello che si definisce stampa 3D. E’ utopia? Di fatto questa tecnologia restituisce in forma tridimensionale quello che, ad esempio, qualsiasi risonanza magnetica già ci mostra a video. Converte le informazioni digitali, attraverso il linguaggio STL (linguaggio di tasselazione della superfici), in comandi che apparecchiature apposite possono trasformare in movimenti su tre assi con deposito (o fissazione) di materiale in modo puntiforme, in genere prima 2D e per successiva apposizione in 3D.

La costruzione dell’oggetto tridimensionale

Non volendo trattare software ci si concentra sulle tecniche che portano al consolidamento punto per punto del materiale necessario per la costruzione dell’oggetto tridimensionale. A volerle elencare (in sintesi) queste sono l’estrusione, uso di filo, con granuli, letto di polvere e testina inkjet, laminati, polimerizzazione attraverso la luce. Per far comprendere meglio ogni tecnica va detto che ciascuna è poi caratterizzata dall’effetto fisico (o da come lo usa) che sottointende alla costruzione. Ad esempio il sistema granulare può utilizzare come principio la Direct Metal Laser Sintering (DMLS), la Selective Laser sintering (SLS) ecc. Non è banale considerare quale processo fisico si usa perché sono diversi i materiali che possono essere impiegati. Ad esempio quella a filo, l’Electron Beam Freform Fabrication (EBF), può impiegare qualsiasi lega metallica come la DMLS, ma con la granulare, Electron Bean Melting (EBM) si possono usare leghe di titanio.

Molte sono quelle che permettono, per la costruzione 3D, l’uso di polveri di ceramica, paste metalliche, varie plastiche, gesso, amidi, diverse resine, polimeri attivabili ecc.

Ovviamente le applicazioni possibili sono veramente infinite in considerazione proprio delle diverse tipologie di materiale che può essere impiegato. Questa breve descrizione consente di recuperare il discorso iniziale: cambiamento del rapporto con il paziente e con il SSN tutto.

3D e rapporto col paziente

La medicina personalizzata, o di precisione, è ormai un fatto assodato. Comprendere l’intrigato rapporto tra l’espressione genomica, la parte epigenomica e l’insieme dell’universo dei mediatori ha portato ad identificare ciò che è utile a quel paziente ed inutile per un altro. La stampa 3D consente di personalizzare protesi: un professionista che raccoglie con scanner un’immagine tridimensionale e poi la ricostruisce con un materiale appropriato. Un dentista ad esempio può raccogliere le informazioni tramite apposito strumento inviarle ad una stampante 3D e preparare la protesi adatta, tutto in tempi brevi e con una indipendenza del professionista inimmaginabile fino a qualche anno fa. In sostanza con questo semplice esempio si vuole evidenziare come quello che serve può essere costruito su misura per il paziente modificando una catena produttiva consolidata e dunque anche il rapporto SSN paziente evolve.

Perché partire da questo? Perché è intuitivo per il lettore e conforme a quello che già conosciamo: la protesi è inanimata e da secoli vengono utilizzati materiali diversi dalla dentina, all’osso, all’oro.

3D e nascita di nuove professioni

Questa rivoluzione cambia, ovviamente, non solo il rapporto medico paziente ma anche quello della formazione del personale sanitario che dovrà essere sempre più immerso in queste nuove tecnologie.

Infatti non sarà più la messa in opera di qualcosa costruito per tutti ma un manufatto costruito per uno solo. Cambierà anche la catena dei “fornitori” e quella dei professionisti che dovranno saper fare, non altro, ma in modo diverso quello che già fanno.

Quello che è certo sarà la nascita di nuove professioni.

Dunque ricapitolando è facile ed intuitivo comprendere il vantaggio di costruire una protesi dentaria o ossea o di altro tipo come ad esempio costruire protesi indossabili perfettamente compatibili e che possono interfacciare il corpo del paziente con elementi robotici, molto meno quando questa tecnologia incontra la biologia tessutale.

La nuova frontiera del biopronting

E’ possibile costruire un organo più o meno complesso inserendo in qualche modo tutte le cellule “amplificate” del paziente al posto giusto ed avere non più una protesi inanimata ma un vero e proprio organo?

E’ la nuova frontiera e viene denominata bioprinting. Anche in questo caso si parte da immagini CAD che vengono riprodotte da stampanti 3D. E’ ovviamente ingegneria tissutale cioè la costruzione di un qualcosa che rispetta quello che madre natura ha creato cercando di capire il suo funzionamento. La sintesi di forma e funzionalità permette di estrapolare gli elementi utili per la costruzione di un organo funzionate sperando che il “bioreattore” umano lo possa, una volta inserito nell’organismo, inglobare e migliorare.

Le componenti del bioprinting sono il biopaper che rappresenta il materiale di supporto dove vengono depositate le infusioni cellulari; è uno degli elementi chiave per il funzionamento perché deve essere preparato in ragione della struttura tridimensionale che, come abbiamo detto, incide sulla funzionalità dell’organo (si pensi alla struttura complessa del polmone); il biolink è il materiale che possiede le capacità funzionali dell’organo (ad esempio cellule epatiche) e che viene usato come inchiostro e depositato lì dove la struttura di “sostegno” del biopaper ha creato le condizioni come previste nel progetto di ingegneria tissutale. Questo materiale semiliquido cellulare è derivato dal paziente, amplificato e stabilizzato per renderlo idoneo al processo di stampa; Il bioprinter la stampante che ha le capacità di gestire i primi due elementi combinandoli in formato 3D nel tentativo di ricostruire la struttura tridimensionalmente e biologicamente idonea a “lavorare” come l’organo di riferimento (fegato, osso, cuore, polmone che sia).

Ovviamente l’organo deve poi essere “maturato” attraverso processi di inserimento in quelli che vengono definiti “bioreattori”. In sostanza un organo artificiale così costruito a necessita di consolidarsi attraverso la creazione di un ambiente controllato che fornisca tutti gli elementi necessari per il consolidamento del biopaper e l’attecchimento del biolink. Fatto questo il bioreattore definitivo diviene l’organismo umano che ha capacità rigenerative sorprendenti e può consolidare e adattare l’organo “artificiale” inserito ad esempio vascolarizzandolo.

Cos’è il bioprinting e come funziona

La stampante è divisa in tre parti:

  • la cell delivery system, cioè la parte che conserva in ambiente compatibile l’inchiostro cellulare che poi deposita attraverso più ugelli lì dove è previsto;
  • la motion system è quella che permette i movimenti micrometrici tridimensionali necessari per la creazione del biopaper e, nel caso sia preprodotto, solo l’inserimento del biolink;
  • rilevatori e software adeguati che controllano e gestiscono il tutto.

Alcuni esempi di costruzione in stampa di strutture biocompatibili per la pelle umana ci sono e sono già in sperimentazione avanzata. La pelle è più semplice, più reattivo il derma nelle capacità di rivascolarizzazione e lo spessore non è di millimetri come anche che la parte superficiale della pelle non è vascolarizzata.

I limiti del bioprinting

Infatti il limite è che il biopaper ha funzione di supporto, attivo, ma di supporto per gli elementi “vivi” cellulari. Cioè stampare con tecniche di bioprinting è limitato dal fatto che tessuti complessi e spessori diversi dalla decina di micron hanno bisogno di essere nutriti non per diffusione ma da una adeguata vascolarizzazione.

Nello stesso tempo e al contrario la miniaturizzazione nella stampa ha ancora limiti: raggiunge sì i 20 micron, ma un alveolo ha spessori di qualche micron.

Siamo però alla fase due: sappiamo costruire scheletri (collagene ad esempio) biocompatibili in stampa 3D;  sappiamo arricchirli di cellule autologhe con specifiche proprietà; sappiamo come utilizzare l’organismo del paziente con le sue caratteristiche di rigenerazione; sappiamo come incorporare il “prodotto” e sappiamo abbastanza bene quali cellule inserire per garantire il funzionamento e facilitare e indirizzare l’assorbimento nell’organismo.

Qualche esempio pratico

Qualche altro esempio. La società Organovo ha annunciato il primo tessuto epatico prodotto attraverso la stampa 3D. Per adesso la sopravvivenza del tessuto è stata di 40-60 giorni ma intende in un futuro prossimo immettere il prodotto sul mercato. Altro esempio è quello del S.Vincent Hospital di Melbourne con la costruzione di cartilagine attraverso l’uso di cellule staminali del paziente. Questo come la pelle sembra quello più vicino ad uso nella pratica clinica. Noto lo studio dell’Università di Cambrige per la costruzione di tessuto retinico.

Ma quando si debbono costruire organi di spessore importante dove la nutrizione del tessuto non può essere affidata alla diffusione cosa si può fare? L. Bertassoni ha sviluppato vene e capillari attraverso la stampa 3D presso l’Università di Sidney. Si è sostanzialmente agito sul biopaper agendo in negativo. Su di questo è stato apposto materiale biocellulare. Si attende il tempo necessario perché il tutto si solidifichi e organizzi; si elimina il materiale di supporto (il biopaper) ottenendo sottili tubi vascolari. Questo sistema di stampaggio può essere previsto all’interno di un organo complesso: mentre si stampa l’organo un biolink specifico si sparge su un biopaper apposito che poi darà vita ai vasi, mentre il resto dell’organo è composto da un biolink di altra natura innestato su un biopaper diverso. Non soltanto parete muscolare ma anche i relativi vasi sanguigni.

Organi in bioprinting, non è utopia

Però la domanda giusta è: costruire organi funzionanti ed indipendenti, è utopico? E’ facile intuire che dopo aver prodotto un bel modello 3D con la tecnica giusta e le cellule giuste questo modello deve funzionare interagendo con l’organismo. E’ possibile questo?

Sembrerebbe proprio di sì perché ad Harvard, Harald Ott, ha dimostrato che utilizzando una struttura portante derivata dal polmone di un maiale dopo averlo privato delle proprie cellule e “rivitalizzato” con infusioni di cellule umane (cordone ombelicale, dal polmone) e reimpiantato il tutto ad un altro suino l’”organo” artificiale ha mostrato di funzionare per un’ora in modo molto rudimentale, ma ha funzionato.

Steven Morris della Biolifead4D, Buffalo Illinois, parla della rivoluzione 3D bioprinting affermando come vi siano le condizioni per la ricostruzione di un organo complesso come il cuore dei pazienti pediatrici.

Le difficoltà

Ma quali sono le difficoltà per una sua introduzione? Chi conosce il sistema Italiano e lo confronta con quello anglosassone comprenderà come startup nel nostro Paese hanno un terreno impervio su cui camminare. Inoltre questa tecnologia, la stampa di organi 3D, è evidentemente multi professionale e multi specialistica. Pertanto si dovrebbe prevedere una forte integrazione tra diverse competenze cosa non sempre facile. Ma nel caso il “prodotto” si riesca a farlo e si riesca a dimostrarne il funzionamento (nel vero senso del termine: il cure batte) la startup quale procedura autorizzativa deve percorrere? E’ un dispositivo medico? E’ un organo a tutti gli effetti (è fatto di materiale della stessa persona)? L’intervento è un trapianto autologo? E’ un farmaco (condrociti su supporto innestati nel ginocchio)?  Credo che tra una decina di anni sia l’FDA americano che l’EMA europeo o altra autorità ad hoc dovranno occuparsi del problema e cominciare a prevedere direttive nel merito. Vi è poi, alla luce della nuova normativa sulla privacy, il fatto non banale che quel pacchetto di dati digitali non conterrà solamente alcuni aspetti personali ma le informazioni per costruire una parte della persona perfettamente funzionante. A prescindere dai diritti d’autore della tecnologia per la trasduzione delle informazioni, questi dati di chi sono? Anche sui diritti d’autore si dovrà intervenire. Se utilizzo i dati della struttura 3D di una porzione di fegato disponibili ledo dei diritti? Sono di proprietà di chi li ha prodotti e per un certo numero di anni non posso riutilizzarli? O è la metodica e la tecnica di come converto i dati in stampa quella soggetta al diritto di proprietà? Sono dati assimilabili a quelli biologici, visto che possono essere convertiti in tali?

Le eccellenze italiane da sostenere

Come visto molte sono le domande da porsi e a cui necessariamente si dovrà cercare di dare una risposta ma una cosa è certa: si dovrà facilitare il compito a quelle iniziative che già ci sono nel nostro Paese per consentirgli di raggiungere un mercato che tra dieci venti anni sarà irriconoscibile. Iniziative come la banca dell’osso di Bologna o la banca dell’occhio Veneta sono eccellenze italiane che sono in già in fase avanzata (ad esempio la cornea “arricchita” da cellule staminali, il trapianto di matrice ossea arricchita da staminali programmate, innesto di biostampa di condrociti ecc). Occorrerà ricercare ancora molto ma anche molto dovrà essere fatto anche per rendere fruibile una tecnologia che, come detto all’inizio, cambierà il rapporto tra medico paziente ma anche SSN fornitori sia di dispositivi medici che farmaci. Tra quanto? le previsioni parlano di circa 10 – 20 anni, a seconda dell’organo, ma è lo stesso tempo trascorso dal momento in cui il cellulare, da  costosissimo status symbol per pochi (anno 1993) si è trasformato in smartphone: per tutti e a prezzi modesti.

Dieci o vent’anni sembrano tanti ma non rappresentano che un quarto di vita di un individuo (età media 82/83 anni): tantissimi di noi potranno quindi assistere e beneficiare di queste rivoluzioni.

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