didattica a distanza

“Apprendimento intervallato”: la DAD nella relazione tra corpo, cognizione e ambiente

L’apprendimento intervallato riveste particolare significato nella DAD perché applica la ricerca nelle neuroscienze, e consente di apprendere molto velocemente, tanto velocemente da coprire e mantenere in memoria il contenuto di un intero modulo disciplinare in circa un’ora. Ecco perché è importante in questo momento

Pubblicato il 27 Apr 2021

Francesca Zanon

Università di Udine (DILL)

StreetMath

Pensare alla didattica come un’azione che coinvolga mente e corpo non vuol dire semplicemente una scuola in cui i bambini praticano più sport, ma in cui si promuove l’apprendimento nella sua globalità. Si inseriscono in questo contesto i concetti di “ambiente di apprendimento” e “apprendimento intervallato”. Vediamo perché il loro valore assume particolare importanza in questo preciso momento storico.

Le ricerche su corpo e cognizione

Le ricerche su corpo e cognizione in ambito didattico hanno favorito la coesistenza di diverse “visioni del mondo”, sollecitando implicitamente il superamento della logica propria di una razionalità improntata ai principi della scienza classica come unica modalità per accedere ad una verità unica e indiscussa.

Secondo questa visione, il mondo e la realtà sono costruiti dai soggetti in ragione di un processo interpretativo e costruiscono teorie in rapporto ad essi; in questa realtà co-costruita che si sostanzia di relazioni sociali per la negoziazione e condivisione di significati, il corpo non solo è il presupposto dell’esperire ma è l’artefice dei processi interpretativi che consentono di costruire la realtà.

La conoscenza pertanto non è più una questione di intersoggettività costruita sulla base di interpretazioni soggettive negoziate e condivise, ma è il luogo di incontro di una realtà oggettiva con il soggetto conoscente e con la sua struttura specie-specifica.

Allargando il campo della ricerca didattica sulla relazione tra corpo e cognizione, le impostazioni teoriche proposte hanno avuto indubbie ricadute metodologiche. Questo versante della ricerca educativa ha consentito di prospettare modelli integrati che hanno favorito l’emersione della complessa multidimensionalità della funzione corporea nei processi di insegnamento-apprendimento.

Nello specifico la ricaduta in ambito di didattico delle evidenze emerse da tali filoni di ricerca ha prodotto nel tempo pratiche didattiche improntate ai principi della community learning, dell’apprendistato cognitivo, della tecnica delle mappe concettuali attraverso l’impiego del corpo in movimento (Sibilio,2011), favorendo la costruzione di ambienti di apprendimento “autentici” che valorizzino le potenzialità di azione del soggetto nei processi di conoscenza. Da tali attività di indagine è emersa la centralità del sistema sensori-motorio del corpo, suggerendo una riconsiderazione delle potenzialità di movimento e di azione.

Anche la DAD deve per mettere al bambino di lavorare con corpo e cognizione attraverso la costruzione di veri e propri ambienti di apprendimento.

Perché gli “ambienti di apprendimento”?

Lavorare o non lavorare per “ambienti di apprendimento” è principalmente una scelta legata agli obiettivi di apprendimento che l’insegnate vuol perseguire, alla finalità che egli vuol attribuire al proprio ruolo, agli scopi che dovrebbero essere perseguiti dalla scuola nella società contemporanea.

Adottare una didattica di questo tipo può aiutare ad affrontare alcuni dei problemi di apprendimento che si creano nelle classi, come, per esempio, la difficoltà degli studenti a “seguire” le lezioni tradizionali, a mantenere un impegno prolungato, ad approfondire i temi, a percepire la significatività dei contenuti didattici, e la dimenticanza già nel breve periodo degli apprendimenti che sembravano essere stati acquisiti a una prima valutazione.

Lavorare per “ambienti di apprendimento” implica per il docente, inoltre, una consistente ristrutturazione dei propri presupposti concettuali sull’apprendimento e sull’insegnamento e una riorganizzazione delle proprie pratiche didattiche. Vediamo di seguito in cosa consista questo approccio.

Cosa sono gli “ambienti di apprendimento”?

L’espressione “ambiente di apprendimento” è entrato da qualche tempo anche nel lessico educativo italiano. La troviamo in iniziative pilota di innovazione didattica promosse dal Ministero dell’Istruzione, impiegata dagli editori per evidenziare la natura di nuovi prodotti editoriali e di formati più ricchi del “libro di testo”, usata da insegnanti quando intendono designare un approccio didattico caratterizzato da elementi di novità rispetto alla lezione tradizionale.

Il significato che questa espressione assume nella pratica non è sempre univoco e ha spesso più un valore evocativo che descrittivo di qualcosa di preciso, tanto sul piano dei concetti che su quello delle pratiche.

Ambiente vs corso

Anche se oggi “ambiente di apprendimento” è spesso utilizzato per designare un vero e proprio “ambiente” fisico, una più efficace organizzazione degli spazi scolastici ovvero l’insieme delle risorse logistiche, tecniche e didattiche che caratterizzano l’ambiente-scuola, questa espressione, quando compare in letteratura scientifica, viene usata come metafora da contrapporre a una ben più nota, il “corso”.

Essa si sviluppa all’interno dell’epistemologia costruttivista per designare un contesto di insegnamento e di apprendimento che rompe con le teorie e con le pratiche che caratterizzano la didattica tradizionale, quella che si svolge in un’aula, dove l’insegnante realizza la sua attività sulla base di un programma ben strutturato e gli studenti “seguono”, ripetono e rispondono a domande volte a una loro valutazione.

Ognuno di noi vive in un proprio ambiente (fisico, culturale, sociale…) e cerca di attribuirgli un significato personale. Per far questo esplora l’ambiente nei molteplici aspetti, fa uso di numerose risorse, s’inserisce in relazioni già stabilite e ne attiva di nuove con lo scopo di correlarsi efficacemente con l’ambiente stesso, di soddisfare i propri bisogni, di padroneggiarlo.

Quindi, la metafora di “ambiente” designa un contesto in cui l’apprendimento venga attivato, supportato e costruito e in cui ciascuno sia in grado di attribuire al proprio processo di conoscenza un significato, personale ma socialmente e culturalmente mediato.

La condizione prima perché sia possibile generare un apprendimento con queste caratteristiche è che l’ambiente sia ricco di risorse e che a ciascuno sia data la possibilità di attraversarlo in modo non vincolato da una strutturazione didattica rigida: questa è la prima caratteristica di un apprendimento centrato su chi apprende (learner-centred).

Per sintetizzare, dunque, un ambiente d’apprendimento è composto dal soggetto che apprende e dal “luogo” in cui esso agisce, usa strumenti, raccoglie e interpreta informazioni, interagisce con altre persone (Wilson, 1996).

Di “ambienti di apprendimento” ne sono stati concepiti e sviluppati numerosi che si differenziano per la focalizzazione concettuale (ad esempio, alcuni rendono operativa la “flessibilità cognitiva”, altri l’“apprendimento situato”), ma che condividono tutti lo stesso insieme di principi epistemologici: l’apprendimento non è un processo trasmissivo, ma una pratica intenzionale, premeditata, attiva, cosciente, costruttiva, che comprende attività reciproche di azione e riflessione (Jonassen e Land, 2012).

Un “corso”, invece presenta risorse limitate a disposizione di coloro che apprendono (uno o più docenti, dei materiali didattici) e un percorso vincolato e determinato dalla pianificazione didattica (apprendimento centrato sui contenuti). Il “corso” è un sistema strutturato attorno ai principi di apprendimento della disciplina e predeterminato in sede di progettazione con poche possibilità di cambiamento.

Quindi, l’“ambiente di apprendimento” rappresenta un sistema dinamico, aperto, forse caotico, in cui le persone che apprendono hanno la possibilità di vivere una vera e propria “esperienza di apprendimento”; esso è ricco e ridondante di risorse per poter essere funzionale alle differenti situazioni reali in cui si svilupperà il processo formativo, determinato dai sistemi personali di conoscenza che caratterizzano ciascun allievo. Gli “obiettivi di apprendimento” rappresentano, in questa prospettiva, più la direzione del percorso che la meta da raggiungere. I “contenuti” non sono pre-strutturati e sono presentati da una pluralità di prospettive; non tutti devono essere appresi ma rappresentano una “banca dati” cui attingere al bisogno.

In un “ambiente di apprendimento” autentico l’insegnate è chiamato a svolgere il ruolo di allenatore (coach) e di facilitatore (Perkins, 1991); in esso infatti l’apprendimento è sostenuto, ma non controllato e diretto, in esso «l’apprendimento è stimolato e supportato» (Wilson, 1996).

Gli allievi, dunque, possono determinare i propri obiettivi di apprendimento, scegliere le attività da svolgere, hanno accesso a risorse informative (libri, courseware, video) e a strumenti (word processor, e-mail, motori di ricerca, ecc.), possono lavorare con un supporto e una guida.

La natura di un “ambiente di apprendimento” implica che, inizialmente, non venga completamente definito ed “impacchettato”: se l’allievo deve godere di una certa libertà di scelta, un certo livello di incertezza e di non-controllo deve essere messo nel conto. Infatti, chi apprende è la persona migliore a decidere cosa sia significativo per lui. Avere un ambiente di apprendimento libero da costrizioni di tempo e di spazio è fondamentale per costruire e condividere conoscenza.

DAD come ambiente di apprendimento

Un modo per rendere applicabile i concetti sopra delineanti nella DAD potrebbe essere quello di adottare una metodologia didattica come l’apprendimento intervallato.

Lo spaced learning (o apprendimento intervallato) è una tecnica didattica tutto sommato abbastanza tradizionale di trasmettere conoscenze, ma è contraddistinta da una peculiarità: la ripetizione strutturata, separata da brevi intervalli, che aiutano ad inglobare le informazioni nella memoria a lungo termine. Paul Kelley ha ideato questo metodo cercando di dare applicazione didattica alle teorie del neuroscienziato americano Douglas Fields del National Institute of Child Health and Development. Douglas Fields ha scoperto che le cellule del cervello si “accendono” e si collegano tra loro a seconda di come sono stimolate. Stranamente se la stimolazione della cellula è continua la cellula non si “accende”.

La stimolazione deve essere separata da intervalli. Il team di Fields ha verificato che occorrono 10 minuti di interruzione fra una stimolazione e l’altra perché le cellule “si accendano” e si determini il percorso di costruzione della memoria a lungo termine.

Paul Kelley, dopo essere entrato in contatto con Fields, si è convinto che questa scoperta potrebbe indurre cambiamenti radicali nelle metodologie di insegnamento, e ha tentato una prima trasposizione didattica di questa teoria con lo spaced learning o apprendimento intervallato.

L’Apprendimento Intervallato è un modo di creare percorsi neurali all’inizio di un’unità di lavoro (acquisizione di memoria), che possono poi essere rivisitati a vari intervalli nel corso del tempo (recupero della memoria) così da sottolineare l’importanza del percorso e rendere più facile, all’occorrenza, ‘far mente locale’. L’Apprendimento Intervallato si basa su una scoperta sul cervello che è stata pubblicata nel 2005 da R. Douglas Fields su Scientific American.

La ricerca ha rivelato il processo con cui si forma la memoria a lungo termine, e – cosa più significativa per gli insegnanti – il processo attraverso il quale può essere creata. La base biologica della memoria sta in un percorso di cellule collegate tra loro all’interno del cervello. Il team di Fields si è concentrato su come ogni cellula viene ‘accesa’ e si collega ad altre cellule. I loro esperimenti hanno dimostrato che è il modo in cui vengono stimolate le cellule del cervello che le fa ‘accendere’ e collegare tra loro. Sorprendentemente, si sono accorti che la stimolazione continuata delle cellule non le fa accendere. Le stimolazioni devono essere separate da momenti vuoti in cui la cellula non viene stimolata. La svolta è arrivata quando hanno cominciato a rendersi conto che il fattore importante era il tempo. La durata della stimolazione non era vitale, ma la distanza tra le stimolazioni sì. Questa intuizione è alla base dell’Apprendimento Intervallato.

Le Risorse e tecnologie necessarie sono:

– LIM o proiettore interattivo, eventuale device one-to-one, connessione wireless banda larga.

Infrastrutturali:

– Infrastruttura di rete, arredi flessibili in grado di permettere ai ragazzi di stare raccolti attorno

alla LIM e poi essere impegnati in prove individuali umane

– Docenti disposti a formarsi e a creare una comunità di pratica in grado di sviluppare e diffondere lo Spaced learning.

– Fondi per dotare l’aula delle attrezzature necessarie per realizzare un setting base (LIM e connessione) oppure un setting avanzato (LIM, connessione, device one-to-one e software/applicazione di gestione in rete dei dispositivi).

Lo schema di una lezione di spaced learning potrebbe essere questo:

Una lezione di spaced learning è costituita da tre ‘input‘ di 15-20 minuti separati da due intervalli di 10 minuti, durante i quali si fanno attività di distrazione, fisiche o manuali, che staccano totalmente dai contenuti della lezione (es., come nella figura sopra, modellare oggetti con il pongo)

Vediamo più in dettaglio….

1° input

Il primo input si concentra sulla presentazione da parte del docente delle informazioni ritenute essenziali. E’ consigliata la presentazione delle lezioni mediante PowerPoint ma non è indispensabile. La presentazione deve contenere le parole del linguaggio tencico che caraterizano l’argomento

Intervallo

Attività di distrazione

2° input

Il secondo input si concentra sul richiamo degli argomenti chiave, con un’intensa interazione con gli studenti. Ciò può essere realizzato usando esempi diversi dello stesso argomento o facendo completare agli studenti il testo della presentazione a cui sono state tolte alcune informazioni chiave

Intervallo

Ripresa dell’attività di distrazione

3° input

Il terzo input vede protagonisti solo gli studenti, che dovranno dimostrare la comprensione del l’argomento, applicando i dati chiave. Mentre lavorano l’insegnante si limita a stare tra loro per verificare come se la cavano.

In questo schema le cose importanti sono:

1) la successione degli input: presentare, ricordare, capire;

2) la durata della pausa di circa 10 minuti fra gli input;

3) lo svolgimento di attività di distrazione durante le pause.

Durante le 2 pause di 10′ gli studenti devono fare attività di distrazione, per evitare di stimolare i percorsi della memoria che si stanno formando. L’attività non deve avere nulla a che fare con ciò che gli studenti stanno imparando.

È consigliabile un’attività fisica di coordinazione, che usi parti del cervello che non vengono utilizzate durante l’apprendimento della lezione. Questo aumenta le possibilità che il percorso neurale “ si riposi” e formi più forti connessioni.

Alcuni tipi di attività da proporre possono essere gli origami, l’impasto e la modellazione, il ballo, oppure i palleggi. Come regola generale, pensate ad attività che gli studenti normalmente svolgono nella scuola primaria e usate quelle. Inoltre, non mancate di chiedere agli studenti cosa vogliono fare! Le loro risposte potrebbero sorprendervi.

Conclusioni

L’apprendimento intervallato riveste particolare significato nella DAD perché applica la ricerca nelle neuroscienze, e consente di apprendere molto velocemente – tanto velocemente da coprire e mantenere in memoria il contenuto di un intero modulo disciplinare in circa un’ora.

Abbiamo visto che una sessione di apprendimento intervallato consiste di tre “input”, divisi da intervalli di dieci minuti che lo studente occupa con semplici attività, come palleggiare

a canestro o modellare la creta.

Gli input contenenti il materiale didattico sono separati da due pause di 10 minuti, durante le quali gli studenti fanno attività di “distrazione”. Durante tali interruzioni, è importante evitare di stimolare i percorsi della memoria che si stanno formando. Pertanto, l’attività non deve avere nulla a che fare con ciò che gli studenti stanno imparando. Il modo più efficace per farlo è quello di effettuare un’attività fisica di coordinazione. Attività come queste usano parti del cervello che richiedono equilibrio e movimento, che non vengono utilizzate durante l’apprendimento della lezione. Questo aumenta le possibilità che il percorso neurale “si riposi” e formi più forti connessioni.

La scuola, anche in DAD, intesa come spazio vitale per bambini e adolescenti, dovrebbe disporre d’infrastrutture suscettibili di promuovere il corpo e il suo movimento e, in questo contesto, ha sicuramente un valore fondamentale.

In conclusione, se il rapporto mente-corpo trova nella corporeità una dimensione unificatrice e se, come affermato precedentemente, l’azione didattica si compie attraverso l’agire corporeo, allora è necessario tenere in debito conto della corporeità dei soggetti per progettare ambienti didattici educativa-mente efficaci. La didattica, in quanto scienza della comunicazione e della relazione educativa, è chiamata, in questo momento storico, a riflette in maniera critica sui luoghi formali dell’apprendere, interessandosi ai tempi, ai modi e agli spazi “didattici”, chiamando in causa l’agire corporeo, per progettare percorsi di insegnamento-apprendimento utili a promuovere nei soggetti conoscenze, competenze ma anche risorse personali.


Bibliografia

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Rivoltella P.C. (2012).Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende. Milano: Raffaello Cortina.
Rossi P.G. (2011).Didattica enattiva. Complessità, teorie dell’azione, professionalità docente. Franco Angeli, Milano.

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