Ocse 2017

Competenze digitali e lavoro, che può fare la Scuola

L’Italia fa ancora fatica a dotarsi di livelli adeguati di competenze sia dal punto di vista dell’offerta che della domanda. Per uscire dallo stallo serve più collaborazione tra stakeholder e proseguire sulla via delle riforme in atto, ma, soprattutto, occorre intervenire in modo sistemico sull’intero processo educativo

Pubblicato il 09 Feb 2018

Angelo Lacovara

dirigente Scolastico, USR Lazio

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Il  rapporto OCSE 2017, Getting Skills Right: Italy, fotografa ancora una volta un sistema Italia che stenta a rimanere al passo con gli altri paesi europei più avanzati nel completamento della transizione verso una società dinamica, fondata sulle competenze, malgrado l’attivazione di un ambizioso pacchetto di riforme opportunamente varato negli ultimi anni per sostenerne la crescita.

Queste riforme, che toccano concretamente il sistema educativo, il mercato del lavoro e le politiche industriali, quindi la competitività del nostro sistema economico, hanno solo avviato un processo, non breve, finalizzato a ridurre gli evidenti squilibri tra la domanda e l’offerta di competenze all’interno del mercato del lavoro.

La domanda di competenze (skills), specie nei paesi sviluppati, è fortemente condizionata dallo sviluppo demografico, dalla globalizzazione e dall’accelerante cambiamento tecnologico che inducono ad una costante rimodulazione dei processi produttivi e formativi e ad attivare stabili sintonie tra sistema educativo, mondo delle imprese e mercato del lavoro.

L’Italia, rileva l’OCSE nel suo ultimo rapporto, vive una sorta di stallo produttivo, dovuto principalmente a un livello di competenze relativamente basso, ad una debole domanda di competenze e ad un uso limitato di competenze disponibili.

Competenze, come uscire dal trend negativo

Per uscire da questo trend negativo e favorire una crescita sostenibile oltre che omogeneamente distribuita sull’intero territorio nazionale, sarà necessario che l’Italia, sempre come suggerito dall’indagine OCSE, investa maggiormente sia sull’offerta che sulla domanda di competenze e migliori l’allineamento tra le stesse.

Occorre intervenire tempestivamente per evitare che il consolidato appiattimento verso il basso dell’offerta e della domanda di competenze, denominato low-skills equilibrium, continui a danneggiare la produttività oltre che la crescita e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

A fronte invece di una significativa domanda di competenze in aree legate alle conoscenze delle nuove tecnologie e al loro utilizzo si rileva una marcata carenza nello sviluppo delle competenze informatiche necessarie per affrontare le sfide del mercato del lavoro.

La domanda di competenze di alto livello è comunque ancora debole ed è una prerogativa quasi esclusiva delle grandi imprese italiane, mentre la gran parte del tessuto produttivo (circa l’85%) costituito da imprese a conduzione familiare si contraddistingue generalmente per la presenza di un management dotato di scarse competenze e modesti livelli di skills, lavoratori con livelli di produttività più bassi e scarsi investimenti in tecnologie che richiedono alte competenze da parte dei lavoratori.

Sempre il rapporto OCSE evidenzia inoltre, per l’Italia, il fenomeno dello skills mismatch, che si sostanzia nel disallineamento delle competenze dei lavoratori con quelle richieste per compiere uno specifico lavoro. In Italia, infatti, circa il 35% dei lavoratori è occupato in lavori che non sono direttamente legati al loro percorso formativo e il 21% si ritrova in posti di lavoro per i quali sono sotto qualificati. Ciò ha ripercussioni negative anche sugli aspetti salariali.

Come riequilibrare la domanda

Il riequilibrio della domanda e dell’offerta delle competenze è quindi per l’Italia una priorità assoluta e richiede una forte reattività ai cambiamenti da parte di quanti, a vario titolo, si occupano d’istruzione e formazione e il supporto politico di istituzioni pronte ad investire sia economicamente che tecnologicamente nel settore del lavoro e dell’istruzione.

Necessita altresì che i vari stakeholder collaborino attivamente e siano coinvolti nei processi di riforma per costruire una società, all’interno della quale, la domanda e l’offerta delle competenze scaturiscano da una vision comune ed unitaria, con uno sguardo costante al più ampio contesto europeo e internazionale.

Si tratta in sostanza di porre al centro le politiche sulle competenze e di proseguire nel percorso intrapreso giungendo il prima possibile al pieno compimento delle riforme attuali, così come sollecitato dall’OCSE e come richiesto dagli stessi stakeholder coinvolti nell’indagine.

Le riforme per la scuola e l’innovazione

Nel corso degli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno introdotto nel nostro paese una serie di riforme che hanno interessato il mercato del lavoro (Jobs Act), il sistema dell’istruzione (La Buona Scuola) e il sistema dell’innovazione (Piano Nazionale Scuola Digitale e Piano Nazionale per l’Industria 4.0).

Con il “Jobs Act” si è intervenuti per cercare di ridurre le radicate criticità del mercato del lavoro introducendo contratti a tutele crescenti e limitando, nel contempo, l’incertezza sui costi dei licenziamenti.

Il piano nazionale Industria 4.0 è finalizzato a favorire il passaggio verso le tecnologie digitali nelle imprese italiane per tenere il passo con partner e concorrenti ed è composto da un insieme di misure che puntano a favorire l’innovazione e la competitività delle imprese anche attraverso nuovi investimenti e la crescita delle competenze.

La riforma della “Buona Scuola” ha introdotto invece rilevanti cambiamenti nel sistema scolastico italiano includendo anche diverse misure che mirano a migliorare le competenze. Il principio fondamentale su cui si basa la riforma è il potenziamento dell’autonomia scolastica. In base a tale principio ogni Istituto pianifica triennalmente la propria offerta formativa. Un’altra importante componente della riforma è rappresentata dall’Alternanza Scuola Lavoro, che introduce una serie di misure e rende obbligatoria l’esperienza formativa in ambienti di lavoro nell’ultimo triennio di istruzione secondaria superiore. La stessa riforma introduce anche il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), un piano varato con l’intento di rafforzare le competenze digitali degli insegnanti e degli studenti e creare luoghi innovativi per l’apprendimento.

Sempre associato alla riforma della Buona Scuola, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha varato il Piano nazionale per la formazione del personale docente, con l’intento di dare un quadro comune a tutti gli interventi formativi, valorizzare l’innovazione continua e promuovere la collaborazione e il lavoro in rete, definire con chiarezza le priorità della formazione in un arco triennale, assicurare la qualità dei percorsi formativi e creare un sistema di sviluppo professionale continuo.

Formazione e competenze dei docenti

È chiara e dichiarata l’intenzione di consolidare stanziamenti rilevanti come quelli sulla formazione dei docenti, proseguire nel coinvolgimento di figure cardine capaci di porsi e proporsi da traino all’interno della comunità scolastica, creare un ecosistema d’innovazione intorno alla scuola e fornire alle nuove generazioni le competenze per leggere il presente e pianificare consapevolmente il domani.

Appare altrettanto chiaro quanto le competenze digitali siano considerabili fattori strategici per la competitività del nostro sistema socioeconomico e, come tale, vadano implementate, sviluppate e sostenute con politiche adeguate.

La scuola non può non farsi carico delle richieste che pervengono dalla società e dal mondo del lavoro e non può ignorare o non allinearsi alle esigenze che via via si manifestano generando insanabili fratture tra mondi paralleli destinati in tal modo a non incontrarsi mai.

Il PNSD è un piano pensato per rispondere alle predette richieste, appositamente strutturato per contribuire alla costruzione di un’educazione “aggiornata” all’era digitale e capace di sostenere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. In tale ottica, come sostenuto nello stesso piano, il “digitale” diviene strumento abilitante, connettore e volano di cambiamento e gli sforzi di “digitalizzazione” andranno sempre più canalizzati all’interno di una scuola aperta e inclusiva, non più depositaria di sapere e unicamente trasmissiva: un’idea nuova di scuola, prioritariamente intesa come spazio aperto per l’apprendimento capace di porre gli studenti nelle condizioni migliori per sviluppare competenze trasversali per la vita.

Non solo tecnologie ma interventi di sistema

Non si tratta più quindi di sviluppare progettualità isolate o puntare a dispiegamenti di tecnologie all’interno della scuola come già l’OCSE, nel Rapporto del 2014, aveva evidenziato, ma di intervenire in modo sistemico sull’intero processo educativo. Si tratta di integrare fisiologicamente le tecnologie nella scuola, connotandole di quotidianità ed ordinarietà e ponendole al servizio di tutta l’attività scolastica, senza trascurare il fondamentale “rapporto umano” che scaturisce dall’imprescindibile interazione tra il docente e il discente.

È importante a tal fine che tutto il personale scolastico continui a mettersi in gioco, abbracciando le sfide dell’innovazione, aggiornando quotidianamente le proprie conoscenze e le proprie competenze attraverso specifici percorsi formativi che consentano di porre in essere quelle forme di didattica innovativa che sono alla base dello sviluppo delle competenze digitali e delle competenze trasversali richieste dalla società e dal mondo del lavoro.

Intervenire sulle competenze, così come proposto dall’OCSE, con una strategia capace di sviluppare competenze rilevanti, attivare l’offerta delle competenze, utilizzare le competenze in modo efficace e rafforzare il sistema delle competenze, sembra essere allora la via maestra per uscire definitivamente da quella sorta di impasse che ancora frena il sistema Italia.

Comunque, se risponde al vero quanto la storia propone, confermato, tra l’altro, anche dal rapporto OCSE 2017 da cui emerge che, nel confronto con gli altri paesi i lavoratori italiani mostrano ancora buoni livelli di competenza riguardo la “rapidità d’apprendimento e il problem solving”, ovvero si eccelle nella capacità di trovare soluzioni e nella capacità di apprendere rapidamente, è giunto il momento di metterlo in pratica; è giunto il momento di attivare concretamente l’enorme potenziale che ha permesso a questo popolo e a questo paese di contribuire in modo significativo all’evoluzione della civiltà, attraverso la cultura del bello e attraverso picchi di elevata genialità, universalmente riconosciuti.

È giunto il momento di riappropriarsi degnamente del nostro futuro e del futuro delle giovani generazioni.

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