COMPETENZE

Innovare la Scuola per formare i lavoratori: ecco i consigli Ocse

Dal nuovo rapporto OCSE, “Getting Skills Right: Italy”, significativi spunti di riflessione sull’evoluzione del sistema educativo nazionale e sul rapporto con il mercato del lavoro. Una proposta per il PNSD, oggi ancora fragile: farlo uscire dall’ambito “settoriale” del digitale

Pubblicato il 30 Dic 2017

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Il nuovo rapporto dell’OCSE, Getting Skills Right: Italy permette di approfondire la riflessione, fondamentale, del tipo di relazione che sussiste oggi tra sistema educativo e mondo delle imprese, e quindi mercato del lavoro nazionale. Ma anche, parallela, tra sistema educativo e sviluppo sociale, tra “scuola digitale” e cittadinanza digitale.

Il punto chiave è quello dell’innesco ormai abbastanza consolidato di un circolo vizioso per cui, come riportato dall’OCSE, la domanda di competenze di alto livello “rimane ancora troppo debole e circoscritta alle richieste delle grandi imprese italiane. Il resto del tessuto produttivo italiano – circa l’85% delle imprese italiane è di piccole dimensioni e prevalentemente a conduzione familiare – si concentra in settori tradizionali a bassa produttività in cui la domanda di competenze di alto livello è ridotta”. Nel rapporto OCSE di luglio sulle competenze per il lavoro, i dati erano chiaramente su questa direzione. Come ha sottolineato Stefano Scarpetta (Direttore per l’Occupazione, il Lavoro e le Politiche Sociali dell’OCSE): “L’Italia si trova in un equilibrio, dove offerta e domanda di competenze tendono ad appiattirsi verso il basso in un circolo vizioso che ha evidenti ripercussioni negative sulla produttività, la crescita e l’utilizzo delle nuove tecnologie”.

Il rapporto evidenzia, inoltre, come a fronte di una domanda, sebbene ancora troppo debole, di competenze tecniche, ingegneristiche, tecnologiche e matematiche, siano molti gli italiani che, invece, si specializzano in aree con scarsi sbocchi occupazionali. Circa il 35% dei lavoratori italiani è occupato in lavori che non sono direttamente legati al loro percorso formativo e il 21% si ritrova in posti di lavoro per i quali sono sovra-qualificati. Il rapporto, inoltre, evidenzia come questa situazione si leghi a una perdita salariale media di circa il 17% rispetto a chi, invece, si specializza in un’area con chiari sbocchi occupazionali e le cui competenze sono richieste dalle imprese.

Il rapporto OCSE, dando una positiva valutazione per alcune riforme sul fronte della scuola, del lavoro e delle imprese, presenta degli spunti di riflessione ed esprime alcune raccomandazioni. Fra questi:

  • l’Italia ha bisogno di creare legami più forti fra il sistema educativo e il mondo del lavoro a tutti i livelli. Nell’ambito dell’offerta professionalizzante la creazione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), basati su forti legami con il tessuto produttivo locale, e le nuove Lauree Professionalizzanti sono iniziative molto importanti per colmare il deficit di competenze tecniche in Italia ma per le quali è importante “sviluppare legami più stretti tra università e imprese fin dal loro inizio puntando sullo sviluppo di competenze professionali e tecniche di alto livello”;
  • l’Alternanza Scuola Lavoro è valutata un passo nella giusta direzione, anche se si riconosce che molte sfide rimangano aperte. Il rapporto mette in evidenza, in particolare, come sia necessario rafforzare il ruolo delle imprese nella definizione del contenuto delle attività d’apprendimento basate sul lavoro e insieme fornire ai presidi e ai dirigenti scolastici le “risorse adeguate (sia finanziarie che pedagogiche) per sviluppare contatti efficaci con le imprese su tutto il territorio nazionale”;
  • nelle imprese, soprattutto le piccole, i manager hanno competenze non sempre adeguate, per cui è necessario sviluppare programmi mirati e così anche i percorsi di riqualificazione delle competenze dei lavoratori e quelli mirati al loro aggiornamento. A questo proposito il rapporto fa notare come a fronte di una carenza forte di competenze digitali, di conoscenza di lingue straniere e di competenze trasversali, “una considerevole parte dei fondi interprofessionali (a disposizione per la formazione continua) sono stati spesso indirizzati verso lo sviluppo di competenze in aree che sono solo marginalmente collegate alle sfide dettate dal rapido cambiamento tecnologico, la globalizzazione o l’automazione”.

Quello che si evidenzia è quindi una forte separazione tra sistema educativo e mondo del lavoro, sia nelle dinamiche di inserimento che in quelle proprie della formazione continua. Nell’area delle competenze digitali il fenomeno si amplifica, perché è un ambito in cui le carenze sono diffuse a livello nazionale e anche nella forza lavoro.

E la definizione di adeguate politiche attive del lavoro non è che un altro elemento cruciale per la “sfida” italiana.

La strategia per la scuola digitale non può che collocarsi organicamente in questo quadro, attraverso a mio avviso alcune linee di indirizzo che dovrebbero essere rafforzate:

  • come anche evidenzia il rapporto, occorre una maggiore attenzione allo sviluppo professionale dei docenti, attraverso una formazione innovativa che consenta loro di poter rapidamente realizzare nel concreto quella didattica innovativa che è alla base per lo sviluppo negli studenti di competenze adeguate per il mondo del lavoro del futuro. L’Italia è certamente penalizzata da un’età media dei docenti molto elevata, per cui è necessario favorire un consistente turn-over, ma l’innovazione può essere sostenuta comunque se all’interno di un programma capillare e articolato di sviluppo delle competenze;
  • bisogna uscire dalla logica dell’innovazione attuata soltanto nell’ambito di progetti e applicare invece un approccio di cambiamento di sistema. In questo quadro, inserire a sistema l’educazione digitale dal primo ciclo alla scuola superiore diventa sempre più un punto chiave del programma di cambiamento della scuola;
  • in un contesto in cui le tecnologie diventano pervasive e allo stesso tempo si evolvono sempre più rapidamente, le competenze di base sono quelle digitali (come anche sottolineando dall’European Political Strategy Center) ma le competenze chiave sono quelle trasversali (legate alle relazioni, alla flessibilità, all’ascolto, all’esplorazione e alla sperimentazione, all’interdisciplinarietà e alla multiculturalità). Questo significa che tutti i percorsi formativi devono essere progettati in quest’ottica, sia in ambito scolastico che lavorativo. In altri termini, il sistema educativo nazionale deve essere sviluppato in quest’accezione ampia e disporre di una governance, in questo senso, coerente. Multistakeholder (scuola, università, imprese, amministrazioni, istituzioni, società civile), e con ecosistemi che possano valorizzare sia le specificità del territorio sia le esigenze di una specializzazione settoriale e professionale.

Da questo punto di vista, mettere il sistema educativo al centro delle politiche nazionali diventa chiaramente una necessità, così come sta diventando chiave a livello europeo. 

Ed è per questa ragione che lo sforzo necessario che è utile produrre verso il Piano Nazionale Scuola Digitale sembra sempre più quello di alzare l’ambizione, uscendo dalla nicchia del “digitale”, che condanna il PNSD ad una percezione di parzialità, settorialità, quasi da area “accessoria”, oltre ad una fragilità di attuazione che è conseguenza di una pervasività finora mancata nella formazione dei docenti e nella didattica, oltre che di una governance non abbastanza definita e sviluppata. Programma di trasformazione e innovazione della didattica, invece, e quindi tale da guidare lo sviluppo di una nuova scuola, con nuove competenze dei docenti per le competenze chiave richieste ai nuovi cittadini, rendendolo punto di riferimento irreversibile. E anche laboratorio e motore del sistema educativo nazionale.

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