Il ricorso alla Didattica a Distanza, nell’emergenza pandemica, ha evidenziato due aspetti fondamentali:
- la classica metodologia di insegnamento trasmissivo, da sola, non risulta in linea con le caratteristiche dell’attuale società;
- la tecnologia (e l’educazione) digitale non può essere relegata a un ruolo marginale.
Diventa fondamentale allora un rinnovamento delle metodologie didattiche, alcune delle quali possono essere riproposte e rinvigorite con l’ausilio di strumenti di natura digitale, più immediati e stimolanti.
Di seguito saranno analizzate: la lezione segmentata, il project based learning, il digital storytelling.
La pandemia
In questi 18 mesi la pandemia ha messo tutti a dura prova sia come individui che come parte della collettività; ma a farne le spese in maniera massiccia sono state sicuramente le nuove generazioni, dall’infanzia all’università, sia dal punto di vista educativo che della socialità. Ad esempio, mia figlia, ormai ventenne, ha più volte palesato la sua malinconia mista ad amarezza chiedendo a noi adulti chi le restituirà questi anni della sua vita.
Le istituzioni educative, nel loro compito anche di aggregazione, hanno dovuto, per forza di cose, avvalersi delle tecnologie digitali per garantire l’istruzione, la formazione e il “contatto” attraverso soluzioni di didattica e apprendimento a distanza.
Didattica a Distanza: resistenze e perplessità
La scelta della didattica a distanza ha generato discussioni quasi quotidiane in quanto non condivisa da molti, a cominciare dagli interessati, anche a causa delle prime indicazioni ministeriali che si sono susseguite provocando incertezza in ogni scelta organizzativa; ma è stato l’unico modo per non spezzare un legame di continuità e relazione, seppure da remoto, tra docenti e studenti.
Un importante insegnamento, in passato poco o nulla considerato, è ritornato prepotente: la tecnologia (e l’educazione) digitale non può essere relegata a un ruolo marginale e avulso, ma rientra a pieno titolo nell’intero sistema di istruzione e formazione.
Essa può e deve rappresentare un elemento trascinatore per insegnare e apprendere in modo collaborativo e creativo; ciò impone che gli insegnanti, ai vari livelli, si approprino delle necessarie competenze e abilità.
È innegabile che il sistema scolastico abbia fatto uno sforzo immane per senso del dovere, mettendo in campo capacità e sensibilità che hanno cercato di sopperire alla carenza di proposte pedagogiche finalizzate all’insegnamento online.
L’impiego forzato della tecnologia per e nell’apprendimento ha fatto affiorare un nuovo approccio organizzativo nell’insegnamento e nella interazione con gli studenti; purtroppo, in maniera più netta nella scuola secondaria, sono state mantenute le metodologie trasmissive: nella DAD si è trasposto il collaudato metodo d’insegnamento tradizionale, reiterando le stesse lezioni e gli stessi contenuti come se si fosse stato in presenza.
Non tutti i docenti, infatti, hanno avuto la possibilità di portare avanti un percorso adeguato al nuovo contesto non avendo avuto, questo già prima del lockdown, strumenti e background in grado di assicurare una didattica più blended.
L’eredità della Didattica a Distanza
La “rivoluzione” causata dalla DAD, ma anche dalla didattica digitale integrata, ha evidenziato le insufficienze organiche del sistema scolastico (sia chiaro non solo nel nostro Paese) e ha palesato il valore portante della transizione digitale, la quale deve essere sorretta dalle infrastrutture e, ancora più imprescindibile, dal rinnovamento delle metodologie didattiche per superare il classico modello trasmissivo.
Alcune metodologie non sono nate ieri, anzi, ma è sempre stata privilegiata la tradizionale e collaudata strategia di insegnamento-apprendimento basata sulla lezione frontale e trasmissiva.
L’emergenza pandemica ha evidenziato quanto tale metodologia di insegnamento non risulti in linea con le caratteristiche dell’attuale società della conoscenza.
Ma quali sono queste metodologie, alcune delle quali consigliate dallo stesso Ministero dell’Istruzione? Vediamone alcune.
La lezione segmentata
Chiunque si occupi di formazione sa che la capacità di attenzione dei discenti è limitata nel tempo: dopo circa venti minuti dall’inizio di una lezione si avvertono evidenti cali dell’attenzione; inoltre la nostra mente non è avvezza a elaborare un flusso continuo di nozioni, bensì suddivide l’informazione ricevuta in segmenti (chunks) o pacchetti.
Affinché siano garantiti il pieno coinvolgimento e la continua interazione con gli studenti le lezioni necessitano di ritmi rapidi e ben scanditi, intervallando i momenti trasmissivi con attività che consentano la rielaborazione e l’applicazione delle conoscenze acquisite (il cosiddetto apprendimento attivo).
Partendo da questi presupposti, il modello della Lezione Segmentata[1] consiste nella suddivisione della lezione (55/60 minuti) in segmenti didattici, della durata di massimo quindici minuti, che potrebbero essere così strutturati:
(P) – Richiamo delle preconoscenze sull’argomento della giornata (cinque minuti);
(L) – Lezione vera e propria diretta dal docente (dieci o quindici minuti);
(A) – Attività con studenti divisi in coppie o piccoli gruppi (dieci o quindici minuti);
(R) – Fase di restituzione (cinque minuti);
Nuovo segmento L+A+R (non più di venti minuti);
(C) – Conclusione dell’incontro (cinque minuti).
La lezione diretta dal docente (L) deve mantenere un certo grado di complessità senza semplificazioni sproporzionate: una corretta segmentazione, infatti, deve fornire un quadro d’insieme rigoroso per poi procedere con approfondimenti via via successivi.
L’efficacia di una lezione dipende fortemente dalle attività svolte in prima persona dagli studenti (A), ovvero dal tempo dedicato al cosiddetto apprendimento attivo: è fondamentale favorire la discussione e l’interazione tra pari.
Sono svariate le attività di breve durata utili per sviluppare un sano apprendimento attivo:
- assegnazione di esercizi, anche a tipologia aperta, da svolgere in gruppo con la supervisione dell’insegnante;
- creazione di mappe o tag-cloud per fissare meglio i concetti fondanti;
- discussione aperta su un determinato argomento;
- esercizi individuali o di gruppo per rafforzare le abilità metacognitive.
È quanto mai opportuno favorire un lavoro interattivo integrando il tutto con risorse digitali: slide, video, bacheche virtuali, wiki, quiz interattivi; il digitale non deve essere visto come uno strumento per “tenere sveglia” la classe, ma un ausilio agile e coinvolgente per favorire la partecipazione di tutti al lavoro d’aula.
Da non sottovalutare infine la fase conclusiva (C): una, seppur breve, valutazione formativa, tramite post-it o messaggi nella bacheca virtuale, consente di identificare i punti di difficoltà o di forza. Analizzando i feedback acquisiti si potrà orientare l’incontro successivo e determinare una eventuale suddivisione in gruppi omogenei.
Digital storytelling
Lo storytelling (narrazione) è una pratica didattica, da anni consolidata, molto efficace ai fini dell’apprendimento: raccontare storie è un’attività naturale, nota fin dai primi anni di vita, che ingloba processi cognitivi, comunicativi e relazionali.
Per tale motivo l’utilizzo dello storytelling nella didattica avviene molto spesso anche inconsapevolmente, proprio perché rientra negli usuali schemi di comunicazione sociali.
Il digital storytelling incarna il metodo classico della narrazione attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie comunicative (grafica, audio, video e web publishing) per raccontare storie, consentendo modalità espressive composite e inclusive.
Già nel 2017 la Commissione Europea, nel DigComp 2.1, lo ha incluso, per le competenze digitali richieste nel creare una narrazione, tra le tecniche per la promozione delle competenze digitali: l’impiego creativo dei media facilita l’apprendimento.
Il Digital Storytelling, per sua natura, si appropria e sfrutta metodi diversi: Learning by Doing, Cooperative Learning, Critical Thinking e Problem Solving; per tale motivo può essere applicato in ogni disciplina sia per la realizzazione di contenuti che per migliorare le competenze comunicative.
Gli studenti sono “costretti” a diventare sceneggiatori, registi e attori di contenuti, piuttosto che semplici e acritici consumatori.
Come si progetta una storia digitale
Ma come si progetta una storia digitale? Può sembrare una cosa semplice, in realtà occorre un’attenta e meticolosa pianificazione delle operazioni da svolgere; a tale proposito è utile far riferimento all’esperta statunitense Samantha Morra[2], che ha proposto otto step:
- Start with an Idea
Definire l’idea iniziale: l’argomento di una lezione, il contenuto di un libro di testo, una problematica sorta in classe. - Research/Explore/Learn
Ricercare, raccogliere, studiare gli elementi utili sui quali sarà costruita la narrazione verificandone l’attendibilità. - Write/Script
Scrivere la storia scegliendo uno stile e un modello di narrazione sulla base del materiale recuperato. - Storyboard/Plan
Scrivere una vera e propria sceneggiatura, definendo la tipologia e il numero di media che saranno utilizzati. - Gather and Create Images, Audio and Video
Raccogliere e realizzare gli elementi multimediali: ciò che viene scelto determinerà l’impatto e il tono della storia. - Put It All Together
Assemblando il tutto si scoprirà se lo storyboard deve essere migliorato o se occorre sviluppare altri contenuti. - Share
Condividere un lavoro con un pubblico sufficientemente ampio motiva gli studenti a perfezionarlo il più possibile. - Reflection and Feedback
Alla fine occorre da un lato riflettere sul risultato ottenuto dal proprio lavoro e dall’altro fornire ai colleghi feedback costruttivi.
Project Based Learning
La didattica di tipo trasmissivo è basata su aspetti ben definiti, in quanto sono determinati a monte il programma da svolgere, i tempi necessari e i metodi da utilizzare, indipendentemente dal contesto e dal gruppo classe.
Una didattica per competenze rappresenta la risposta a un nuovo bisogno di formazione di giovani che nel futuro saranno chiamati sempre più a reperire, selezionare e organizzare le conoscenze necessarie a risolvere problemi di vita personale e lavorativa.[3].
Lo sviluppo di un progetto o di un compito di realtà cambia radicalmente la prospettiva della classe; essa diventa un laboratorio dinamico di progetti tesi a sviluppare apprendimenti in termini non tanto di conoscenze quanto e soprattutto di competenze.
L’Apprendimento Basato sul Progetto (Project Based Learning – PBL) è un modello di insegnamento e apprendimento, centrato sullo studente, basato su esperienze complesse, orientate al raggiungimento di un obiettivo specifico.
I progetti sono compiti complessi ad ampio respiro temporale e coinvolgono collaborativamente gli studenti nella progettazione, nella risoluzione di problemi e nel processo decisionale; gli allievi hanno in tal modo la possibilità di acquisire autonomia e responsabilità, apprendendo in modo significativo,
Le fasi nel processo di apprendimento di tipo PBL possono essere le seguenti (Savoie e Hughes).
- Individuare una problematica adatta agli studenti;
- Collegare il progetto al mondo e alla realtà degli studenti;
- Organizzare il tema delle lezioni attorno al progetto, possibilmente in maniera multidisciplinare;
- Consentire agli studenti di modellare la propria esperienza di apprendimento, pianificando il processo di risoluzione del problema;
- Creare gruppi anche eterogenei e incoraggiare la collaborazione tra pari;
- Poiché i progetti culminano con la realizzazione di prodotti autentici, richiedere che ogni allievo presenti i risultati del proprio percorso attraverso media digitali.
Note
- https://insegnareindigitale.zanichelli.it/che-cos-e-la-lezione-segmentata ↑
- https://samanthamorra.com/2013/06/05/edudemic-article-on-digital-storytelling/ ↑
- https://www.istruzione.it/piano_docenti/allegati/29-32.pdf ↑