Le Università del Veneto e del Friuli Venezia-Giulia hanno sospeso i corsi frontali dal 24 febbraio. Studentesse e studenti si sono trovate così in un periodo di isolamento da prima dei loro famigliari e dal resto d’Italia. Hanno sviluppato per primi atteggiamenti e abitudini, nei quali hanno potuto accompagnare e dare suggerimenti agli adulti. Abbiamo esplorato assieme a loro, coautrici e coautori di queste riflessioni, come è cambiato il loro mondo ai tempi del COVID-19.
L’ambiente domestico è diventato un intrecciarsi di dispositivi e pratiche digitali, che hanno reso opaco il confine tra pubblico e privato.
Isolamento forzato e strumenti di comunicazione digitale
L’isolamento forzato imposto per motivi sanitari ha rappresentato l’estrema concretizzazione di questo fenomeno, che ha avuto però inizio da lontano e non soltanto con i media digitali.
I mezzi di comunicazione elettronica avevano già portato in pubblico molti aspetti privati della vita dei leader politici, di genitori rappresentati in sitcom o anche segreti che si celavano nella separazione di genere. Questo ha contribuito alla riduzione di autorevolezza dei politici, ad una emancipazione e contestazione da parte dei giovani verso gli adulti e a movimenti femministi, almeno secondo il modello di Meyrowitz, per il quale per l’intrusività dei media elettronici applicata alla comunicazione di massa non solo ha portato alla ribalta la sfera privata di personaggi pubblici, ma ha messo in crisi lo stesso senso di luogo.
Con l’avvento dei social media anche le persone comuni hanno potuto trovare un loro palcoscenico tendenzialmente pubblico, nel quale riservare, aspetti delle loro vite private fino a spostare il concetto di stima che una persone percepisce di sé in direzione dei like che riceve (estimità) e di far condividere nei social diversi aspetti del quotidiano, anche momenti di intrattenimento – da esibire – o prestazione sportive – da confrontare – con altri e ridurre così gli spazi di intimità fino a comportamenti ossessivi e compulsivi indotti da processi gratificatori dopaminici che si possono trasformare in vere e proprie dipendenze.
L’isolamento coatto ha rappresentato un vortice che ha risucchiato e concentrato in un unico spazio, quello privato domestico, una miriade di attività pubbliche: lavoro, negozio, socializzazione, educazione, intrattenimento, associazionismo e incontro di persone. I media digitali sono diventati così l’unica finestra sul mondo, non solo per comunicare o per intrattenimento – salto ormai compiuto da tempo – ma attraverso lo smart working, la teledidattica e le videochiamate, sono oggi lo strumento e lo spazio digitale dove viviamo il mondo, il nostro lavoro, la formazione e si mantengono attive relazioni tra le persone che non convivono lo stesso spazio abitativo.
Le esperienze
L’esperienza di studentesse e studenti, vissuta come apripista, ci viene comunicata da Giulia: «A differenza dei miei amici o dei miei familiari che ancora lavoravano e svolgevano una vita regolare, mi sono trovata per prima a dover affrontare la noia, a veder sgretolare davanti agli occhi i piani futuri e a dover ricalibrare la propria vita in base a queste restrizioni. Per certi versi sono stata un punto di riferimento per quei cari che ancora non sapevano gestire la situazione a cui ho dato consigli su come trascorre il tempo in casa oppure semplici parole di conforto e motivazione».
Anna, ad esempio, è riuscita a vincere lo sconforto riscoprendo la musica: «ciò che ho apprezzato maggiormente è stata l’iniziativa di diversi amici musicisti nel condividere con maggiore frequenza “pillole di musica”, come videolezioni di qualsiasi tipo (dallo strumento al linguaggio musicale e ai consigli per migliorare), incontri di discussione su specifiche tematiche musicali e concerti in diretta sui social network con lo scopo di sopperire alla mancanza di concerti dal vivo e di utilizzare il potere della musica come collante emotivo e sociale, soprattutto in una situazione di crisi come questa».
Paradossalmente, se le attività con i dispositivi, incluso lo smart working (per le corsiste che lavorano, altrimenti vigono le stesse modalità anche per i tirocini professionalizzanti), allontanano e permettono di non pensare alla situazione, sono gli stessi strumenti di distrazione a ricondurre alla drammaticità dell’evento. Questa è la rappresentazione che offre Federica: «È come se i media mi dessero allo stesso tempo un senso di distacco dalla realtà e di avvicinamento ad essa. Da un lato mi permettono di chiudermi per qualche ora in un mondo diverso, per dimenticare lo scenario drammatico mondiale; dall’altro, forniscono continuamente notizie, siano esse vere o false, sugli avvenimenti che si manifestano costantemente riguardo al Covid-19». Luca, sullo stesso tema: «Attualmente sono talmente impegnato tra lezioni e studio da non rendermi conto della situazione molto grave che stiamo vivendo. Solo le informazioni e le immagini che vengono trasmesse dai media mi riportano alla crudele realtà e ai disagi che ne conseguono sia dal punto di vista umanitario che da quello economico».
La continuità interattiva attraverso il mezzo, di carattere informativo, relazionale e performativo, ha fatto sì che il cellulare diventi una specie di appendice corporea, quasi definitiva, dalla quale neppure in casa ora si staccano. Così dal contributo di Maria: «lo smartphone è diventato indispensabile e quasi non riesco a girare per casa senza averlo in mano o in tasca, essendo l’unico mezzo per poter mantenere i contatti al di fuori della sfera domestica non riesco a separarmene, stando quasi aggrappata nell’attesa di ricevere un qualche messaggio. Inoltre, il tempo dedicato allo svago è triplicato, per cui molto spesso scorro la sezione notizie di Facebook o guardo le storie di Instagram, senza prestare grossa attenzione ai contenuti ma semplicemente per occupare il tempo».
Un altro aspetto rilevante è proprio la scansione del tempo, attraverso le diverse attività con i media, per «usare il tempo in maniera produttiva. In generale, la mattinata la passo a seguire le lezioni universitarie online, mentre il pomeriggio lo dedico principalmente all’esercizio fisico e alla lettura. Mi capita anche spesso di cimentarmi in nuove ricette e devo dire che in questo periodo la mia arte culinaria si è affinata molto», racconta ad esempio Giulia “2”. E sempre il tempo è al centro della riflessione di Francesca: «Credo che questa situazione stia portando tutti noi a riconsiderare la nostra vita quotidiana in un’ottica slow, meno frenetica. Troppo spesso le nostre giornate erano caratterizzate da ritmi serrati, fra lavoro, vita privata, impegni e commissioni di ogni sorta. Aver dovuto rallentare, metterci in pausa, ci sta facendo riscoprire hobby accantonati per la mancanza di tempo, nuove passioni e interessi».
E ovviamente emerge la competenza relazionale: sospesa la corporeità, non solo si curano le relazioni più intense, ma vengono riscoperte quelle trascurate: «Per me è importante mantenere le relazioni sociali e adesso trovo molto utili le videochiamate dato che, non potendo avere un contatto fisico con l’altro, si può perlomeno mantenere un contatto visivo. Solitamente la sera videochiamo il mio fidanzato e gli amici e diciamo che con le videochiamate di gruppo è come se fossimo realmente tutti assieme, si scambiano battute e l’atmosfera si fa più allegra e serena», dalla voce da Giulia 1. Condivisa da Federica: «abbiamo notato come, di giorno in giorno, facciamo diverse videochiamate per sentire amici e parenti persi da tempo».
Interazioni che permettono di confrontarsi sulle conseguenze del virus con amici nel mondo, come nel caso di Marianna: «Osservando i profili social o parlando con alcuni amici del Perù, ho notato che con un lieve ritardo si sono verificati sia gli assalti ai supermercati che i contrasti tra chi afferma che il Coronavirus sia solo una comune influenza e chi il contrario, ma anche la creazione di meme e contenuti ironici identici a quelli che circolavano sui profili Facebook dei miei amici italiani, solo in lingua diversa». Attraverso questi contatti, Myriam ha seguito un’amica che pare essersi ammalata proprio di Coronavirus: «verso le 18.30 solitamente faccio un video-aperitivo con gli amici, i quali mi mancano un sacco ma noto che insieme riusciamo a divertirci anche a distanza e questo mi rende felice. L’ultima volta, una delle mie amiche non è stata presente alla videochiamata in quanto stava poco bene, infatti ha avuto dei sintomi quali febbre, mal di gola e tosse. Per questo motivo, assieme ai suoi genitori, ha deciso di isolarsi in camera sua e mi ha raccontato di avere avuto molta preoccupazione e paura ma, nonostante ciò, cercava di essere positiva, razionale e di seguire i consigli dei medici. Nel frattempo, non si è annoiata molto perché ha cercato comunque di intrattenersi guardando la televisione e ha suonato il suo strumento per non perdere l’allenamento. Non ha sofferto molto la solitudine della sua camera, anche perché comunque era sempre in contatto con i suoi genitori. Adesso sta molto meglio, la paura è diminuita ed è molto fiduciosa rispetto a ciò che verrà».
Gli aspetti di corporeità mancano, e sicuramente per riprenderli e gestire le emozioni derivanti servirà del tempo, mancano i calori degli abbracci. Ne parla ancora Giulia 2: «Ciò che non può offrirci la rete però è il calore umano, il piacere di un abbraccio, l’intesa di uno sguardo o il significato di un silenzio. Questa forse è la cosa che più mi manca in questa quarantena e che non vedo l’ora di riscoprire quando tutto sarà finito».
Nonostante alcune difficoltà, come quelle vissute da Michelle che scrive «Dormo male perché passo troppo tempo sugli schermi» che vengono superate in maniera attiva facendo «yoga per cercare di allontanarmi dalla vita sedentaria», possiamo aggiungere, sempre con le sue parole: «In generale, comunque quasi tutte le persone che conosco stanno vivendo la quarantena in maniera molto proattiva, inclusa mia mamma che ha pulito la soffitta dopo letteralmente 10 anni o i miei amici che si trovano su Skype per fare sport o aperitivi insieme».
Una grande resilienza, attraverso le tecnologie per comunicare, è il grande insegnamento che ci trasmettono i giovani: «Credo sia importante dal mio punto di vista non perdere di mente il proprio obiettivo, ciò che vorremo essere o diventare e continuare a lavorarci nonostante questa situazione. Gli strumenti che abbiamo a disposizioni e che ci offre la rete sono infiniti e dobbiamo cercare di sfruttarli al meglio» (Giulia 1).
Attraverso la grande disponibilità a collaborare a questa ricerca preliminare, le studentesse e lo studente, contribuendo, hanno messo in luce una grande voglia di guardare, insieme, avanti e di farlo implementando al meglio le loro competenze digitali e di condividerle con gli adulti in prossimità.
Conclusioni
Percorso iniziale che ha già seminato diversi indizi, da approfondire:
- la concentrazione in un unico spazio, quello privato domestico, di una miriade di attività pubbliche (lavoro-tirocinio, educazione, intrattenimento ed incontro di persone)
- la casa condensa il soddisfacimento dei bisogni primari ed il canale digitali quelli secondari
- l’umanizzazione di molti elementi lavorativi ed istituzionali, per l’osmosi, anche visiva di particolari intimi e comuni, dettagli degli interni, della famiglia e persino dell’impossibilità di curare aspetti del corpo resa visibile in video conferenza
- la speranza che ci si sposti così dalla centralità di valori edonistici in direzione della riscoperta di valori come l’essere maggiormente padroni del proprio tempo, di curare le relazioni e interessi maggiormente culturali.
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Articolo in collaborazione con i seguenti studenti dell’insegnamento di Comunicazione Mobile del Corso di Laurea magistrale in Comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni, Università degli Studi di Udine, sede di Gorizia:
Alessia Micelli
Anna Tamburlini
Federica Vassallo
Francesca Michelini
Giulia Pellegrini
Giulia Pettenuzzo
Luca Soica
Maria Mattaloni
Marianna Delli Zuani
Michelle Coan
Myriam Cattonar