la riflessione

Scuola, basta col mito delle competenze digitali: stiamo dimenticando la cosa più importante

Per recuperare il gap nei confronti degli altri paesi europei si parla insistentemente di competenze digitali, ma il rischio per docenti e studenti è quello di affogare nel digitale, senza davvero comprenderlo. Obiettivo della Scuola è invece formare cittadini consapevoli, attivi e che abbiano spirito critico

Pubblicato il 21 Set 2018

Alessandro Bencivenni

Docente, Animatore Digitale, formatore

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Si parla con sempre più insistenza di competenze digitali per la cittadinanza, ma ancora poco niente si è riusciti a fare contro il dilagante analfabetismo informatico di studenti e insegnanti, che rischiano di annegare nell’Oceano digitale. Vediamo perché questa metafora.

Imparare a nuotare nell’Oceano digitale

Da quasi un anno è uscita la versione 2.1 del DigiComp, l’aggiornamento del quadro di riferimento delle competenze digitali che ogni cittadino europeo deve possedere per poter esercitare pienamente la propria cittadinanza in ambito professionale, sociale ed umano.

Al di là delle 21 competenze descritte all’interno delle cinque aree, su cui – giustamente – ci si è molto concentrati, forse non si è troppo riflettuto sull’azzeccatissima immagine del nuotatore che illustra gli 8 livelli di padronanza che descrivono la maniera in cui sappiamo mettere in atto una determinata competenza. “Imparare a nuotare nell’Oceano Digitale”, questo il titolo dell’illustrazione, fa vedere una ragazza che dapprima mette i piedi nell’acqua, poi s’immerge, impara ed inizia nuotare, col tempo insegna lei stessa a nuotare agli altri, fino ad arrivare ad inventare nuovi modi di solcare l’oceano.

Prendiamo adesso in esame i due principali attori della scuola italiana: insegnanti e studenti. Mantenendo la metafora dell’oceano, entrambi rischiano di affogare.

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Gli insegnanti

Partiamo con gli insegnanti. La Commissione Europea, conscia dell’importanza della scuola per lo sviluppo delle competenze digitali per la cittadinanza, rilascia – ormai più di un anno fa – il DigiCompEdu, ovvero il quadro di riferimento per i docenti e gli educatori in generale. Antonio Fini in questo articolo ne analizza con lucidità le varie caratteristiche e come sintetizza in chiusura: “il DigCompEdu presenta aspetti decisamente innovativi (ad esempio l’attenzione alle tecniche di ricerca educative e al benessere digitale) rispetto ai modelli più orientati sulle abilità tecnologiche”. Il nucleo più corposo di competenze si trova infatti sotto l’etichetta delle “Competenze Pedagogiche”, che vanno dal saper selezionare i giusti strumenti digitali, utilizzarli, valutare il lavoro degli studenti fino alla loro valorizzazione.

Il DigiCompEdu e i livelli di competenza

In questo anno però ci si è molto concentrati sulle competenze descritte all’interno del framework – sebbene in molti, come Gianfranco Marini, abbiano gridato a gran voce che “l’uso efficace del digitale nell’insegnamento e nell’apprendimento non si può ridurre alle sole competenze”, ma deve tener conto anche di conoscenze e capacità – tuttavia pochissimo si è fatto per capire il livello di ognuno, ovvero quello che tecnicamente si chiama “Proficiency Level”. Il DigiCompEdu parla appunto di Livelli di Competenza utilizzando le stesse sigle che si usano per le Lingue Straniere (A1, A2, B1, B2, etc.). Ritornando alla metafora del nuoto, è impossibile che un docente che non sa stare a galla possa insegnare a farlo ad uno studente. Prendiamo ad esempio dal DigiComp 2.1 la competenza “Valutare dati, informazioni e contenuti digitali”. Quanti docenti sanno davvero “Analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti di dati, informazioni e contenuti digitali”? È scoraggiante, se non preoccupante, guardare le bacheche Facebook o gli account Twitter di docenti che condividono bufale e/o fake news senza rendersene conto. Possiamo scrivere su tutti i framework del mondo che debbano essere in grado di riconoscerle, ma cosa si farà per insegnargli a farlo autonomamente; e come potranno capire di aver raggiunto un livello di competenza tale da poterlo insegnare a loro volta? Allo stato attuale ci si affida all’autovalutazione, ma questa entra in campo quando si fa una riflessione seria sull’argomento e, purtroppo, la maggior parte della categoria non è conoscenza del DigiComp, figuriamoci del DigiCompEdu.

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Gli studenti

Per gli studenti la faccenda si complica ulteriormente, poiché vengono da almeno una mezza dozzina di anni in cui si è ripetuto fino allo sfinimento che erano “Nativi Digitali”, quindi abilissimi con schermi, tastiere e qualsiasi altro strumento tecnologico. La realtà è che insieme alla competenza digitale, quindi il come si usano gli strumenti, dovremmo concentrarci sul dilagante analfabetismo informatico, ovvero il saper usare gli strumenti tout court, soprattutto legato a dispositivi che non siano mobili. I giovani e giovanissimi sanno come funzionano smartphone e tablet, spesso in maniera basica e limitandosi ad usarli per la comunicazione, ma ignorano l’uso corretto di una tastiera di un computer, non sanno cosa sia Internet e vanno poco oltre il copia/incolla. Le nuove generazioni scontano il fatto di vivere in un paese dove soltanto il 29,5% degli abitanti è capace di superare abilità informatiche elementari, contro la media europea del 59%. Un gap così evidente non si colma di certo sperando in una generazione di autodidatti.

Oltre a questo il rischio è, come si diceva, che gli insegnanti non si rendano conto del livello di competenza degli alunni e gettino in acque profonde chi non sa nuotare, convinti invece di avere tra le mani un olimpionico di stile libero. L’entusiasmo di nuove frontiere della didattica, legate al coding, alla robotica, all’immersività, rischia di farci perdere la visione d’insieme, che passa necessariamente dai livelli di competenza dei soggetti coinvolti. Mai come adesso è necessaria una visione olistica, frutto di una formazione strutturata e non lasciata all’iniziativa dei singoli. Quella delle competenze digitali per la cittadinanza è una sfida vera e propria per il Paese.

La ripartenza potrebbe essere una serie di azioni di formazione che si sviluppino a partire dal Sillabo per lo sviluppo per l’Educazione Civica Digitale, il quale è stato costruito con oltre 100 organizzazioni tra istituzioni, mondo accademico nazionale ed internazionale, società civile e altre organizzazioni. Si tratta di un documento che ha al suo interno ottimi spunti, e nel sito di Generazioni Connesse che lo ospita si trovano anche schede didattiche, ma che purtroppo mancano d’indicazioni su come intervenire a seconda del Proficiency Level (vengono indicati semplicemente gli ordini di scuola) e su come possano formarsi quei docenti che sono completamente digiuni o quasi dei concetti legati al sillabo stesso.

Se la scuola italiana non troverà il modo di mettere a sistema l’Educazione Civica Digitale, perderà la sfida per la formazione di cittadini consapevoli, attivi e che abbiano spirito critico.

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