La recente diffusione della pandemia COVID19 ha avuto un enorme impatto sulla società e ha contribuito ad accelerare la digitalizzazione di molte attività legate alla Sanità digitale. Tra queste si è vista, nelle ultime settimane, una crescita esponenziale delle app di tracing per dispositivi mobili utilizzate per contenere la diffusione dei contagi che ha creato non pochi dibattiti su tematiche a cavallo tra la protezione dei dati, l’etica e la salute pubblica. Vediamo l’effetto delle app adottate nell’Africa Sub-sahariana.
Contact tracing: i rischi nei paesi in via di sviluppo
Nei paesi in via di sviluppo, spesso, le persone condividono il cellulare con i membri della famiglia o lasciano il telefono in carica in stazioni di servizio insieme a dozzine di altri cellulari. Inoltre, in contesti dove le conoscenze tecnologiche sono esigue o le infrastrutture non sono in grado di garantire l’adeguata copertura, una tecnologia che si basa sulla prossimità dei cellulari potrebbe non risultare efficace.
Infatti, nonostante l’uso dei telefoni cellulari sia aumentato notevolmente negli ultimi anni, il rischio rimane quello che le fasce più vulnerabili (in termini di età, educazione, livello economico, etc…) rimangano escluse invalidando l’utilità del contact tracing stesso.
Inoltre, specialmente in paesi già devastati da guerre o disastri, il rischio che queste app possano essere utilizzate con fini diversi dal contact tracing, come ad esempio per operazioni di sorveglianza illegali che avrebbero severe conseguenze umanitarie, abbassa la fiducia della popolazione nei promotori di questo tipo di progetti.
Una delle conditio sine qua non per assicurare il rispetto dei principi umanitari è includere, già dalla progettazione dell’app, un protocollo di decentralizzazione dei dati per cui la maggior parte dei dati sensibili rimanga sul cellulare dell’utente. Questo protocollo, proposto dal consorzio DP-3T, è già stato adottato ad esempio dalla Croce Rossa Australiana ed è supportato dall’iniziativa congiunta Apple/Google.
Le iniziative della comunità internazionale
Già prima dell’emergenza COVID19, la fondazione GSMA si adoperava per mettere la tecnologia mobile a disposizione delle comunità più emarginate grazie sia all’impegno di più di 750 operatori telefonici e 400 aziende in tutto il mondo che dei fondi per la cooperazione per lo sviluppo inglese (UKAid e DFID). La recente pandemia ha ulteriormente accelerato gli sforzi per il raggiungimento dell’obbiettivo di rendere accessibili a più di 7 milioni di persone servizi essenziali per la salute e la sussistenza durante le crisi umanitarie grazie al progetto “Mobile for Humanitarian Innovation” (M4H). Questo progetto ha permesso, ad esempio, di rendere più stabili le reti mobili in paesi in via di sviluppo che, a causa della pandemia, hanno registrato una crescita vertiginosa del traffico (voce fino al 50% e dati fino 30%) e, di conseguenza di garantire l’accesso della popolazione a informazioni sanitarie essenziali.
In Kenya, ad esempio, M4H si affianca ai governi nella risposta al COVID19 fornendo linee gratuite per le hotline di emergenza e spazio nei call center per operatori sanitari che forniscono una prima linea di triage per potenziali pazienti (Safaricom).
In Rwanda, invece, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), appoggia il governo nel piano di risposta al Coronavirus attraverso l’uso di robotica e intelligenza artificiale per migliorare e velocizzare l’analisi dei tamponi e rafforzare la sorveglianza epidemiologica.
In Senegal, dove il primo contagio fu registrato ufficialmente il 7 Marzo e attribuito a una persona proveniente dall’Italia, grazie all’impiego immediato del contact tracing è stato possibile risalire a un cluster di 20 casi e evitare quindi la diffusione del contagio e il collasso del sistema sanitario nazionale.
In maniera analoga, anche il governo del Ghana ha di recente lanciato la “COVID-19 Tracker App” per tracciare i contatti delle persone infette, registrare i loro ultimi movimenti e metterle in rapido contatto con il personale sanitario adeguato. Molti dubbi però sono emersi sulla sicurezza dei dati e sulla privacy in quanto l’app potrebbe registrare anche la necessità di una persona di rimanere in quarantena e controllare, attraverso una piattaforma integrata dei vari gestori di telefonia, che questa venga effettivamente eseguita.
Anche i ricercatori dell’università di Cape Town, Sud Africa, hanno sviluppato un’app basata su GPS e Bluetooth che genera un codice QR verde, giallo o rosso che può essere mostrato quando richiesto. Le preoccupazioni in questo caso, oltre alla privacy, sono anche lo stigma sociale e la sicurezza personale delle persone infette.
Le linee guida dell’OMS
L’OMS, con un occhio di riguardo alle considerazioni etiche e basandosi sull’esperienza acquisita durante l’emergenza ebola, ha pubblicato precise linee guida tecniche e si sta preparando a lanciare la propria app di contact tracing che dovrebbe essere presto disponibile gratuitamente ai governi. Questa app, oltre a permettere alle persone di controllare i propri sintomi, fornirà anche una lista di contatti locali per effettuare test e tamponi e opzioni di supporto psicologico.
Da quanto analizzato, risulta evidente che non ci sono risposte o azioni che siano ugualmente efficaci per tutti i Paesi e che le misure messe in atto dai differenti governi sono soprattutto frutto del discorso politico-sociale ma, a fronte di economie e sistemi sanitari già compromessi, le tecnologie digitali si sono rivelate uno strumento di prevenzione di grande validità che ha permesso l’abbassamento della curva dei contagi senza esacerbare ulteriormente le condizioni di disagio e fragilità dei Paesi di questa Regione.